Usciremo più forti della crisi del Coronavirus?

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Laura Poiret

Laura Poiret

 

Mentre la Cina si riprende ed è ancora nella più grande crisi sanitaria e epidemia della sua storia, il virus che porta il simpatico nome di Covid-19 ha trovato un nuovo focolaio infettivo in Europa. Una situazione che non pensavamo possibile nelle nostre società democratiche e sviluppate sta comunque succedendo. Abbiamo l’impressione di vivere in un romanzo di fantascienza, o meglio, in una distopia. Quello che noi, giovani europei, mai e poi mai avremmo pensato di vedere della nostra vita, lo stiamo vivendo ora: la libertà che caratterizza le nostre società è fortemente limitata; le frontiere che sono state abolite dai nostri genitori e nonni sono oggi richiuse; le forze dell’ordine sono nelle strade per controllare i nostri movimenti; ma soprattutto, la scienza, che pensavamo arrivata al punto più alto del suo sviluppo, sembra deluderci.

Questa crisi sanitaria è ovviamente più di una pura crisi sanitaria. È anche una crisi economica, politica, sociale – insomma una crisi umana. Al di lá dell’inquietudine che è giusto sentire in tale situazione, è altresí interessante notare come la società occidentale si stia scontrando contro un muro, muro che sarebbe apparso all’improviso e che, nell’emergenza, la costringe a ripensare il suo modo intero di funzionare, di esistere.

Il primo elemento caratteristico delle società globalizzate che il Covid-19 sta rimettendo in discussione è, ovviamente, il modello economico, sia capitalista che mondializzato. Quando la crisi sanitaria colpisce “la fabbrica del mondo”, che è anche una delle economie più potenti del pianeta, non è soltanto una città, nemmeno solo un paese, ma é il mondo intero che ne subisce le conseguenze. Il commercio mondiale e la produzione sono rallentati, a volte fino a fermarsi. Poi di conseguenza, quando Europa e altri grandi attori dell’economia mondiale, come Stati Uniti o Iran, vengono colpiti a loro volta, quello che era già successo in Cina si riproduce – ma con dimenzioni più vaste. Le grande Borse mondiali, già indebolite da febbraio, sono crollate due volte da quando il virus è arrivato in Europa e negli Stati Uniti, provocando un “lunedì nero” il 9 marzo, e un secondo crollo il 12 marzo. Le borse Europee e degli Stati Uniti registrano infatti il 9 marzo il loro peggior risultato dalla crisi economica del 2008. Il 12 marzo, l’indice della borsa di Parigi, il “CAC 40”, e quello della borsa di Milano, registrano la diminuzione più grande della loro storia, rispettivamente -12.3% e -16.92%. L’indice tedesco, “DAX”, seguiva da vicino (-11.4%). La borsa di Wall Street si è fermata due volte per 15 minuti, prima di conoscere il 16 marzo la sua peggiora giornata dal 1987. Questa crisi finanziara ha necessitato l’intervento della Federal Reserve e della Banca Centrale Europea, che hanno tutti e due annunciato delle misure straordinarie per fornire liquidità ai sistemi finanziari, e per tranquilizzare i mercati. Ciononostante, l’instabilità finanziara continua e, presto, altre misure economiche dovrebbero esser prese dagli Stati Uniti e dell’Europa. Giá l’atmosfera era tesa ed inquieta nel mondo intero allora, adesso viene resa ancor peggiore dai disaccordi tra la Russia e l’Iran sui prezzi del petrolio. La domanda che dobbiamo farci ora, davanti a questo disastro economico (che sta soltanto iniziando), riguarda dunque la fondatezza di questo sistema nel quale viviamo e sul quale poggiamo. Come continuare ad assicurare l’apporto di materiale e di cibo vitali per la sussistenza e il conforto minimo di ciascuno, quando questi sono basati su un commercio di livello internazionale che è temporaneamente mutilato?

L’insufficienza delle risorse nazionali (ma anche continentali), e l’incapacità degli Stati di produrre alcuni materiali indipendentemente dagli altri paesi, ma anche il fatto che viviamo in una società dei consumi abituata ad avere a portata di mano tutto ciò che esiste, mostrano bene i limiti del nostro sistema economico attuale. Numerose aziende hanno dovuto riqualificarsi per continuare a fornire a tutti il minimo indispensabile. È il caso, recentemente, di LVMH, che ha trasformato alcuni dei suoi siti francesi in fabbriche di produzione di gel idroalcolico, che cominciava a scarseggiare in Francia. Ma l’ha potuto fare soltanto grazie al fatto che aveva i mezzi finanziari e pratici per farlo. In ogni caso, tutto quello che sta succedendo ci mostra che, visto che ci siamo allontanati dai modelli di produzione, di commercio e di consumo locali, ci troviamo ora in una situazione inquietante, causata da una crisi internazionale. La disfatta parziale del nostro sistema attuale è venuta tanto a galla che stiamo vivendo una presa di coscienza ecologica che sostiene da anni, appunto, la necessitá di un modello di consumo e di produzione più locale. È quindi stata necessario vivere una grande crisi sanitaria per ripensare il sistema e per sottolineare i suoi limiti. Dobbiamo sperare che usciremo da questa crisi più coscienti di questi limiti e pronti a modificarli – e perfino a rinunciarci se necessario.

 

Ovviamente, anche la democrazia soffre dell’epidemia del Covid-19. Questo modello di società che sottolinea le libertà individuale sta affrontando delle difficoltà evidenti, legate al fatto che si ritrova a dipendere dal civismo e dalla risponsabilità individuale per lottare contro il virus. È questa la situazione in cui si ritrovano Italiani e Spagnoli, popoli così tanto “esterni”, cosí abituati a stare fuori dalle proprie abitazioni, sono stati obbligati a rinchiudersi in casa – rassegnandosi a volte con difficoltà e con l’uso di misure punitive preventive. Ma questo é anche il caso della Francia, che ha cercato di rinviare le misure di confinamento fino all’ultimo momento; prima di dover finalmente decidersi, visto che un gran numero di francesi continuava ancora a muoversi come se niente fosse, sicura di aver tutti i diritti di muoversi liberamente. Il paragone col confinamento imposto in Cina, paese autoritario, ha sottolineato la difficoltà delle democrazie moderne di far fronte a queste misure drastiche e contrarie ai loro valori. Tra l’altro, in Francia, una crisi nella sanitá pubblica era giá in corso da alcuni mesi. È stato necessario l’arrivo di una pandemia affinché i dottori e il personale ospedaliero riuscissero a farsi sentire dal governo. Oggi, tutta l’attenzione del governo va finalmente a loro, e possiamo soltanto sperare che questo paese uscirà più forte della crisi: con un governo che avrà finalmente capito l’importanza del prendersi cura del suo sistema sanitario; che avrà capito che una società democratica degna di questo nome non può funzionare bene se i suoi medici, infermieri e inservienti soffrono.

Il terzo elemento caratteristicco delle società moderne che è messo a dura prova è il progresso scientifico. L’Uomo occidentale del ventunesimo secolo, nato in una società costruita sull’avanzata della tecnologia e della medicina, ha probabilmente avuto la tendenza troppo forte a credersi invincibile. Rafforzato dai progressi della medicina, abituato a sapere e conoscere sempre di più, nato in una situazione di confort senza precedenti grazie al progresso tecnologico, l’uomo occidentale del ventunesimo secolo è stato come violentemente schiaffeggiato in piena faccia. Quello che pensava possibile soltanto in Africa (che sta ancora lottando contro Ebola) o in Asia – insomma, soltanto nei paesi emergenti – é comunque giunto fino a lui: una pandemia potrebbe ucciderlo. Che si rassicuri: la sua generazione non sparirà, e la maggior parte di noi dovrebbe cavarsela sano e salvo. Ma è una paura ancestrale che ricompare, quella di una lotta contro un nemico invisibile, contro il quale non possiamo combattere perché non possediamo le armi giuste. È la paura di morire, o di guardare coloro che amiamo morire, e di non poter fare nulla. È sentirsi infinatemente impotente. È sentirsi corpo prima di tutto, quando sempre proviamo a convincerci che siamo solo anima. Sentirsi corpo, e quindi rendersi conto dei limiti e debolezze di esso. L’uomo occidentale del ventunesimo secolo dovrebbe allora uscire cambiato da questa pandemia, nel suo rapporto con la scienza, ma sopratutto nel suo rapporto con se stesso e con la sua identità.

In fine, l’ultimo elemento, ma non meno importante, messo a dura prova dalla pandemia di Covid-19, è la libertà di circolazione; il principio delle frontiere aperte che si trova alla base dell’Unione Europea. Questo principio è giá stato messo a dura prova mnegli ultimi anni dalla crisi migratoria, vera sfida dell’Europa e degli Stati Uniti, e dalla rinascita dei nazionalismi mei vari Stati. Eppure è oggi davvero messo in discussione, mentre gli Stati che si barricano sono sempre più numerosi. Questo sarà la grande sfida del “vecchio continente” durante questa crisi sanitaria: dimostrare che la chiusura delle frontiere non è una buona soluzione a lunga durata, e che non deve dividerci – invece al contrario dobbiamo unirci per lottare contro un nemico comune a tutti.

Laura Poiret

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