Madame Europa: l’Europa vista dai suoi figli

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Martina Bellotto

Martina Bellotto

Mi chiamo Martina e sono figlia di Europa.

Mia madre è nata non molti anni fa, anche se il suo nome, legato alla mitologia greca, è molto più antico; è arrivata in silenzio, con il passo felpato di un gatto, e la sua importanza non è ancora compresa da molti, purtroppo.

Europa è una donna bellissima, vestita con un abito di colore blu, che le cade sul corpo come una lunga veste, ampia e semplice. Mia madre è una donna forte, risoluta, determinata, anche se giovane: quando cammina, con i piedi nudi e leggeri, avanza con l’eleganza della principessa da cui prende il nome. Mia madre è tra le creature di pace più belle e potenti che esistano.

Europa è nata proprio come nasce una fenice: dalle ceneri di distruzione, miseria, fame di pace e di sete di un equilibrio che doveva finalmente avverarsi; è nata timida, con uno sguardo incerto sul mondo, osservata da tutti con stupore con un nome così nobile. In appena dodici stati credevano in lei, ma in quella dolce creatura avevano riposto le loro più alte speranze: tutti insieme capirono l’importanza di unirsi in un’unica squadra, di presentarsi al mondo intero come una grande forza che si stava ancora plasmando.

L’avevano forgiata là, dove tutto ebbe inizio: Roma, culla della più magnifica opera dell’uomo, città che accolse in un abbraccio materno la più grande forma di civiltà; là, dove tutto era cominciato secoli e secoli prima, aprì i suoi occhi mia madre.

Europa è diventata donna poco prima che io nascessi, appena due anni prima. Forse nessuno si aspettava che potesse diventare tanto bella, potente, necessaria.

I capelli di mia madre sono rossi, di un vermiglio vivo, che sembra pulsare di vita, poiché deve sempre ricordare ai suoi figli i sacrifici umani che hanno portato alla sua nascita, affinché non si ripetano mai certi orrori.

Europa è una tra le creature più giovani del nostro pianeta, ma in lei convive la storia più antica. Europa vive di varie culture, si nutre di culture diverse e parla tantissime idiomi: i suoi figli, come me, studiano le sue lingue, sono liberi di viaggiare, di vedere altri stati, di conoscere altri ragazzi e le loro realtà. Europa mi permette di chiamare “fratelli” queste persone.

Europa è una terra senza frontiere, è una madre che permette di avere accanto persone che provengono da altri stati, demolendo distanze, sia materiali sia simboliche, che un tempo sarebbe stato difficile raggiungere. Spesso, purtroppo, ci si dimentica di come, mia madre, abbia permesso di demolire questi muri, perché, per me e per i miei coetanei, è possibile viaggiare facilmente tra gli stati europei, con un’unica moneta, con un unico documento. Forse, molte persone non riconoscono l’importanza dell’abbattimento di queste barriere perché si trattava di ostacoli immateriali, non tangibili come una costruzione artificiale vera e propria e, di conseguenza, non considerati come una conquista così importante.

Europa è invisibile, non è una madre che possiamo fisicamente osservare, toccare, abbracciare; tuttavia, per me, è impossibile vivere in un mondo dove lei non esiste. Per me, Europa significa avere dei fratelli francesi, spagnoli, portoghesi, tedeschi, danesi, austriaci, greci e tanti altri ancora, e sentirmi fiera e orgogliosa di ognuno di loro. Il concetto di straniero, che oggi tormenta molti cittadini come lo spirito di un fantasma, viene quasi azzerato, perché la concezione di abitare, condividere e conoscere uno stesso grande spazio ha un valore più alto.

Europa significa dare e ricevere, cambiando continuamente prospettiva. Oggi abbiamo il privilegio di poter comprendere a pieno le realtà di posti, persone e culture che potrebbero essere lontani, condividendo, allo stesso tempo, quella che è la nostra origine, andando ad arricchire la prospettiva di altre persone.

Europa ha mille sfaccettature, è l’insieme dei suoni e degli accenti di molte lingue diverse, è la somma di culture e tradizioni così differenti tra loro, seppure in uno spazio che ormai ci è noto: vedere e capire la bellezza, farla propria, per non abbandonarla mai. Sentirsi a casa propria dopo aver preso un aereo, un treno o una nave è un piacere che ci è stato concesso, senza pretendere nulla in cambio.

In questo periodo di grave crisi mondiale, sanitaria ed economica, alcune persone non si fidano di Europa, la guardano con sospetto, come se si dovesse cercare in lei un colpevole non la soluzione dei problemi. Mi rattrista, profondamente. E penso al mio vissuto, agli studi in una Francia che mi ha fatto innamorare della sua lingua elegante e raffinata, dei suoi scrittori, delle sue città, della sua storia. E questo mi ha cambiata

Quando penso alle città che ho avuto la fortuna di visitare, al profumo dell’aria che respiro ogni volta che scendo dal treno o dall’aereo appena arrivo al di là delle Alpi, il piacere di ascoltare quella lingua, capisco sempre di più che è una questione di cuore, di passione. E sì, questo sentimento dovrebbe essere provato da molte più persone che, invece, criticano l’Europa, di cui tutti facciamo parte, mettendo a rischio così facilmente e superficialmente quei rapporti, quegli equilibri, quella fratellanza, che hanno faticato a nascere.

La possibilità di un periodo di studio all’estero mi ha dato la possibilità di conoscere altri ragazzi, provenienti da tutto il mondo, parlare più lingue in una sola serata e queste, credetemi, sono ricchezze che dovrebbero essere ampliate, moltissimo. Nelle università, i vari programmi Erasmus sono molto sfruttati dagli studenti; dovrebbero aumentare sempre di più anche i corsi di Laurea a doppio titolo, proprio per fornire agli studenti la possibilità di vivere due, o più, realtà, preparando dei lavoratori che abbiano la possibilità di spendere il proprio titolo e le proprie esperienze in paesi diversi.

Europa non significa denigrare la propria origine, non cogliendo le ricchezze che già offre il proprio paese; ma è, invece, avere tanti più opportunità vicine a noi. Una possibilità di condivisione così piena e allo stesso così semplice, ci dovrebbe fare capire che Europa è la madre della quale non possiamo proprio fare a meno.

Martina Bellotto

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