
Fonte: My country? Europe
Zante. E’ la prima cosa che ricordo della Grecia, l’isola che nel mio immaginario ha sempre rappresentato la poesia più bella della letteratura italiana, A Zacinto, di Ugo Foscolo. La seconda, andando un frammento avanti con la memoria, sono le distese infinite di oliveti che si aprono dal nostro pullman. E’ l’estate del 2009, non ho nemmeno 18 anni, ed il primo viaggio sull’altra costa dell’Adriatico sarà il primo di una lunga serie alla scoperta dei tanti luoghi affascinanti che l’Europa sa offrire. La guida, sulla cinquantina, oltre ad una sottile indisponenza verso i turchi, ci introduce a quello che è il tempio della civiltà greca, là dove i primi giochi, che poi divennero le olimpiadi, nacquero. Siamo a Katakolon, città della Grecia occidentale dove una civiltà nasce, cresce, e lascia tanti dei suoi puntelli in quella che è la società di oggi. L’Ellade, la cultura mediterranea, l’Europa. E’ proprio un paradosso che gli stessi giochi Olimpici del 2004, la cui gestione -per usare un eufemismo- non è stata troppo chiara[1], siano stati la scintilla che ha fatto esplodere la crisi economica, per poi dare i suoi frutti più sanguinosi un decennio più tardi.
In Grecia si è votato ad inizio mese di luglio, e lo scenario politico si è ribaltato completamente rispetto a cinque anni fa. La formazione popolare di Nea Dimokratia ha vinto le elezioni, raggiungendo la soglia della maggioranza assoluta in Parlamento, e relegando Syriza all’opposizione dopo quattro anni di governo fatto di montagne russe e scontri frontali con l’Unione Europea.
Sono tanti gli spunti che il caso greco può offrire. Dopo un riassunto del rapporto della Grecia con l’Unione Europea negli ultimi anni, mi concentrerò saranno due; la figura di Alexis Tsipras e le sue abilità politiche eccellenti, e come il sistema politico greco si è strutturato a seguito delle vicissitudini politiche dell’ultimo decennio.



La Grecia ha vissuto un’era a parte negli ultimi anni, costantemente nell’occhio del ciclone, con il rischio default che la ha attraversata fino a metterla sul punto del non ritorno. Ma i problemi della crisi greca hanno radici BEN più lontane, che affondano nei decenni passati, GIA’ a partire dall’entrata della Grecia nell’allora Comunità Europea, nata per motivi politici, ed è paradossale che la sua crisi sia nata esclusivamente per motivi economici[2]. Dopo aver alterato i propri conti per entrare nella Comunità Europea nel 1981 infatti[3], ed ancora per poter organizzare le Olimpiadi del 2004, la Grecia ha continuato ad avere un rapporto non semplice con l’Unione, acuito dalla crisi degli ultimi anni.
Nel Gennaio 2015 Alexis Tsipras guida Syriza, partito di sinistra anticapitalista, ad un successo strepitoso, sfiorando la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento (149 su 300), e formando un Governo con ANEL -formazione di destra nazionalista- mette già in luce le sue doti di stratega. Lo scenario che Alexis si trova di fronte è drammatico; il paese è strangolato dal debito pubblico, e viene messo di fronte alle sue responsabilità dalle politiche di austerità dell’Unione Europea. In questo clima incandescente, Tsipras decide di indire un Referendum nel quale si chiede se accettare o meno l’accordo con la Troijka, che prevede un piano di risanamento del debito previa attuazione di politiche di austerità. Il Referendum viene respinto, nel 2015, con oltre il 60% dei voti. Ma l’Unione non accetta sconti, e minaccia di far uscire la Grecia dall’eurozona qualora il patto non venga accettato. Tsipras si dimette, si va ad elezioni anticipate, che ancora una volta premiano Syriza che formerà nuovamente un governo con ANEL. Non c’è via d’uscita. Tsipras decide finalmente di accettare le politiche di austerità promosse da Bruxelles, sconfessando una chiara volontà popolare. E’ agli occhi di tanti una retromarcia senza precedenti, un tradimento del demos difficile da digerire. Ed a questo punto mi fermo. La parabola di Tsipras aprirebbe le porte ad un dibattito tanto lungo quanto difficile da discernerne una prospettiva univoca; c’è chi lo addita come un traditore della patria, come colui che avrebbe potuto aprire le porta ad un tipo diverso di sinistra, di politica, di Europa, rifiutando il diktat dell’Unione e guidando un’alternativa, e non l’ha fatto. Altrettanti, lo accolgono come una figura saggia, ragionata: colui che, avendo avuto esperienza della complessità di uno stato e delle sue oggettive responsabilità verso se stesso e verso l’esterno, ha rivisto le sue posizioni nel modo più utile al suo paese, lo ha rimesso in carreggiata, gli ha dato una sostenibilità, ed ha scongiurato il rischio default che, fra l’altro, la Grecia ha superato definitivamente solo da qualche mese[4].



Di chi sono state le responsabilità di tale crisi? Era possibile gestirla meglio? L’austerità dell’Unione nel voler sottomettere Atene alle proprie scelte economiche, o la negligenza con la quale i politici locali (che hanno preceduto Tsipras di qualche decennio) hanno affrontato spese e manomesso conti pubblici facendo pesare tutto sulle spalle dei loro cittadini? Nonostante l’atteggiamento di Bruxelles verso Atene (seppur sui modi e sugli atteggiamenti ci sarebbe lungamente da disquisire) sia stato sì un piano severo ma necessario per salvare l’Ellade dalla bancarotta, ha altresì fornito uno strumento formidabile di propaganda per tutti quei partiti euroscettici che osteggiano l’Unione e le sue politiche. L’immagine di un’Unione serva delle banche che mette a repentaglio le vite dei popoli europei pur di servire gli interessi dei gruppi di potere è entrata ormai nell’immaginario collettivo di tutte le forze ostili all’Unione, e togliersi quest’etichetta di dosso non sarà per niente semplice.
Si può scegliere l’angolatura che si vuole per osservare la figura di Tsipras, dei suoi valori, ampiamente sconfessati, e del suo modo di agire, pragmatico fino all’inverosimile. L’unica cosa che non si può modificare sono i numeri: se tanti osservatori prevedevano un crollo di Syriza per queste elezioni[5], così non è stato. Nonostante mosse altamente impopolari, Tsipras è rimasto in piedi, a testimonianza delle sue qualità politiche eccezionali. Syriza ha perso sì al centro, con gli elettori moderati che hanno deciso di orientarsi verso una formazione politica che dia loro fiducia e stabilità sui mercati, ma non a sinistra, dove il PASOK rimane distante l’enormità di 20 punti percentuali. Tutto ciò ci spinge ad affermare che Syriza ha contenuto la sconfitta benissimo per 3 motivi: 1) ha recuperato un milione di voti rispetto alle Europee, ed in generale il suo risultato è andato ben oltre le previsioni di tutti i centri di ricerca 2) Mantiene il monopolio dell’elettorato di sinistra 3) Si propone, qualora ce ne fosse bisogno, come possibile partner di governo, visto che le numerose anime che compongono Nea Dimokratia lasciano più di un dubbio sulla stabilità di un esecutivo monocolore.



Guardando al globale, tali risultati ci spingono a formulare altre due considerazioni. La prima riguarda il futuro della socialdemocrazia. Quella che Syriza, partito di sinistra estrema, ha dato al PASOK, partito legato alla socialdemocrazia del nuovo millennio, è una lezione storica; lo ridotto a percentuali intorno al 10% ed ha così preso il monopolio dell’elettorato di questa area. Da questo sorpasso “a sinistra” cosa ne deriva? La strategia elettorale di “estremizzazione” del discorso a sinistra è replicabile altrove con gli stessi risultati elettorali, oppure quello di Syriza è un unicum facilitato da più circostanze? Quanto ha inciso il carisma di Tsipras e la situazione di crisi economica nel successo della sua creatura? Se guardiamo altrove l’unico caso dove la sinistra ha surclassato la socialdemocrazia e dove continua ad avere il polso di quell’elettorato è la Francia con Mélenchon (anch’egli un leader dalle qualità straordinarie). Altrove il Partito Socialista, dopo una fase di flessione, mantiene il monopolio del mondo di sinistra, come in Spagna e Portogallo. La forza di Syriza deriva dunque dalle capacità del leader, dai suoi contenuti o piuttosto dal contesto esterno? Una bella domanda, alla quale solo altre evidenze empiriche sapranno fornire risposte più accurate.
Dall’altro lato, si confermano perlomeno allarmistiche le barricate ideologiche contro partiti estremistici, dettate più da una paura smisurata verso le voci dissidenti, che non dalla reale consistenza di fenomeni che sono destinati alla marginalità politica. Il caso di Alba Dorata, su cui i media di mezza Europa si sono soffermati, ne è l’esempio classico. Come le elezioni greche hanno dimostrato, l’elettorato di destra preferisce confluire voti su un’alternativa di governo più credibile su tutti i fronti, alias Nea Dimokratia, piuttosto che su coloro che professano un discorso a dir poco estremistico e con dei contenti assolutamente inattuabili nella società odierna. Non è un caso che Alba Dorata abbia dimezzato i propri voti rispetto al 2015 -non riuscendo nemmeno a superare la soglia del 3% utile per ottenere una rappresentanza parlamentare- a favore di un partito ideologicamente moderato e concretamente più adatto a dialogare con l’Europa ed i mercati.
Dai due punti appena ripresi, ricaviamo una forte strutturazione del sistema politico greco in senso bipolare; un’alternativa di Sinistra ed una di Destra ben strutturate, che si rubano voti al centro, pronte a capitalizzare sugli errori altrui, affiancate da altri piccoli partiti che rimangono a guardare, ma che possono sempre giocare un potenziale di governo o di ricatto[6], come dimostra l’alleanza di Syriza con ANEL nella passata legislatura, e come potrebbe accadere ancora.



Quale sarà il futuro della Grecia, culla della civiltà europea, è un rebus di difficile soluzione. Difficile poiché la fiducia che i greci ripongono nell’Unione è ridotta ai minimi termini, e vista anche l’affluenza disastrosa alle ultime politiche dove ha votato una persona su due, dimostra proprio questa insoddisfazione dell’elettorato.[7] Di certo, lo scontro con l’Unione ha lasciato ferite sanguinose a tutti i livelli, che solo una generazione di politici responsabili, ci auguriamo, potrà rimarginare.
[1] Si veda sull’argomento, Il Sole 24 Ore, Le Olimpiadi in Grecia del 2004 furono l’inizio del default, Vittorio Da Rold, 14 Febbraio 2012, e Il Fatto Quotidiano, Quando Goldaman Sachs truccava i conti della Grecia per farla entrare nell’Euro, Leonardo Martinelli, 26 Marzo 2012.
[2] Sull’entrata della Grecia nella Comunità europea si veda Limes, Tsipras, l’Europeista immaginario, Tra Euro e Neuro, n°7 – 2015.
[3] Irregolarità sulle quali, osserverebbe qualcuno, si è chiuso un occhio per agevolare l’entrata delle Grecia nell’allora Comunità Economica Europea, e quindi nella NATO, al fine di allontanarla definitivamente dall’orbita sovietica.
[4] Il corriere della sera, La Grecia esce dal programma di aiuti: addio alla Troika dopo 8 anni di crisi, Giuliana Ferraino, 19 Agosto 2018.
[5] The Guardian, Syriza betrayed its principles – and the Greek people. Its days are numbered, July the 5th 2019.
[6] Secondo la fortunata definizione di Sartori, con la quale definisce piccoli partiti in grado comunque di incidere sugli equilibri di governo.
[7] Il Post, La crisi in Grecia spiegata in 12 grafici, 4 luglio 2015.