La COP26 di Glasgow: una nuova speranza

La COP26 di Glasgow comincia in una situazione ambientale drammatica, ma dei segnali fanno sperare in un cambio di rotta, perchè? Andiamo con ordine… e che la forza sia con noi.

La minaccia climatica: climate anxiety

In vista della COP26 a Glasgow è utile soffermarsi sullo studio “Young People’s Voices on Climate Anxiety, Government Betrayal and Moral Injury: A Global Phenomenon”  condotto da un’equipe di nove ricercatori e pubblicato lo scorso 7 Settembre sulla rivista scientifica The Lancet. Dopo aver censito 10.000 individui tra i 16 e 25 anni in dieci paesi diversi[1], è emerso come i cambiamenti climatici e la loro percezione stiano avendo implicazioni profonde sulla salute mentale dei giovani, con una percentuale del 45% tra gli intervistati che riporta stati d’animo alterati a causa dei cambiamenti climatici, con un effetto diretto sulla loro vita di tutti i giorni: fenomeno conosciuto con il nome di climate anxiety[2]. Quattro intervistati su dieci hanno inoltre dichiarato di esitare ad avere figli a causa dell’inerzia dei governi di fronte alla crisi climatica e ai seguenti timori di un suo peggioramento[3].

Come ho scritto in precedenza[4] e com’è visibile dal grafico qui sotto, i giovani hanno ottime ragioni per essere preoccupati. Le emissioni di anidride carbonica globali non sembrano aver ancora raggiunto l’apice, mentre i primi effetti dei cambiamenti climatici sono già sotto gli occhi di tutti.

La COP26 affronta le emissioni di CO2 per regione
Emissioni totali di CO2 per regione. Fonte: Global Carbon Project

Il risveglio della forza in vista della COP26

Movimenti come quello di Fridays for Future, proposte come il Carbon Border Adjustment, la sempre più ampia adozione di rinnovabili e i recenti progressi tecnologici possono rappresentare un punto di discontinuità con il passato.

A mio avviso, gli ultimi due anni hanno segnato un cambio di rotta e spero che la COP 26 a Glasgow lo certifichi. Analizzando il grafico di cui sopra, si nota come le emissioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti stiano calando. Il fatto di per sé non è particolarmente incoraggiante vista la metà superiore dell’immagine, ma negli ultimi due anni sono successe tre cose fondamentali. In primis c’è stata una grande presa di coscienza collettiva del fenomeno, grazie a movimenti popolari come Fridays for Future, che si è tradotta in una maggiore copertura mediatica e in un exploit dei movimenti verdi nel panorama politico occidentale[5]. In secondo luogo, c’è stato un cambio di amministrazione alla Casa Bianca con il rientro degli Stati Uniti all’interno del Paris Agreement[6]. Infine, la Cina ha dato vita al suo sistema di scambio di emissioni e in Europa si è iniziato a parlare seriamente di Carbon Boarder Adjustment Mechanism (CBAM)[7][8] (per una spiegazione su cosa sia uno schema di scambio di emissioni e un CBAM potete leggere qui e qui). 

Questi tre fattori da soli potrebbero essere determinanti nella lotta ai cambiamenti climatici. In particolare, se sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti adottassero un CBAM, e dopo lo sgarbo dell’amministrazione Biden alla Francia questo oggi è un po’ più probabile di ieri, allora le possibilità di un effetto globale sarebbero ancora più alte. Inoltre, anche se gli Stati Uniti dovessero essere più timorosi dell’UE, questo non significa che non seguano le orme del vecchio continente in un secondo momento. L’UE ha già giocato un ruolo di precursore nel mondo, legiferando regolamentazioni poi adottate a cascata in altri continenti – alcuni esempi sono l’etichettatura energetica degli elettrodomestici, le norme per la privacy e quelle sulle sostanze chimiche usate nella produzione dei giochi per bambini – il fenomeno è conosciuto come Brussels Effect[9].

Etichettatura energetica per elettrodomestici
Adozione dell’etichettatura energetica per elettrodomestici. Fonte: The World is changing https://www.coolproducts.eu/home-the-world-is-changing/

L’ascesa delle rinnovabili

D’altro canto, anche il panorama energetico è cambiato moltissimo negli ultimi dieci anni e lo scenario globale della COP 26 di Glasgow non e’ lo stesso della COP 21 a Parigi. Infatti, il tasso di adozione di energie rinnovabili come l’eolico e il solare è cresciuto esponenzialmente nell’arco di pochissimi anni. Grazie al loro utilizzo sempre più diffuso il costo di nuovi impianti di energie rinnovabili è sceso drasticamente a livello globale. Basti pensare che il prezzo per megawatt/ora dell’elettricità da solare, al netto di sussidi, è sceso in 10 anni dell’89%, passando da $359 a $40 (al 2019), mentre quello da energia eolica è passato da $135 a $41/MWh. Per contro, il prezzo dell’elettricità da carbone è rimasto più o meno lo stesso, attestandosi nel 2019 a $109/MWh[10].

In molti paesi del mondo il solare e l’eolico stanno diventando la scelta più economica per produrre energia elettrica.

Il prezzo dell'energia a seconda delle fonti. Fonte: OurLifeInData.org

Purtroppo le rinnovabili però presentano alcune limitazioni, prime tra tutte quelle dell’intermittenza (l’eolico produce energia solo quando soffia il vento e il solare solo di giorno) e dello stoccaggio (non e’ facile conservare tutta l’energia prodotta e le batterie costano e si usurano). Inoltre gli impianti di rinnovabili richiedono un consumo di suolo di gran lunga maggiore dei combustibili fossili, a parità energetica il solare e l’eolico necessitano dalle 17 alle 46 volte di più spazio che il carbone. [11]

Fortunatamente, la tecnologia sta facendo passi da gigante in molti ambiti chiave come quello dell’idrogeno, del carbon capturing e del nucleare.

  • L’idrogeno sarà fondamentale nella transizione energetica perché compensa alcune carenze delle energie rinnovabili. Una volta ottenuto, l’idrogeno infatti è facile da trasportare e da conservare, rendendolo ideale nel subentrare alle rinnovabili nei momenti di bassa produzione energetica. Ecco perché è un’ottima notizia che lo scorso Agosto “Hybridt”, un consorzio svedese, abbia commercializzato il primo acciaio verde ottenuto utilizzando energia proveniente dall’idrogeno[12].
  • Il termine Net Zero è stato coniato quando si è capito che sarebbe stato impossibile arrivare al 2050 a un Emission Zero. Tutti gli scenari sensati per arrivare a Net Zero prevedono un ampio utilizzo di tecnologie carbon negative, ovvero che sottraggono gas a effetto serra dall’atmosfera. L’apertura in Islanda del più grande stabilimento di cattura di anidride carbonica “Orca”, con una capacità di assorbimento di 4.000 tonnellate annue, è quindi un’altra ottima notizia[13].
  • Negli ultimi vent’anni ci sono stati degli sviluppi importantissimi per quanto riguarda l’energia nucleare e alcuni dei suoi problemi più grossi, come quello delle scorie, dei tempi di costruzione degli impianti e della proliferazione nucleare (ovvero il rischio che know-how e sottoprodotti della reazione nucleare vengano usati per scopi militari). Una nuova generazione di reattori è ormai alle porte (uno è appena stato acceso in Cina[14]) e nuovi reattori modulari più veloci da costruire, sicuri, compatti e che utilizzano materiale di scarto della reazione nucleare come combustibile stanno per diventare realtà[15] [16], mentre la fusione nucleare (che al contrario della fissione non produce scorie radioattive e non ha bisogno di uranio) forse non è più solo un sogno lontano[17].
COP26: che la forza sia con noi
Source: Flickr, John Englard - https://www.flickr.com/photos/takver/23677907275

Una storia verde

La strada è sicuramente in salita e non è affatto detto che la specie umana riuscirà a contenere l’aumento di temperatura rispetto ai livelli pre-industriali a 1.5°C.  D’altro canto, oggi sappiamo esattamente quelle che sono le azioni e gli investimenti necessari per raggiungere gli obbiettivi concordati a Parigi sei anni fa: ovvero il dimezzamento delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 e il loro azzeramento entro il 2050.  In questa COP non si discuterà più di ambizioni future, ma si deciderà in che modo i vari governi adempieranno agli impegni presi a Parigi. La conferenza delle parti a Glasgow ha quindi tutte le carte in regola per rappresentare un punto di svolta nella lotta contro il surriscaldamento globale.

May the green force be with us.

Giovanni Sgaravatti

Fonti e riferimenti

[1] UK, Finlandia, Francia, USA, Australia, Portogallo, Brasile, India, Filippine e Nigeria.

[2] Young People’s Voices on Climate Anxiety, Government Betrayal and Moral Injury: A Global Phenomenon

[3] Four in 10 young people fear having children due to climate crisis

[4] Climate Emergency And Civil Disobedience

[5] The (unequal) European Green parties’ rise in the 21st Century. Origins, development and possible causes

[6] The United States Officially Rejoins the Paris Agreement

[7] China launches world’s largest carbon market: but is it ambitious enough?

[8] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_21_3661

[9] The Brussels Effect ; The European Union as a Global Regulatory Power

[10] https://ourworldindata.org/cheap-renewables-growth

[11] Green Energy in America Needs a Lot More Land: Map

[12] Climate change and innovation Hydrogen’s moment is here at last

[13] Orca – the world’s first large-scale direct air capture and storage plant

[14] Why China is developing a game-changing thorium-fuelled nuclear reactor

[15] Traveling Wave Reactor Technology

[16] France to Build Small Nuclear Reactors by 2030 in Export Push

[17] Fusione a confinamento magnetico: una fonte di energia pulita

Giovani e sostenibilitá: un impegno incoerente?

Il primo giugno segna l’uscita degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi del 2015, il trattato mondiale per combattere il riscaldamento globale[1]. Questo evento innesca una forte mobilitazione dei giovani in tutto il mondo.

In Europa come nel resto del mondo, l’impatto mediatico della militante svedese Greta Thunberg – seguito da un importante incremento del voto a impronta ecologista alle elezioni europee – hanno reso tangibile l’impegno collettivo dei giovani di fronte all’emergenza climatica. Il loro obiettivo è duplice: dimostrare che l’ecologia non è appannaggio esclusivo di un partito politico o di una classe sociale ma anche permettere un rilancio dell’Unione Europea attorno a dei valori comuni unificatori.

Ma al di lá della mobilitazione collettiva , a livello individuale, questi giovani perseguono davvero il loro impegno ecologico o sono talvolta preda di contraddizioni? Quali comportamenti sono davvero ecologici?

La mobilitazione collettiva dei giovani: un vento nuovo per una costruzione europea?

Giovani e sostenibilitá: perché questo impegno?

Anche se non hanno ancora l’etá per il voto, i giovani si impegnano ugualmente quando si tratta dei grandi temi legati all’ambiente e al futuro del pianeta[2]. I temi da loro preferiti fanno riferimento al degrado della biodiversitá degli oceani, del suolo, dell’aria e del clima, dell’inquinamento luminoso, a quello derivato della plastica e alla deforestazione.

Le rivendicazioni variano da un paese all’altro, i progressi in termini di protezione dell’ambiente sono stati infatti marcati da differenze di passo tra i vari paesi. Per esempio, per quanto riguarda la politica sugli imballaggi, sin dagli anni ’90 la Germania ha messo in piedi un sistema di consegne per le bottiglie riutilizzabili, dal 2003 si è dotata di un sistema anche per le lattine e le bottiglie in plastica[3]. Paesi come la Danimarca, l’Estonia, l’Islanda e la Svezia hanno un tasso di raccolta di imballaggi in vetro, plastica e alluminio molto elevato. Anche altri paesi come la Finlandia, la Norvegia, il Belgio e i Paesi Bassi hanno messo in campo delle politiche che incentivano la raccolta degli imballaggi di vetro, plastica e alluminio. In fine, altri paesi come Francia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Lettonia sono in ritardo per quanto riguarda l’implementazione di tali sistemi. In materia di trasporti, l’Olanda, la Danimarca e l’Ungheria sono i paesi europei in cui gli abitanti utilizzano di piú le biciclette come mezzo di trasporto quotidiano con rispettivamente il 36%, il 23% e il 22% di persone che utilizzano questo mezzo[4].

Nel Sud e nell’Est dell’Unione Europea, si ritiene che sia il cambiamento climatico ad avere un impatto sulla vita quotidiana.[5]. In Grecia, Italia, Bulgaria, Slovenia, Ungheria e Croazia, la percentuale di coloro che ritengono che il cambiamento climatico abbia un impatto sulla vita di ogni giorno è di piú del 90%, mentre la percentuale scende all’80% tra i francesi, i polacchi, gli spagnoli e i portoghesi , per poi passare al 60% in Danimarca, Svezia, Finlandia e Regno Unito.

Quali mezzi utilizzano i giovani?

Questo connubio tra giovani e sostenibilitá si esprime con manifestazioni, scioperi studenteschi, condivisioni e sfide sui social network come la TrashTag Challenge in cui si pubblicano delle foto prima e dopo la pulizia di mari, spiagge o foreste.

Il modo in cui i giovani si impegnano non segue  i tatticismi e le strategie che appartengono invece alla politica, alla quale il 51% di essi imputa di avere una responsabilitá diretta in tema di protezione dell’ambiente. Inoltre, il 95% dei giovani sostengono che i politici non facciano abbastanza in tema di questioni ambientali e di cambiamento climatico e il 57% ritiene che addirittura i politici “non fanno proprio nulla a riguardo”[6].

giovani e sostenibitlitá : da chi dipende l'ambiente?
Caption grafico: “Ritieni che la protezione dell’ambiente sia una responsabilitá anzitutto di: governi e istituzioni pubbliche (51%), cittadini (34%), imprese (15%)”

Sin dalla loro piú giovane etá, i giovani vengono sensibilizzati al rispetto della natura e dell’ambiente e hanno quindi la volontá di agire nell’interesse generale pensando al loro avvenire e a quello delle generazioni future e spesso lo fanno formando o partecipando a associazioni al fine di far sentire le loro ragioni. L’inchiesta Eurobarometro sulla gioventú europea indica che il 53% dei giovani nella fascia 15-30 anni si sono impegnati in un’associazione nel corso del 2017[7].

E’ questo il caso della Lobby di Poissy, un’associazione di giovanissimi creata da Anaïs Willocq, insegnante presso la scuola Michel de Montaigne a Poissy (Francia) e Elsa Grangier, giornalista, realizzatrice e coordinatrice del progetto[8] , sostenuto da Nicolas Hulot – giornalista e ex ministro francese dell’Ecologia, della Sostenibilità e dell’Energia  – e Hubert Reeves, astrofisico e attivista ecologista.

Progressivamente, sono riusciti a mobilitare 310 ragazzi tra i 10 e i 17 anni, provenienti dalle scuole di una decina di paesi europei insieme ai loro 27 professori[9]. Con il collettivo Kids for Planet’s Rights che si è costituito in quell’occasione[10], ogni paese ha partecipato alla redazione della dichiarazione europea dei diritti del pianeta e degli esseri viventi che è stata presentata mercoledí 27 novembre 2019 al Parlamento Europeo di Strasburgo[11] e tradotta nelle 27 lingue dell’Unione Europea. L’articolo 18 della dichiarazione riprende la nozione di “ecocidio” introdotta in Francia dalla giurista Valérie Cabanes[12] che precisa che “il pianeta ha il diritto di essere rappresentato per agire in sede legale contro chiunque si renda responsabile dell’eccessivo inquinamento”[13].

giovani e sostenibilitá - la lobby di Poissy
la lobby di Poissy

Essere giovani e eco-responsabili: un impegno individuale talvolta contraddittorio

A proposito di abitudini consumiste ancora fortemente ancorate

Questo binomio tra giovani e sostenibilitá potrebbe lasciar pensare che i giovani adottino anche nel loro quotidiano dei comportamenti volti al rispetto dell’ambiente e alla lotta al cambiamento climatico. Tuttavia, uno studio svolto con il metodo delle quote tra il 1 e il 14 marzo 2019 con 1678 giovani tra i 18 e 23 anni ha mostrato che l’83% della generazione Z pensa di fare degli sforzi nel quotidiano per limitare il proprio impatto sull’ambiente e il 18% di essi dichiara addirittura di fare “molto” in questo senso[14], anche di piú delle generazioni precedenti. In Europa, questo non è vero se non in due settori: i trasporti – visto che i giovani preferiscono camminare, utilizzare i mezzi di trasporto  in comune, il car-sharing cosí come l’utilizzo della bicicletta e dei monopattini elettrici – e le alternative all’acquisto di prodotti nuovi preferendo il mercato delle occasioni, lo scambio di prodotti usati e il noleggio[15].

Tuttavia questa relazione virtuosa tra giovani e sostenibilitá è contraddetta da alcuni loro comportamenti che non sono invece ecosostenibili in altri aspetti in cui essi sembrano fare meno sforzi che le generazioni precedenti[16]. Qui alcuni esempi:

–          La raccolta differenziata in modo sistematico (63%) ;

–          La riduzione del consumo di prodotti usa e getta (47%) ;

–          La riduzione dei consumi di acqua e energia (46%) ;

–          L’acquisto sistematico di prodotti locali (25%) ;

–          L’utilizzo di mezzi di trasporto piú ecologici (23%) ;

–          L’utilizzo meno frequente e piú efficace dell’auto (22%) ;

–          Evitare di prendere l’aereo per viaggi di corto raggio (9%) ;

Le abitudini consumistiche e edoniste sembrano essere ancora ancorate tra i giovani, che acquistano prodotti nuovi, e approfittano dei saldi per acquistare piú prodotti[17], non rinunciano ai viaggi in aereo e non hanno il riflesso automatico di spegnere gli apparecchi elettronici lasciandoli in stand-by.

Una falsa conoscenza di ció che è realmente ecologico

Con molta buona volontá e convinzione, spesso i giovani cercano di adottare un comportamento ecosostenibile ma sono spesso vittime di una falsa-conoscenza rispetto a ció che è veramente un modo d’agire ecosostenibile e ció che semplicemente sembra esserlo. Le tecniche di comunicazione chiamate “greenwashing”[18]  inquinano le acque e non permettono sempre ai giovani di fare delle scelte consapevoli e eco-responsabili. Ingannati dalle sirene del marketing, acquistano prodotti con etichette “eco” o “bio” con imballaggi biodegradabili quando invece potrebbero comprare lo stesso prodotto direttamente sfuso, o prodotti che hanno un unico utilizzo invece di utilizzare contenitori che possono essere utilizzati piú volte. Il computer, per esempio, è utilizzato al posto della televisione per vedere video o film in streaming e l’ascolto della musica online ha ormai rimpiazzato le modalitá di ascolto utilizzate dalle generazioni precedenti (vinili, cd, ecc.). Nonostante questi strumenti sembrino “green” o “ecofriendly”, in realtá essi consumano una grande quantitá di dati con un impatto ecologico colossale in termini di CO2. Le bici e i monopattini elettrici – particolarmente apprezzati dai ragazzi – possono sembrare dei mezzi di spostamento ecosostenibili, ma lo sono solo in parte in quanto funzionano anche grazie a batterie contenenti litio, la cui estrazione richiede grandi quantitá d’acqua[19] .

Converrebbe quindi domandarci quali siano le azioni che potrebbero portare a incentivare i giovani a capire cosa è e cosa non è ecologico cosicché possano adottare comportamenti piú coerenti con le loro istanze di sostenibilitá ambientale. É vero che l’atteggiamento in merito a queste tematiche sta evolvendo in maniera assolutamente positiva sia a livello collettivo che individuale, ma cosa possono fare i giovani se non ricevono un’adeguata informazione e se i prodotti a loro proposti non sono rispettosi dell’ambiente?

Le politiche pubbliche in favore della difesa dell’ambiente devono dunque essere piú forti in materia di prevenzione e sensibilizzazione attraverso per esempio: campagne d’informazione e comunicazione nelle scuole, un sistema di etichette dettagliato sui prodotti non inquinanti o riciclabili, sovvenzioni per il noleggio o per l’acquisto anche di beni come bici e monopattini non elettrici e non unicamente per quelli elettrici come invece avviene in alcuni paesi[20], la promulgazione di leggi rivolte all’industria al fine di disincentivare la produzione di prodotti con eccessivi imballaggi benché riciclabili, e molto altro ancora.

Ma pure le motivazioni economiche si frappongono tra giovani e sostenibilitá. I prodotti bio e ecosostenibili hanno spesso un costo piú elevato rispetto agli altri prodotti e per alcuni giovani i benefici non sono tanto importanti da cambiare i loro comportamenti d’acquisto dirigendoli verso questi prodotti[21].

Il cambiamento di mentalitá e comportamenti non puó realizzarsi dall’oggi al domani. Questo cambiamento non potrá essere efficace e duraturo se non avvenendo in modo piú lento in alcune decine d’anni con un adeguamento ai principi della transizione ecologica che è un’evoluzione verso un nuovo modello economico e sociale e un modello di sviluppo sostenibile[22]. Le soluzioni proposte devono essere frutto di profonda e attenta riflessione, moderate e realiste per non rischiare di ottenere risultati opposti a quelli desiderati o che le decisioni prese siano oggetto di interessi economici o ancora che rendano l’Europa dipendente da altre potenze mondiali (come ad esempio Russia e Cina).

La Commissione Europea ha dunque presentato l’European Green Deal. Un patto verde per l’ambiente che raggruppa diverse iniziative europee con il fine di rendere l’Europa climaticamente neutrale nel 2050. Votata dal Parlamento Europeo il 7 ottobre 2020, ha come obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 60% da qui al 2030 (prendendo come livello di partenza il 1990)[23], cosí come pure di ridurre l’utilizzo e il rischio della presenza di pesticidi nell’agricoltura e nell’alimentazione da qui al 2030 attraverso la strategia del “dal forcone alla forchetta”[24] e della protezione della biodiversitá.

Corinne Ors

tradotto in italiano dal francese da Filippo Paggiarin e Livia Corbelli

Note e Fonti

[1] https://unfccc.int/fr/process-and-meetings/l-accord-de-paris/qu-est-ce-que-l-accord-de-paris

[2] Anne-Marie Dieu, direttrice della ricerca presso l’Osservatorio dell’infanzia, la gioventú e l’aiuto alla gioventú in Vallonia https://www.touteleurope.eu/actualite/la-question-climatique-a-t-elle-redonne-aux-jeunes-europeens-le-gout-de-la-politique.html

[3] https://www.linfodurable.fr/entreprises/consigne-sur-les-emballages-que-font-les-autres-pays-europeens-12406

[4] https://www.lemonde.fr/blog/transports/2019/05/11/10-chiffres-sur-le-velo-en-europe/

[5] https://www.ouest-france.fr/environnement/climat/41-des-jeunes-europeens-pensent-qu-ils-devront-demenager-cause-du-changement-climatique-6624317 : un’inchiesta dell’istituto BVA realizzata dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) pubblicata lunedí 25 novembre 2019..

[6] https://diplomeo.com/actualite-sondage_ecologie_jeunes

[7] https://www.touteleurope.eu/actualite/la-question-climatique-a-t-elle-redonne-aux-jeunes-europeens-le-gout-de-la-politique.html

[8] Elsa Grangier, Rêver Grand, Ces enfants qui s’engagent pour la planète, ”Questi bambini che si impegnano per il pianeta” Éditions du Seuil, Paris, mars 2020.

[9] I paesi coinvolti sono stati: Polonia, Spagna, Italia, Portogallo, Germania, Repubblica Ceca, Croazia, Svezia e la Francia con i suoi Dipartimenti d’Oltremare come la Guyana, la Polinesia Francese e Réunion.

[10] www.kidsforplanetrights.org

[11] https://ec.europa.eu/france/news/20191127/declaration_europeenne_droits_planete_fr

[12] Valérie Cabanes é una giurista che si occupa di diritto internazionale specializzata nei diritti umani e diritto umanitario, è altresí un’ecologista e saggista francese.

[13] Questo riconoscimento dei diritti legali e fondamentali è giá stato adottato nella costituzione dell’Ecuador nel 2008, anche la Bolivia ha preso misure simili. Dal 2010, l’ONU ha proclamato che l’armonia con la natura deve essere ricercata e accompagnare lo sviluppo delle societá umane.

[14] Sondaggio a proposito di giovani e sostenibilitá https://diplomeo.com/actualite-sondage_ecologie_jeunes

[15] https://www.credoc.fr/publications/environnement-les-jeunes-ont-de-fortes-inquietudes-mais-leurs-comportements-restent-consumeristes

[16]https://www.europarl.europa.eu/at-your-service/files/be-heard/eurobarometer/2016/european-youth-in-2016/analytical-overview/fr-analytical-overview-european-youth-in-2016.pdf

[17] https://www.lefigaro.fr/conjoncture/malgre-leur-fibre-ecolo-les-jeunes-sont-plus-consumeristes-que-leurs-aines-20191230

[18] https://greenwashingeconomy.com/definition/definition-developpement-durable/definition-greenwashing/

[19] Il litio é un metallo alcalino estratto in paesi lontani dall’europa (Australia, Cina, Argentina, Cina)

[20] https://www.service-public.fr/particuliers/actualites/A14091

[21] https://diplomeo.com/actualite-sondage_ecologie_jeunes

[22] https://www.service-public.fr/particuliers/actualites/A14091https://www.touteleurope.eu/consultations-citoyennes/le-developpement-durable-en-europe/transition-ecologique-et-mobilite-durable.html

[23] https://www.europarl.europa.eu/news/fr/headlines/society/20190926STO62270/qu-est-ce-que-la-neutralite-carbone-et-comment-l-atteindre-d-ici-2050

[24] A Farm to Fork Strategy for a fair, healthy and environmentally-friendly food system é una strategia che fa parte delle 11 componenti del Patto Verde. Essa fissa 5 obiettivi prioritari da raggiungere: assicurare la sicurezza degli alimenti, ridurre il consumo di pesticidi e fertilizzanti, lottare contro la resistenza agli antibiotici, sostenere l’innovazione e migliorare l’informazione dei consumatori. La strategia “dal forcone alla forchetta” prevede come obiettivo la riduzione dell’utilizzo di prodotti fitosanitari, dei fertilizzanti e degli antibiotici, il supporto ai piani di sviluppo dell’agricoltura biologica, la lotta allo spreco alimentare e contro le frodi nella catena di approvvigionamento agroalimentare come pure la riapertura del dibattito sull’utilizzo di proteine animali trasformate, il ricorso a nuove tecniche di selezione vegetale o il benessere degli animali. Fonte:  http://www.agra.fr/strat-gie-de-la-fourche-la-fourchette-bruxelles-consulte-art459985-1.html?Itemid=333

 

Che cos’é il Carbon Pricing?

A partire dal 1972 la Comunità Internazionale ha preso atto della pericolosità degli effetti del cambiamento climatico sulla vita degli esseri umani e sull’ambiente[1]. In questi ultimi 40 anni sono stati fatti grandi passi in avanti, a partire dalla ricerca scientifica per contrastare gli effetti irreversibili del cambiamento climatico, all’azione politica globale volta a promuovere società sempre più sostenibili, ai grandi cambiamenti tecnologici in ambito di fonti energetiche rinnovabili, arrivando fino alla geoingegneria. Tanto si è fatto finora, ma tanto c’è ancora da fare. Nel 2020 non possiamo più continuare a parlare in termini moderati quando parliamo di cambiamento climatico, è arrivata l’ora di trattare questo problema per ciò che è davvero: un’emergenza ambientale, economica, politica e umana.

E’ con questa consapevolezza che gli accademici di tutto il mondo sostengono fermamente che prezzare il carbonio sia una mossa strategica importante per il raggiungimento degli ambiziosi target di riduzione delle emissioni di CO2, per facilitare la transizione ad un sistema economico a zero emissioni e invertire quindi la rotta del surriscaldamento globale entro il 2050[2]. Per conoscere quali sono le petizioni e iniziative europee su questo tema, vi invito a leggere l’articolo di Giovanni Sgaravatti qui su Jeune Europe “Detassare il lavoro tassando la CO2”.

CHE COS’E’ IL CARBON PRICING?

Per poter spiegare che cos’è il carbon pricing (prezzo sul carbonio), è necessario innanzitutto spendere due parole su cosa sono le politiche ambientali e quali sono gli strumenti per poterle attuare. Quando parliamo di politiche ambientali intendiamo tutte quelle strategie definite a livello governativo per risolvere dei problemi che impattano negativamente sull’ambiente e sulla società. Una volta definite queste strategie, è necessario trovare i metodi e gli strumenti più adeguati per poterle implementare in modo più efficiente possibile. In questo contesto, possiamo dividere gli strumenti di politica ambientale in due macro-gruppi: strumenti basati sui meccanismi di mercato (market-based) e i regolamenti/legislazioni ambientali  (command-and-control). Quando si parla di carbon pricing, ci si riferisce ad un insieme di strumenti basati su meccanismi di mercato. In questo gruppo di strumenti, possiamo incontrare sia le tasse sulle emissioni di CO2 (strumento price-based) sia sistemi cap-and-trade come l’EU ETS (strumento quantity-based).

Secondo gli economisti, il modo migliore per poter ridurre le emissioni di CO2 è di utilizzare strumenti basati su meccanismi di mercato. Attualmente sono più di 50 i paesi nel mondo che hanno adottato il carbon pricing quale strumento per ridurre le emissioni di CO2[3].

PERCHÉ ADOTTARE IL CARBON PRICING?

In termini economici le emissioni di CO2 rappresentano un’esternalità negativa. Si parla di esternalità negativa quando il prezzo di mercato dei beni/servizi non riflette il costo reale nella società. Ad esempio, il prezzo del cherosene usato come carburante degli aerei riflette solo il costo di produzione e non prende in considerazione anche il danno generato dalle emissioni di CO2 alla la società[4]. Questo significa che, nel contesto dei trasporti aerei, le decisioni che le imprese e i consumatori prendono non risultano nell’interesse della società perché sono basate su prezzi che non riflettono il costo reale: i consumatori trovando economico prendere un aereo, aumenteranno la frequenza dei propri viaggi contribuendo all’incremento delle emissioni a discapito dell’interesse collettivo; le aziende di aviazione, d’altra parte, aumenteranno la propria offerta di viaggi più di quanto sarebbe ottimale per la società. Quindi capiamo che, in presenza di esternalità negativa causata dalle emissioni di CO2, il mercato non è in grado di agire nell’interesse della società e si parla di fallimento di mercato. Come si può risolvere questo fallimento? Sistemando i prezzi, facendo in modo che il prezzo pagato per un determinato bene o servizio rifletta anche il costo ambientale. In poche parole, istituendo un carbon pricing attraverso una tassa sulle emissioni[5] o adottando un sistema di permessi di emissione (cap-and-trade system)[6].

I LATI POSITIVI DEL CARBON PRICING

Il carbon pricing è uno strumento molto amato dagli economisti, non solo perché può risolvere l’esternalità negativa generata dalle emissioni, ma anche perché permette di raggiungere gli obiettivi di riduzione di emissioni in tempi veloci e ad un costo basso. In altri termini, è uno strumento “cost-effective” che apporta grandi benefici al minor costo possibile. Il prezzo messo sulle emissioni di CO2 oltre a portare ad una riduzione del consumo di carburanti fossili, crea anche un incentivo per l’utilizzo e lo sviluppo di tecnologie e fonti di energia non inquinanti[7]. A differenza di altri strumenti di politica ambientale (come ad esempio gli incentivi sul solare), che creano una distorsione all’interno del mercato delle fonti di energia rinnovabile, il carbon pricing lascia libera la competizione tra le varie alternative di energia pulita, permettendo a quella migliore di emergere. La maggiore competizione spinge anche gli investimenti in ricerca e sviluppo verso tecnologie innovative, favorendo la creazione di una società sempre più sostenibile e all’avanguardia nelle tecnologie ‘pulite’.

I LATI NEGATIVI DEL CARBON PRICING (che peró possono diventare positivi)

In concreto quale sarebbe l’impatto di adottare il carbon pricing? Con alta probabilità il costo ricadrebbe totalmente sui consumatori, in quanto i produttori e le aziende che inquinano aumenterebbero i prezzi dei prodotti e servizi offerti. Questo è inevitabile, ma è anche necessario e utile perché con l’aumento dei prezzi di beni e servizi dannosi per l’ambiente, i consumatori saranno incentivati a fare scelte più sostenibili. In risposta a questo cambiamento nelle preferenze di consumo, le aziende saranno spinte a trasformare il proprio modus operandi e a offrire beni e servizi in linea con la domanda.

Una critica spesso mossa alle tasse sulle emissioni è che esse colpiscono maggiormente le categorie a reddito più basso della società. Anche questo è vero. Ma tale problema si può ovviare se i ricavi derivanti dalla tassazione vengono utilizzati per detassare il lavoro, perché ciò che uccide l’occupazione e alimenta la spirale della disoccupazione non sono le tasse ambientali ma quelle sul lavoro. Abbassando questa tassazione, si riduce la disoccupazione, si crea impiego e si possono offrire salari più alti alle fasce più svantaggiate[8].

 

In conclusione, il carbon pricing può essere uno strumento chiave non solo per migliorare le condizioni ambientali, ma anche per migliorare le condizioni dei gruppi più vulnerabili della società, i quali sono i beneficiari indiretti della minore tassazione del lavoro. Tuttavia, poiché il beneficio di questa politica viene visto solo nel lungo termine, mentre i costi sono immediati, al giorno d’oggi è ancora impopolare dal punto di vista politico parlare di carbon pricing[9]. Il consenso è difficile da raggiungere in questo contesto e la grande sfida politica rimane quella di riuscire a trovare il giusto compromesso tra tutela ambientale e consenso sociale.


[1] UN Conference on the Human Environment 1972 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/CONF.48/14/REV.1

[2] Paris Agreement 2015 https://unfccc.int/files/essential_background/convention/application/pdf/english_paris_agreement.pdf

[3] State and Trends of Carbon Pricing 2018 https://openknowledge.worldbank.org/bitstream/handle/10986/29687/9781464812927.pdf

[4] Kerosene Currently Untaxed https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2019-004459_EN.html

[5] Pigou, Taxation and Public Goods http://personal.lse.ac.uk/sternn/009NHS.pdf

[6] How Cap-and-Trade Works https://www.edf.org/climate/how-cap-and-trade-works

[7] How Carbon Pricing Accelerates Innovation https://www.weforum.org/agenda/2017/10/how-carbon-pricing-accelerates-innovation/

[8] Environmental Fiscal Reform in Developing, Emerging and Transition Economies: Progress & Prospects http://www.worldecotax.org/downloads/info/documentation_gtz-Workshop.pdf

[9] Economists Love Carbon Taxes. Voters Don’t https://www.forbes.com/sites/howardgleckman/2018/12/27/economists-love-carbon-taxes-voters-dont/#324951784338

Abbandonare l’energia nucleare: una soluzione per il futuro?

Aprile 1986, Ucraina – la centrale nucleare di Chernobyl subisce un incidente senza precedenti, in grado di minacciare l’equilibrio biologico, ambientale e politico mondiale. Marzo 2011, Giappone- un maremoto colpisce la centrale nucleare di Fukushima e causa, per la prima volta dopo Chernobyl, un incidente anche maggiore, classificato al livello 7 (il livello il più alto della scala internazionale degli eventi nucleari). Queste due date sono diventate celebri, perché hanno avuto delle conseguenze su diversi piani: l’ambiente, la salute, la politica e anche la nostra cultura industriale. Hanno messo in discussione il nostro modo di produrre l’energia, ma anche il nostro modo di consumarla. Quello che era un rischio, uno scenario plausibile ma poco probabile, è diventato realtà. La questione sicurezza, con la paura che questi eventi si moltiplichino, ci hanno portati a riconsiderare l’utilizzo del nucleare.

Oggi più che mai, il nucleare è diventato uno dei dibattiti i più accesi del momento, mentre lo spazio dedicato alla tematica ambientale è in crescita nell’arena politica. Questo è particolarmente vero in Francia, il paese del nucleare per eccellenza, dove comunque ci sono numerosi detrattori del nucleare civile. In effetti, la Francia è, su scala globale, il paese che usa di più l’energia nucleare per produrre la sua elettricità: nel 2017, il 71.6% della produzione francese di elettricità era nucleare, secondo EDF[1]. Anche se il gigante della produzione di elettricità di origine nucleare rimangono gli Stati Uniti (804.9 TWh in 2017 contro i 379.1 per la Francia), la proporzione di questa produzione nella creazione di elettricità su scala nazionale rappresenta appena il 20%.

 

Fonte: IEA, Word Energy Statistics. https://www.iea.org/statistics/ All rights reserved.

Benché per ora non ci sia stato nessun incidente nucleare deplorevole in Francia, numerose sono le persone che temono e sottolineano ancora i rischi e le probabilità di un incidente con conseguenze drammatiche. Associazioni come Greenpeace, WWF, NégaWatt, Sortir du Nucléaire[2]sono molto attive per provare ad avere un impatto sulle decisioni politiche e a sensibilizzare il popolo per la loro causa. NégaWatt, per esempio, ha condiviso il suo piano ideale per il 2050, che porterebbe ad un’uscita progressiva dal nucleare civile entro il 2035, sostituito al 100% dalle energie rinnovabili entro il 2050.  Sostengono anche la necessità di un abbandono totale delle energie fossili e di dimezzare il consumo di energia in Francia. Per questa associazione, un’alternativa al nucleare esiste effettivamente e dobbiamo prenderla in considerazione. A difesa della loro tesi queste organizzazioni usano diversi argomenti, non soltanto quello del rischio di incidente.

Per esempio, un altro aspetto da valutare è di tipo economico: la maggior parte delle centrali nucleari occidentali stanno invecchiando, e in alcuni anni avranno già raggiunto il loro limite di età (40 anni). Sarà allora necessario iniziare diversi lavori di ristrutturazione per poter prolungare la loro vita di 10 anni; o direttamente costruire nuove centrali – un’altra opzione anche molto costosa. Soltanto in Francia, sarebbero necessari 800 milioni di euro per prolungare la vita di un reattore e per ottenere una nuova autorizzazione all’utilizzo. Considerando che il paese ne possede cinquantotto, il calcolo è chiaro: costerà molto… Per non parlare poi del costo e della pericolosità del trattamento dei residui radioattivi, che sono il punto critico principale del nucleare civile.

Un altro argomento, ancora più importante, è che il nucleare non aiuta a incentivare un consumo responsabile di energia, visto che ci garantisce una quantità infinita di elettricità, disponibile in ogni momento della giornata o dell’anno. Il nucleare alimenta il mito di un’energia assolutamente inesauribile. E, dato che funziona così bene, il nucleare civile è accusato di rallentare lo sviluppo delle energie rinnovabili, che potrebbero infine sostituirlo. Sembra allora ovvio che l’energia nucleare sia uno strumento che dovremmo progressivamente abbandonare.

 

Bilan Électrique 2018 Rte France, https://bilan-electrique-2018.rte-france.com/synthese/

Eppure, non è così semplice. Il dibattito non è manicheo: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’energia nucleare non è in tutto negativa e, soprattutto, i numeri che la difendono sono convincenti. Infatti, oltre al fatto che garantisce una produzione di energia abbondante, controllabile e disponibile su richiesta, il nucleare ha la virtù impressionante di emettere veramente poca CO2. In realtà, è una delle energie che inquina di meno da questo punto di vista insieme all’eolico. Il nucleare emette circa 12g di CO2 per kW/h, e l’eolico 11. Tuttavia, quest’ultimo non ha la capacità di produrre continuamente così tanta elettricità. In confronto, l’idraulico produce 24g di CO2 per kW/h, il fotovoltaico 41, le centrale a gas 490 e le gigante a carbone, 820. I numeri sono dunque chiari: l’energia nucleare ha una grande virtù indispensabile, che ci costringe a riesaminarla. Specialmente dato che la priorità ambientale di questo decennio è diminuire le nostre emissioni di CO2, in modo da mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°C. Per ora, persino alcune energie rinnovabile non hanno risultati tanto buoni quanto il nucleare. Inoltre, anche se la Francia non è un modello di ecologia, è comunque uno dei paesi che emette il meno di CO2 al mondo, grazie alla sua eccezionale produzione di energia nucleare. Nel 2017, emetteva per esempio soltanto lo 0.9% della CO2 mondiale (4.56 tonnellate/ab./anno, sapendo che la sua popolazione rappresentava allora 0.8% della popolazione mondiale) [3].

 

Source: IEA, Word Energy Statistics. https://www.iea.org/statistics/ All rights reserved.

Perché allora dovremo considerare come un’emergenza l’uscita dal nucleare? Quando la maggior parte dei detrattori di questa energia sottolineano i rischi che potrebbe generare – cioè, la sua pericolosità possibile ma non sicura – i suoi seguaci evidenziano i numeri tangibili che dimostrano che un’uscita del nucleare per ora farebbe niente altro che peggiorare il surriscaldamento globale. Peraltro, la maggior parte degli scenari del GIEC che vogliono mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°C considerano l’utilizzo dell’energia nucleare. Secondo diversi ingegneri, come Jean-Marc Jancovici, la convinzione che il nucleare sia interamente sostituibile con energie rinnovabili è parzialmente falsa, perché, per il buon funzionamento di tale scenario, bisognerebbe ridurre drasticamente il nostro consumo di  energia. Sarebbe allora più giusto definire questa sostituzione come “essenzialmente fatta con economie di energia, e marginalmente con le energie rinnovabili”[4]. Potremo ottenere una tale riduzione dei nostri consumi soltanto nel lungo periodo, e progressivamente. Quindi, per ora, uscire del nucleare sarebbe una scelta discutibile, perché non abbiamo ancora le conoscenze necessarie per sostituirlo interamente con le energie rinnovabili, ciò perché non sono abbondanti, neanche “controllabili” – cioè, dipendono da fattori esterni come il vento o il sole che non possiamo gestire a nostro piacimento. Sarebbe allora necessario compensare con risorse che hanno un’efficienza simile al nucleare, cioè il carbone, il gas o l’idroelettrico. Quest’ultimo richiede una situazione geografica particolare, o un costo economico, umano e ambientale importante, non sostenibile per tutti i paesi.

Come dice Jean-Marc Jancovici, bisogna porsi una domanda, la cui risposta è meno ovvia di quanto possa sembrare: “Le energie rinnovabili sono più ecologiche del nucleare?[5]. L’idroelettrico, unica opzione veramente equivalente al nucleare (perché produce poca CO2 ed è capace di produrre energia in abbondanza), imporrebbe interventi poco ecologici, come inondare una valle intera – come fu il caso per la costruzione della diga la più grande del mondo: la diga delle Tre Gole, in Cina. Oltretutto, Jancovici sottolinea il fatto che il numero di persone che sono state spostate a causa della costruzione di questa diga è tra 5 e 10 volte più grande che quello delle persone spostate a cause delle catastrofi nucleare di Chernobyl o Fukushima (nel primo caso, un effetto di reversibilità è già iniziato, cosa che sarebbe impossibile nel caso delle Tre Gole). Risultato: bisogna compensare il nucleare civile con un sistema che userebbe le energie fossili. Eppure, l’impatto ambientale e sulla salutà di queste ultime è peggiore dell’impatto del nucleare. Sarebbe tornare indietro, producendo ancora più di CO2.

 

Centrale Nucleare di Cruas. Foto di Maarten Sepp. https://web.archive.org/web/20161021125503/http://www.panoramio.com/photo/62591141

Benché il rischio zero non esista e che sia necessario tenere conto della pericolosità possibile e effettiva (in particolare riguardo ai rifiuti radioattivi) del nucleare civile, sembrerebbe che quest’ultimo sia sopratutto demonizzato, e poco apprezzato per le sue virtù effettive. Eppure, c’è comunque un’emergenza ambientale, delle misure efficaci devono essere prese per evitare scenari catastrofici. In questo caso come potremmo essere sicuri che un’azione politica mirata ad uscire completamente dal nucleare sia una buona azione? Per ora, sembra che non lo sia; ma si devono sicuramente concentrare gli nostri sforzi su due obiettivi principali: continuare a sviluppare le energie rinnovabili e le loro capacità; cercare un mezzo per sbarazzarsi dei rifiuti nucleari, così come rafforzare la sicurezza nelle centrali nucleari.

Alla fine, l’umanità potrebbe forse trovare un’energia davvero pulita. Nel frattempo, come lo dice Henri Waisman, ricercatore all’Istituto dello sviluppo sostenibile e dei rapporti internazionali francesi (IDDRI)[6], la “‘decarbonizzazione’ può essere fatta attraverso diversi mezzi: le energie rinnovabile, la cattura del carbone […] o anche il nucleare. […] Dipenderà dei costidelle diverse opzioni. La transizione energetica è una scelta da fare. Nessuno è perfetto, anche le energie rinnovabili hanno degli effetti negativi. È necessario guardare il problema nella sua complessità. Non ci saranno soluzioni semplici[7].

Laura Poiret


Riferimenti:

[1] Elettricità di Francia, azienda di elettricità francese che appartiene per la  maggior parte allo Stato. 

[2] Letteralmente, « Uscire dal Nucleare ».

[3] Per esempio, rispetto alla Cina, primo emittente mondiale di CO2 (28.2% delle emissioni di CO2 mondiale nel 2017, tra cui 6.68 tonnellate emessa per abitante ogni anno). È una prestazione migliore della maggior parte degli altri paesi dell’Europa occidentale (8.70 tonnellate/ab./anno; 5.45 per la Spagna; 5.43 per il Regno Unito e 5.31 per l’Italia).

[4] J-M. Jancovici, « Discussione su alcuni luoghi comuni sul nucleare civile”, “Discussion autout de quelques idées reçues sur le nucléaire civil » (traduzione dell’autrice), jancovici.com

[5] « les énergies renouvelables sont-elles plus écologiques que le nucléaire ? », traduzione dell’autrice, Ibid.

[6] “Institut du développement durable et des relations internationales », traduzione dell’autrice.

[7] Henri Waisman, per un articolo di France Tv Info del 09/07/2019, « Faut-il sortir du nucléaire pour sauver la planète ? Sept arguments pour comprendre le débat ». (« Dobbiamo uscire del nucleare per salvare la pianeta ? Sette argomenti per capire il dibattito.”, traduzione dell’autrice). à la « ‘décarbonisation’ peut passer par de multiples moyens : le renouvelable, la capture et la séquestration de carbone […] ou encore le nucléaire.  […] Cela dépendra des hypothèses de coût comparées aux autres options. La transition énergétique est un choix à faire. Aucun n’est parfait, les renouvelables aussi ont des impacts. C’est essentiel de regarder le problème dans sa complexité. Il n’y aura pas de solutions simples »

Una tragica epopea tra Natura e Cultura

 

“La cultura umana e la crisi ambientale sono strettamente e causalmente legate”. Scrive così Joseph Meeker nella sua introduzione a The Comedy of Survival. Precursore dall’ecocritica – un campo di studi letterari che si interessa al modo in cui è rappresentato l’ambiente nella letteratura – Meeker esprime in questa semplice frase qualcosa che abbiamo già constatato e accettato alcuni anni fa: la crisi ambientale che stiamo vivendo è quantomeno legata alle attività umane, se non da esse provocata provocata. Tuttavia, Meeker è ancora più preciso e la imputa ad una caratteristica dall’umanità che non è abbastanza messa in discussione nei dibattiti scientifici e politici attuali: la cultura.

Quindi la crisi ambientale non sarebbe semplicemente legata alla sovraproduzione e allo sfruttamento di massa delle risorse? Ovviamente, si, ma non solo; il problema è più complesso e più antico. Da sola, la scienza non può risolvere tutti i problemi, dobbiamo anche guardare altrove. Il comportamento umano, creato dalla cultura nella quale viviamo, è una tra le più importanti chiavi di comprensione del problema ambientale. 

Potremo iniziare la nostra ricerca tornando indietro nel tempo fino agli inizi dall’umanità sedentaria o alla nascita dall’agricoltura, ma forse è più logico cominciare dall’Antichità occidentale, culla della tragedia. Ma qual è il problema con la tragedia? Joseph Meeker mette in evidenzia le carratteristiche dall’Uomo tragico, spesso dipinto come un uomo orgoglioso, trascendente, nobile ed eroico, a cui tutti dovrebbero ispirarsi. Una tale visione dell’umanità, diffusa in tutto l’Occidente e attraverso il tempo, si è imposta come fosse la norma. Ed è appunto qui che si trova il problema: “L’orgogliosa visione dall’umanità affermata dal genere letterario della tragedia ci ha portati non ad una tragica trascendenza, ma ad una catastrofe ecologica”. L’Uomo tragico è superiore – superiore al resto del Mondo e tutto ciò che esso comprende. Ciò significa giustificare un comportamento sconsiderato e violento verso l’ambiente: poiché l’Uomo è superiore a tutto ciò che esiste, può averne il controllo e sfruttarlo a suo piacimento. Tuttavia, secondo Joseph Meeker, questa visione dell’umanità è sbagliata, perché ha permesso di dare  un’importanza suprema all’individuo, conducendo ciascuno a pensare che la propria “grandezza personale” poteva, e quindi doveva, essere compiuta, anche “al costo di una grande distruzione”.

Foto disponibile qui

È comunque importante precisare che la tragedia non è l’unico elemento culturale che rappresenta l’Uomo come un dio mortale. In realtà, non è neanche il primo a cui pensiamo di solito. Consideriamo spesso che la cultura occidentale attuale è costituita da due basi principali: le radici greco-romane, da un lato, e le radici giudaico-cristiane, dall’altro. Anche la religione, quindi, ha una parte di responsabilità nella tragedia ambientale imminente. 

Lynn White è uno dei primi ad affermare che il giudeocristianesimo ha aperto la strada a tutta una visione (sbagliata) del mondo e del posto dell’Uomo all’interno di esso. Nel suo discorso, pronunciato davanti all’AAAS durante un meeting a Washington nel 1967, White denuncia lo statuto privilegiato che Dio dà agli Uomini nei racconti della Creazione. Disturbato da un passaggio della Genesi, Lynn è convinto che, in questo modo, il Cristianesimo abbia creato un’Umanità dominatrice del proprio mondo e della Vita sulla Terra. In altre parole, il Cristianesimo ha autorizzato e giustificato tutte i tentativi di dominio e di controllo degli uomini sul mondo vivente, sia esso vegetale o animale. Dato che questa è la volontà di Dio, è nell’ordine delle cose che l’Uomo sfrutti all’infinito tutte le risorse. Infatti, è sua anche la missione sulla Terra. Come fa notare White, “Quello che gli Uomini fanno per la loro ecologia dipende dal modo in cui si mettono in relazione a tutto ciò che c’è attorno a loro”. Quindi, indirettamente e sul lungo termine, le conseguenze non sono altro che l’inevitabile crisi ambientale che stiamo vivendo e che Lynn White prevedeva già un mezzo secolo fa.

Adam and Eve in the Garden of Eden, Johann Wenzel-Peter, 1829, Pinacoteca Vaticana

Eppure, la teoria di White non è condivisa da tutti e non è stata accolta a braccia aperte. Numerosi sono quelli che dicono che la sua interpretazione della Bibbia è sbagliata: secondo loro, l’Uomo ha la grande responsabilità di prendersi cura del pianeta. Dunque, la Genesi consiglierebbe all’Uomo di governare non dispoticamente ma saggiamente; e di averne il controllo soltanto come un pastore controlla le sue pecore per proteggerle meglio. Un testo può essere interpretato in diversi modi, e Lynn White non ha il monopolio della ragione. Comunque, il suo discorso ha il merito di mettere in luce gli aspetti negativi di una cultura basata su una religione ambigua, che mette l’Uomo al vertice della Creazione divina e, dunque, al di fuori della Natura. 

Foto di Laura Poiret

Sicché, che sia attraverso l’arte o attraverso la religione, è evidente che l’Occidente ha definito un’umanità al di fuori della Natura, come se non ne dipendesse e non ne facesse parte, autorizzandolo così a sfruttarla senza sosta. Questa vecchia opposizione tra Natura e Cultura è simile al dualismo giudeo-cristiano tra l’anima e il materiale. Peraltro, la pura esistenza della nozione di Natura – concetto occidentale ancora oggi definito nei dizionari come l’insieme di tutto ciò che è vivente ad eccezione delle creazioni umane – è già molto eloquente.  Oggi le cose stano cambiando e le analisi scientifiche e filosofiche più recenti stanno contraddicendo questo vecchio dualismo, dando spazio ad un uomo-animale che sta mettendo in discussione il suo posto e il suo comportamento sulla Terra. Ciononostante, abbiamo ancora tante domande e poche risposte. Continuamo con accanimento a riporre tutta le nostre speranze nell’evoluzione delle nostre conoscenze tecnico-scientifiche, ma non dovremmo invece guaradare altrove? Come sottolinea Lynn White, “quello che facciamo per l’ecologia dipende dal modo in cui definiamo la relazione tra Uomo e Natura. Più scienza e più tecnologia non basterrano per tirarci fuori di questa crisi ambientale, finché non avremo trovato una nuova religione, o avremo ripensato le vecchie”. Aldilà del pensiero religioso, aggiungerei che bisognerebbe soprattutto ripensare interamente la nostra cultura. Finché non modificheremo il nostro modo di pensare (che è antropocentrico, materialista, e magari anche capitalista), sembra difficile immaginare un colpo di scena salvifico. Ma non dobbiamo disperare: il mondo si sta svegliando poco a poco attraverso l’impegno dei giovani. Non è dunque ancora troppo tardi per iniziare a cambiare la nostra visione del mondo e della nostra posizione al suo interno.

Laura Poiret

Bibliografia
[1]  Meeker, Joseph, The Comedy of Survival, New-York, Charles Scribners Sons, p.xx (1974)
[2]  Ibid., p.57
[3] Ibid., p.51
[4] American Association for the Advancement of Science
[5] “[27] So God created man in his own image in the image of God he created him; male and female he created them. [28] And God blessed them. And God said to them, ‘Be fruitful and multiply and fill the earth and subdue it, and have dominion over the fish of the sea and over the birds of the heavens and over every living thing that moves on the earth’.” , Genesis, 1 :27-28. English Standard Version, www.bible.com
[6] “God planned all of this explicitly for man’s benefit and rule: no item in the physical creation had any purpose save to serve man’s purposes. […] Especially in its Western form, Christianity is the most anthropocentric religion the world has seen”, White L., « The Historical Roots of our Ecological Crisis », 1967
[7] Ibid.
[8] Ibid.

I benefici meno noti di essere europei

L’Unione Europea non si occupa solo di Euro, banche e regole, ma è prima di tutto un’istituzione che permette ai Paesi membri di fare squadra. In questo mondo globalizzato, infatti, solo unendo le forze si può davvero competere con le altre potenze e tutelare appieno i diritti dei propri cittadini.

Di seguito sono riportati alcuni esempi dei diversi campi nei quali l’Unione Europea è impegnata, cosi come gli strumenti messi in campo per migliorare le nostre vite.

  1. Agenzia Europea per i Medicinali (EMA)
  2. Agenzia Spaziale Europea (ESA)
  3. Piano di investimenti per l’Europa.
  4. Il GDPR
  5. I programmi per la salvaguardia ambientale
  6. L’agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA)

In breve, proviamo a spiegare di cosa si tratta:

(more…)

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