
Lorenzo Barbaro
Le persone transgender sono quelle persone la cui identità di genere non coincide con il sesso assegnato loro alla nascita. Queste spesso scelgono di intraprendere un percorso medico e/o legale di affermazione di genere che può prevedere un cambio legale di nome e di sesso anagrafico, interventi chirurgici di vario tipo e l’assunzione di una terapia ormonale sostitutiva (TOS).
Quest’ultima consiste nell’assunzione di ormoni sessuali (testosterone nel caso di una riaffermazione di genere in senso maschile, estrogeni e anti-androgeni per una in senso femminile), con l’obiettivo di far raggiungere le caratteristiche fenotipiche desiderate ed essenziali al benessere psico-fisico delle persone trans che scelgono di sottoporvisi.
L’utilizzo dei farmaci ormonali per questo scopo non è però previsto dai bugiardini rilasciati dalle case farmaceutiche, probabilmente per l’assenza di sufficienti studi specifici a riguardo, il che si ripercuote anche sul riconoscimento di questo uso da parte dei Sistemi Sanitari e la loro gratuità. Tuttavia molti Stati europei garantiscono l’accesso ai farmaci in modo gratuito tramite Sistema Sanitario Pubblico o tramite sistemi assicurativi di assistenza sanitaria[1]. In Italia, invece, l’uso a questo scopo è stato ufficialmente riconosciuto solo il 30 Settembre 2020 dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco)[2], senza che questo aggiornamento risolva totalmente le problematiche relative alla reale e gratuita accessibilità ai farmaci.

Accesso ai farmaci per le persone transgender nel periodo pre-nota AIFA
Prima della nuova nota AIFA, i farmaci potevano essere prescritti tramite due modalità.
La prima prevedeva la prescrivibilità per uso “off-label”, cioè per un uso diverso da quelli riconosciuti. Questa modalità era generalmente rivolta alle persone trans che non fossero andate incontro ad una rettifica del sesso anagrafico. Per cui, ad esempio, un codice fiscale femminile non avrebbe potuto giustificare l’assunzione di testosterone, il cui uso previsto era esclusivo per condizioni di “ipogonadismo maschile”. La conseguenza di un utilizzo off-label di un farmaco è che il costo del farmaco è totalmente a carico della persona.
La seconda modalità di prescrizione del farmaco era rivolta a quelle persone che hanno ottenuto la rettifica del sesso anagrafico. In questo caso, il medico avrebbe potuto giustificare la prescrizione dei farmaci, creando di fatto una diagnosi fittizia di ipogonadismo e garantendo la gratuità di alcuni farmaci. Infatti, nonostante la diagnosi, la gratuità o meno era strettamente dipendente dal particolare farmaco.
Questa complessa situazione creava disuguaglianze e confusione sull’accessibilità ai farmaci sul territorio nazionale, determinando l’esclusione della maggior parte delle persone trans dall’ottenimento gratuito di farmaci considerabili a tutti gli effetti “salva-vita”. Infatti, tali farmaci sono spesso fondamentali sia al benessere psico-sociale delle persone transgender, ma anche fisico per quelle persone che sono andate incontro a interventi chirurgici di rimozione delle gonadi e la conseguente assenza di ormoni sessuali.

Determinazione AIFA: cosa cambia per i/le transgender?
A Settembre 2020 l’AIFA riconosce l’uso di tutte le formulazioni in commercio di testosterone, estrogeni e antiandrogeni nelle persone transgender e totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, previa diagnosi di disforia di genere o incongruenza di genere, formulata da un equipe multidisciplinare e specialistica dedicata.
Questa decisione rappresenta sicuramente un cambio di rotta verso il diritto ad un accesso sicuro e gratuito ai farmaci e un primo passo per uscire dall’invisibilità istituzionale e sanitaria in cui si trovano i corpi e le identità trans.
L’accesso trasparente ai farmaci ormonali, infatti, potrebbe permettere una tracciabilità puntuale del loro utilizzo, limitare- anche se non annullandola – la necessità di procurarsi testosterone, estrogeni e anti-androgeni per vie illegali (spesso pericolose come il mercato clandestino o lo scambio sottobanco) e fornire una serie di dati epidemiologici su cui basare la ricerca sulla salute delle persone trans. Una ricerca che, ad oggi, si affida a statistiche insufficienti e falsate dal precedente utilizzo mascherato dei farmaci ormonali.

E’ tutto oro ciò che luccica?
Restano però diverse incognite a cui sarà necessario dare risposta quanto prima, così da rendere davvero efficiente il nuovo meccanismo messo in moto dall’AIFA.
All’articolo 2 della Delibera si legge, infatti, che questi farmaci potranno essere erogati dal Sistema Sanitario Nazionale “previa diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere formulata da una equipe multidisciplinare e specialistica dedicata”. Questa dicitura lascia spazio a varie interpretazioni che rischiano di paralizzare ulteriormente il sistema acuendo le disparità geografiche nell’accesso alle terapie.
Secondo la Mappa dei Servizi disponibile sul sito InfoTrans (gestito dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali)[3], la distribuzione dei centri assistenziali in materia è fortemente squilibrata sul territorio nazionale.
Vediamo che i centri pubblici al centro-sud sono solo 4, mentre 8 sono concentrati al nord Italia, meno di uno a regione. Se consideriamo ASL (9) e servizi ospedalieri (6) che potrebbero avere endocrinologi prescrittori, i numeri salgono ad un totale di 27. Tuttavia, rimane da capire chi sarà autorizzato dalle regioni a rilasciare il piano terapeutico. La dicitura utilizzata nel testo della delibera, quindi, impedisce l’accesso a quelle persone trans che non vivono né hanno modo di raggiungere uno dei centri indicati, limitando allo stesso tempo la possibilità dei singoli medici delle ASL territoriali di indicare in autonomia una diagnosi di disforia di genere. Peraltro, già da tempo i centri spesso presentano lunghe liste d’attesa per la presa in carico e limitare la diagnosi a questi centri, aumenterebbe il numero di persone che vi si rivolgono e il conseguente sovraffollamento.
Un secondo aspetto problematico riguarda proprio la “diagnosi” necessaria per accedere al piano terapeutico. La nota fa indistintamente riferimento ai criteri diagnostici del DSM-5 (Manuale diagnostico delle malattie mentali) e dell’ICD-11 (Classificazione internazionale delle malattie dell’OMS).
Tuttavia, la differenza tra i due criteri non è solo di forma, ma è sostanziale.
I protocolli utilizzati in Italia per gestire l’accesso ai percorsi di transizione (ONIG e WPATH) fanno riferimento ai criteri diagnostici del DSM-5, portando avanti un modello patologizzante e, spesso, standardizzato delle identità trans, a cui non tutte le persone sono conformi. Questo porta ad una difficoltà da parte di molte persone trans ad avere il “nulla osta” per accedere alle terapie ormonali, spesso obbligandole a dire quello che i medici e psicologi vogliono sentirsi dire in modo da evitare un eventuale divieto o allungamento dei tempi.[4]
Mentre, con l’ICD-11, pubblicato nel 2018 e a cui gli Stati dovranno adattarsi dal 2022, si va incontro ad un cambiamento di paradigma.
La nuova dicitura utilizzata, “incongruenza di genere”, viene spostata dalle patologie mentali e posizionata nel nuovo capitolo di “condizioni inerenti alla salute sessuale”.[5]
Ciò potrebbe aprire le porte in futuro a possibili nuovi protocolli, basati sull’autodeterminazione delle persone trans, come già succede in alcune cliniche estere, e non su modelli patologizzanti e standardizzati, [6][7]

La nota AIFA, quindi, non risolve il problema sistemico dell’accesso sicuro e gratuito alle terapie ormonali, aiutando solo chi è già inserito all’interno di questo sistema e continuando ad escludere tutte quelle persone trans che vivono condizioni di isolamento, di difficoltà economiche che rendono impossibile l’accesso ai “grandi centri” distanti territorialmente. Ricordiamo come spesso le persone trans siano tra le categorie che soffrono maggiormente un disagio economico-sociale per la difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro e l’alta percentuale di abbandono degli studi[8].
L’accessibilità ai farmaci e al sistema sanitario in generale potrà essere garantita solo intervenendo alla base dei disagi sociali, economici e sanitari, puntando non alla formazione di un personale “multidisciplinare e specialistico” ma a quella di tutti i professionisti socio-sanitari, arrivando ad inserire questi servizi nei livelli minimi di assistenza sanitaria territoriale.
Inoltre, per poter creare un sistema sanitario veramente accogliente, bisogna uscire dalla logica della diagnosi e della terapia, che creerà sempre spazi d’ombra. Perché non si parla di una patologia, ma di identità ed esperienze che non possono essere diagnosticabili.[9]
Matteo Cavagnacchi e Lorenzo Barbaro
[1] Hormones and Hormone Therapy under Medical Supervision – TGEU 2021
[2] Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale n.242 del 30-09-2020
[4] Askevis-Leherpeux, F., De la Chenelière, M., Baleige, A., Chouchane, S., Martin, M., Robles-García, R., . . . Roelandt, J. (2019). Why and how to support depsychiatrisation of adult transidentity in ICD-11: A French study. European Psychiatry, 59, 8-14. doi:10.1016/j.eurpsy.2019.03.005
[5] M. Fernández Rodríguez, M. Menéndez Granda, Villaverde González “Gender Incongruence is No Longer a Mental Disorder” – Journal of Mental Health & Clinical Psychology
[6] S.J. Bell “How a new Victorian clinic is removing barriers to ‘life-saving care’ for trans and gender diverse people
[7] T. Cavanaugh, MD, R. Hopwood, MDiv, PhD, C. Lambert, MFA “Informed Consent in the Medical Care of Transgender and Gender-Nonconforming Patients” AMA J Ethics. 2016;18(11):1147-1155. doi: 10.1001/journalofethics.2016.18.11.sect1-1611.
[8] Essere trans nell’UE: Analisi comparativa dei dati del sondaggio LGBT dell’UE – European Union Agency for Fundamental Rights
[9] Suess Schwend, A. Trans health care from a depathologization and human rights perspective. Public Health Rev 41, 3 (2020). https://doi.org/10.1186/s40985-020-0118-y