L’Erasmus per un non-europeo: tra l’assurdo e l’esistenziale

erasmus is flying

Author

Jerry Yao

Jerry Yao

Sono le 5 di mattina e ho circa 15 minuti per uscire dalla mia stanza. Il mio visto ceco da studente è ormai in scadenza, devo lasciare la Francia e rientrare per farmelo prolungare. In Francia, da quando c’è il Covid, i mezzi pubblici che fanno tratte extraurbane sono pochi e non frequenti. Per arrivare in tempo a Francoforte per il volo delle 18:10, devo prendere il treno delle 6:30 che va da Grenoble a Lione. Con i bus non va meglio, nei weekend non passano proprio. Arrivato a Francoforte dovrò volare fino a Vienna e prendere il treno che, finalmente, mi porterà alla mia università a  Brno, in Repubblica Ceca.

Tutto si è complicato due settimane prima del volo che avevo prenotato inizialmente, perché per rientrare in Rep. Ceca è stato introdotto l’obbligo di quarantena per i chi arrivava dalla Francia. Ho dovuto cambiare tutto il programma per far in modo di riuscire a concludere la quarantena prima dell’appuntamento al ministero degli esteri. Un viaggio che normalmente dura due ore in aereo è diventato un viaggio di 30 ore, organizzato in fretta e furia. Nel bel mezzo del mio Erasmus in Francia mi sono trovato a dover tornare a Brno per richiedere un’estensione del visto che mi aveva permesso di stare in Europa. A metà di una nuova esperienza, sradicato da quella che era ormai una nuova casa, mi trovo a essere di nuovo senza radici. Questo è l’Erasmus per uno studente originario di un Paese non europeo.

Anche se si tratta solamente di un semestre, il disorientamento che si vive è reale. Già soltanto raccogliere tutti i documenti necessari, le assicurazioni, i permessi, prepararsi per l’Erasmus e trasferirsi in una nuova città è abbastanza complicato. Poi considerate tutte le restrizioni dovute al Covid sia nel Paese di partenza che in quello di arrivo, senza dimenticare tutte le problematiche dovute all’essere un cittadino non europeo che prova a esercitare i propri diritti di studente europeo. Si finisce a trascorrere molto tempo bloccati davanti a un computer, con 20 schede aperte nel browser a cercare di capire quali documenti servono e dove devono essere consegnati. Questo insieme di circostanze completamente nuove mi ha portato a una certa indolenza verso i regolamenti in rapida e continua evoluzione. La capacità richiesta per immagazzinare tutte queste informazioni è un po’ come quella che servirebbe per riuscire a bere da un idrante.

Arrivo all’aeroporto alle 7:20. Un’ora esatta prima che aprano i siti per effettuare i test Covid. Solo ora mi accorgo che nella fretta ho gettato via insieme al resto della spazzatura il cibo che mi ero preparato la notte scorsa. Mi sento affamato, stanco e mancano ancora almeno 10 ore prima di poter davvero pensare che il viaggio stia iniziando. Finisco nella coda per i test covid, già consapevole che dovrò sottopormi a due test. Un test rapido antigenico per poter prendere il volo da Francoforte e un PCR obbligatorio per poter entrare in Repubblica Ceca il giorno dopo.

Dopo aver avuto i risultati mi avvio verso il gate per l’imbarco e mi avvicino alla cabina di controllo della frontiera. Mostro il passaporto e l’esito del test. L’agente mi riconsegna i risultati, apre il passaporto e mi chiede cosa faccia in Francia. Gli dico che sono lì per studiare. L’agente però sottolinea che il visto per motivi di studio che ho è ceco e non francese. In tutto questo mi rendo conto che lui mi stava parlando in francese e io stavo puntualmente rispondendo in inglese. Cerco di spiegargli che sono in Erasmus. Ci sono voluti diversi tentativi, tra i quali uno sicuramente azzardato in cui ho provato a pronunciare “Erasmus” con l’accento più francese che potessi fare, ma alla fine ha capito. Appena mi ero convinto di avercela fatta, l’agente torna mostrandomi la parte frontale del passaporto e mi chiede come potessi essere in Erasmus se non sono un cittadino europeo. Mi viene da pensare a tutti gli altri cittadini non europei che sono andati in Erasmus prima di me e mi chiedo se tutti hanno vissuto esperienze simili alla mia. Dovremmo considerarci fortunati a non essere fermati e a non dover spiegare ogni volta la situazione? O apparteniamo a una categoria invisibile?

Non sono arrivato in aeroporto con mezza giornata di anticipo per essere rispedito a casa. Già venendo dalle Filippine ero finito in mezzo a un mare di insensata burocrazia. Fare un Erasmus da cittadino non europeo non è molto diverso. Ti prepari a tutto, anche se non ti è richiesto così tanto, perché non ti senti mai del tutto a tuo agio a sostenere che hai pieno diritto di stare e di muoverti liberamente in Europa. Stampi con attenzione tutti i documenti possibili e immaginabili anche se i tuoi coetanei europei non hanno altro che i loro telefoni con se. Trenta minuti, altri due addetti ai controlli, un carico immane di documenti cartacei, una lunga serie di chiamate ai propri superiori e alla fine mi hanno lasciato passare. Una procedura insensatamente complessa e macchinosa. Mi viene da sorridere, vago con la mente e mi accorgo di essere in un’assurda situazione kafkiana.

Finalmente, passati i controlli di frontiera, ho un attimo per riflettere su tutte le cose che sono successe. Mi ritorna in mente Kafka e la sua Metamorfosi. Immagino come sarebbe se fosse scritta oggi. Se Gregor Samsa si fosse svegliato in una nottata tormentata nel 2021 e si fosse trovato nel suo letto, trasformato in un insetto gigante, se ne sarebbe accorto qualcuno? Sottomessi e abbattuti dalla lunga durata della pandemia come siamo, ci sarebbe davvero importato? Nel mezzo della mia quarantena obbligatoria non mi sarebbe dispiaciuto se mi fossero spuntate altre zampe e altri piedi. Immagino sia solo per sentire qualcosa. Poi avrebbe certamente aiutato in tutte le camminate intorno alla stanza per sfogare questa ansia. Oppure, più realisticamente, Gregor avrebbe continuato con a vivere con questa tipica fatica esistenziale che viviamo, partecipando alle chiamate su zoom con il microfono spento e la camera disattivata, senza che i colleghi se ne accorgessero.
Cosa è assurdo dipende dal contesto. 

Prendo il volo e atterro a Francoforte, dove mi ritrovo a partecipare a un meeting virtuale e a fare due esami nelle 15 ore di permanenza in città. Da lì volo fino a Vienna e arrivo ad un aeroporto dove non c’è alcun controllo di frontiera. Mi trovo nell’assurdità di essere obbligato a fare due test covid lo stesso giorno senza, poi, dover mai mostrarne i risultati. E’ esasperante e ansiogeno. Non riesco a pensare a definizione più accurata del concetto di angoscia di Kierkegaard, è davvero “la vertigine della libertà”[1]. Il fatto che mi abbiano detto di dover mostrare il risultato negativo del test covid all’arrivo e il non aver incontrato nessuna autorità alla quale mostrarlo, mi fa sentire talmente abbandonato a me stesso che solo le persone che hanno vissuto una situazione simile possono comprendere. Questa vertigine mi ha accompagnato anche quando ho attraversato il confine per arrivare a Brno, dove nuovamente non c’è stato nessun controllo alla frontiera.

Tornando a Brno mi sono sentito uno straniero nel posto che avevo chiamato casa per i due anni precedenti. Sono stato via solo tre mesi, mi sento strano a definirmi straniero. Fa un effetto ancora più strano ricordare che effettivamente sono uno straniero. Un cittadino di un paese extra-europeo che ha avuto le stesse opportunità di uno studente europeo. Sono fortunato ad aver potuto partecipare a questo semestre Erasmus. Vedete, le definizioni di casa e identità sono messe a dura prova quando si va in Erasmus. Inevitabilmente i luoghi dove andiamo entrano a far parte di noi in qualche modo. Ci vediamo in un certo modo a seconda di dove ci troviamo. In questo si riassume tutto: l’Erasmus è un esercizio di pensiero esistenzialista. Una conversazione tra noi stessi e la società su ciò che ci rende noi stessi, sui valori che sosteniamo e sul tipo di bene per il quale vogliamo batterci.

Quindi, quando ci viene chiesto com’è l’Erasmus cosa dovremmo rispondere? Dovremmo dare una risposta in base ai corsi frequentati e ai crediti conseguiti? Sulle relazioni costruite e su quelle rovinate? Definendo l’essenza di una cosa, Husserl sostiene che è fondamentale ciò che è necessario e invariabile nel suo essere.[2] Le caratteristiche del programma sono definite in maniera specifica e dettagliata ma non c’è nulla che faccia comprendere in anticipo ciò che si riceve prendendo parte ad esso, al di là dei voti che ognuno si aspetta di ottenere. E dunque, anche se si ha una definizione non si ha un significato. Almeno non un significato che sia predeterminato in partenza. Ciò che è necessario e invariabile nella propria esperienza Erasmus è il proprio coinvolgimento. L’Erasmus, come la vita, è ciò che si fa di esso.

L’insostenibile leggerezza dell’Erasmus

Ma l’Erasmus è un’esperienza leggera o pesante?   “Sopra la città”, Marc Chagall, Tretyakov Gallery, Moscow Related posts: The unbearable lightness of Erasmus L’insoutenable légèreté de l’Erasmus Il coraggio dell’originalità

Read More »

Per me, l’Erasmus è stato un’opportunità per guardare dentro l’abisso – nell’incertezza sull’avvenire. L’opportunità di scavare in tutte le convinzioni che ho costruito nel tempo, contro l’integrazione e la globalizzazione come manifesti. L’assenza di significato non è una prognosi cupa ma è più un invito a sfruttare quella che è senza dubbio una grande occasione di crescita personale. Un capitolo a cui guardare indietro, nella speranza di poter dire che ci ha resi più risoluti nel fare del bene per il mondo e per le persone intorno a noi. L’Erasmus è un’occasione per vivere in modo autentico, nel senso esistenzialistico del termine, accettando il peso della consapevolezza che la propria esperienza dipenderà da come si utilizzerà la libertà che l’Erasmus stesso ci concede. Si arriva all’università pronti a imparare e mettere alla prova le nostre convinzioni. L’Erasmus prende queste premesse e le esalta.

Un mese dopo, una volta sistemata la questione con il permesso di soggiorno, posso finalmente salire sul volo di ritorno per la Francia dove trascorrerò l’ultima parte del semestre. Questo viaggio è molto meno complicato del precedente. Ora riesco finalmente a rientrare nella mia stanza, mi sento stanco e ho ancora le vertigini per questa libertà che sento dentro. Cerco di orientarmi e spingo con tutti i piedi che ho sul pavimento.

L’esperienza Erasmus ci fornisce una quantità senza precedenti di responsabilità. La nostra esperienza è come noi vogliamo che sia e finisce per essere solamente nostra. Come scrive Camus: “siamo tutti casi eccezionali”[3]; l’Erasmus ci dà le redini per rendere i nostri casi eccezionali.  

Jerry Yao

tradotto dall’inglese da Michele Corio

[1] Il concetto di angoscia – S.Kierkegaard

[2] Ricerche logiche – E.Husserl

[3] La caduta – A.Camus

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email

Recent articles

You may also be interested in

Headline

Never Miss A Story

Get our Weekly recap with the latest news, articles and resources.
Cookie policy
We use our own and third party cookies to allow us to understand how the site is used and to support our marketing campaigns.

Hot daily news right into your inbox.