La COP26 di Glasgow: una nuova speranza

La COP26 di Glasgow comincia in una situazione ambientale drammatica, ma dei segnali fanno sperare in un cambio di rotta, perchè? Andiamo con ordine… e che la forza sia con noi.

La minaccia climatica: climate anxiety

In vista della COP26 a Glasgow è utile soffermarsi sullo studio “Young People’s Voices on Climate Anxiety, Government Betrayal and Moral Injury: A Global Phenomenon”  condotto da un’equipe di nove ricercatori e pubblicato lo scorso 7 Settembre sulla rivista scientifica The Lancet. Dopo aver censito 10.000 individui tra i 16 e 25 anni in dieci paesi diversi[1], è emerso come i cambiamenti climatici e la loro percezione stiano avendo implicazioni profonde sulla salute mentale dei giovani, con una percentuale del 45% tra gli intervistati che riporta stati d’animo alterati a causa dei cambiamenti climatici, con un effetto diretto sulla loro vita di tutti i giorni: fenomeno conosciuto con il nome di climate anxiety[2]. Quattro intervistati su dieci hanno inoltre dichiarato di esitare ad avere figli a causa dell’inerzia dei governi di fronte alla crisi climatica e ai seguenti timori di un suo peggioramento[3].

Come ho scritto in precedenza[4] e com’è visibile dal grafico qui sotto, i giovani hanno ottime ragioni per essere preoccupati. Le emissioni di anidride carbonica globali non sembrano aver ancora raggiunto l’apice, mentre i primi effetti dei cambiamenti climatici sono già sotto gli occhi di tutti.

La COP26 affronta le emissioni di CO2 per regione
Emissioni totali di CO2 per regione. Fonte: Global Carbon Project

Il risveglio della forza in vista della COP26

Movimenti come quello di Fridays for Future, proposte come il Carbon Border Adjustment, la sempre più ampia adozione di rinnovabili e i recenti progressi tecnologici possono rappresentare un punto di discontinuità con il passato.

A mio avviso, gli ultimi due anni hanno segnato un cambio di rotta e spero che la COP 26 a Glasgow lo certifichi. Analizzando il grafico di cui sopra, si nota come le emissioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti stiano calando. Il fatto di per sé non è particolarmente incoraggiante vista la metà superiore dell’immagine, ma negli ultimi due anni sono successe tre cose fondamentali. In primis c’è stata una grande presa di coscienza collettiva del fenomeno, grazie a movimenti popolari come Fridays for Future, che si è tradotta in una maggiore copertura mediatica e in un exploit dei movimenti verdi nel panorama politico occidentale[5]. In secondo luogo, c’è stato un cambio di amministrazione alla Casa Bianca con il rientro degli Stati Uniti all’interno del Paris Agreement[6]. Infine, la Cina ha dato vita al suo sistema di scambio di emissioni e in Europa si è iniziato a parlare seriamente di Carbon Boarder Adjustment Mechanism (CBAM)[7][8] (per una spiegazione su cosa sia uno schema di scambio di emissioni e un CBAM potete leggere qui e qui). 

Questi tre fattori da soli potrebbero essere determinanti nella lotta ai cambiamenti climatici. In particolare, se sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti adottassero un CBAM, e dopo lo sgarbo dell’amministrazione Biden alla Francia questo oggi è un po’ più probabile di ieri, allora le possibilità di un effetto globale sarebbero ancora più alte. Inoltre, anche se gli Stati Uniti dovessero essere più timorosi dell’UE, questo non significa che non seguano le orme del vecchio continente in un secondo momento. L’UE ha già giocato un ruolo di precursore nel mondo, legiferando regolamentazioni poi adottate a cascata in altri continenti – alcuni esempi sono l’etichettatura energetica degli elettrodomestici, le norme per la privacy e quelle sulle sostanze chimiche usate nella produzione dei giochi per bambini – il fenomeno è conosciuto come Brussels Effect[9].

Etichettatura energetica per elettrodomestici
Adozione dell’etichettatura energetica per elettrodomestici. Fonte: The World is changing https://www.coolproducts.eu/home-the-world-is-changing/

L’ascesa delle rinnovabili

D’altro canto, anche il panorama energetico è cambiato moltissimo negli ultimi dieci anni e lo scenario globale della COP 26 di Glasgow non e’ lo stesso della COP 21 a Parigi. Infatti, il tasso di adozione di energie rinnovabili come l’eolico e il solare è cresciuto esponenzialmente nell’arco di pochissimi anni. Grazie al loro utilizzo sempre più diffuso il costo di nuovi impianti di energie rinnovabili è sceso drasticamente a livello globale. Basti pensare che il prezzo per megawatt/ora dell’elettricità da solare, al netto di sussidi, è sceso in 10 anni dell’89%, passando da $359 a $40 (al 2019), mentre quello da energia eolica è passato da $135 a $41/MWh. Per contro, il prezzo dell’elettricità da carbone è rimasto più o meno lo stesso, attestandosi nel 2019 a $109/MWh[10].

In molti paesi del mondo il solare e l’eolico stanno diventando la scelta più economica per produrre energia elettrica.

Il prezzo dell'energia a seconda delle fonti. Fonte: OurLifeInData.org

Purtroppo le rinnovabili però presentano alcune limitazioni, prime tra tutte quelle dell’intermittenza (l’eolico produce energia solo quando soffia il vento e il solare solo di giorno) e dello stoccaggio (non e’ facile conservare tutta l’energia prodotta e le batterie costano e si usurano). Inoltre gli impianti di rinnovabili richiedono un consumo di suolo di gran lunga maggiore dei combustibili fossili, a parità energetica il solare e l’eolico necessitano dalle 17 alle 46 volte di più spazio che il carbone. [11]

Fortunatamente, la tecnologia sta facendo passi da gigante in molti ambiti chiave come quello dell’idrogeno, del carbon capturing e del nucleare.

  • L’idrogeno sarà fondamentale nella transizione energetica perché compensa alcune carenze delle energie rinnovabili. Una volta ottenuto, l’idrogeno infatti è facile da trasportare e da conservare, rendendolo ideale nel subentrare alle rinnovabili nei momenti di bassa produzione energetica. Ecco perché è un’ottima notizia che lo scorso Agosto “Hybridt”, un consorzio svedese, abbia commercializzato il primo acciaio verde ottenuto utilizzando energia proveniente dall’idrogeno[12].
  • Il termine Net Zero è stato coniato quando si è capito che sarebbe stato impossibile arrivare al 2050 a un Emission Zero. Tutti gli scenari sensati per arrivare a Net Zero prevedono un ampio utilizzo di tecnologie carbon negative, ovvero che sottraggono gas a effetto serra dall’atmosfera. L’apertura in Islanda del più grande stabilimento di cattura di anidride carbonica “Orca”, con una capacità di assorbimento di 4.000 tonnellate annue, è quindi un’altra ottima notizia[13].
  • Negli ultimi vent’anni ci sono stati degli sviluppi importantissimi per quanto riguarda l’energia nucleare e alcuni dei suoi problemi più grossi, come quello delle scorie, dei tempi di costruzione degli impianti e della proliferazione nucleare (ovvero il rischio che know-how e sottoprodotti della reazione nucleare vengano usati per scopi militari). Una nuova generazione di reattori è ormai alle porte (uno è appena stato acceso in Cina[14]) e nuovi reattori modulari più veloci da costruire, sicuri, compatti e che utilizzano materiale di scarto della reazione nucleare come combustibile stanno per diventare realtà[15] [16], mentre la fusione nucleare (che al contrario della fissione non produce scorie radioattive e non ha bisogno di uranio) forse non è più solo un sogno lontano[17].
COP26: che la forza sia con noi
Source: Flickr, John Englard - https://www.flickr.com/photos/takver/23677907275

Una storia verde

La strada è sicuramente in salita e non è affatto detto che la specie umana riuscirà a contenere l’aumento di temperatura rispetto ai livelli pre-industriali a 1.5°C.  D’altro canto, oggi sappiamo esattamente quelle che sono le azioni e gli investimenti necessari per raggiungere gli obbiettivi concordati a Parigi sei anni fa: ovvero il dimezzamento delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 e il loro azzeramento entro il 2050.  In questa COP non si discuterà più di ambizioni future, ma si deciderà in che modo i vari governi adempieranno agli impegni presi a Parigi. La conferenza delle parti a Glasgow ha quindi tutte le carte in regola per rappresentare un punto di svolta nella lotta contro il surriscaldamento globale.

May the green force be with us.

Giovanni Sgaravatti

Fonti e riferimenti

[1] UK, Finlandia, Francia, USA, Australia, Portogallo, Brasile, India, Filippine e Nigeria.

[2] Young People’s Voices on Climate Anxiety, Government Betrayal and Moral Injury: A Global Phenomenon

[3] Four in 10 young people fear having children due to climate crisis

[4] Climate Emergency And Civil Disobedience

[5] The (unequal) European Green parties’ rise in the 21st Century. Origins, development and possible causes

[6] The United States Officially Rejoins the Paris Agreement

[7] China launches world’s largest carbon market: but is it ambitious enough?

[8] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_21_3661

[9] The Brussels Effect ; The European Union as a Global Regulatory Power

[10] https://ourworldindata.org/cheap-renewables-growth

[11] Green Energy in America Needs a Lot More Land: Map

[12] Climate change and innovation Hydrogen’s moment is here at last

[13] Orca – the world’s first large-scale direct air capture and storage plant

[14] Why China is developing a game-changing thorium-fuelled nuclear reactor

[15] Traveling Wave Reactor Technology

[16] France to Build Small Nuclear Reactors by 2030 in Export Push

[17] Fusione a confinamento magnetico: una fonte di energia pulita

Emergenza Climatica e Attivismo Globale

La necessità di agire


Chiunque si sia preso il tempo per informarsi e sia intellettualmente onesto avrà notato come la nostra civiltà stia galoppando dritta contro un muro. Ormai è inutile girarci intorno, gli effetti dell’attività umana sull’ambiente sono inequivocabili e sotto gli occhi di tutti. Per darmi un quadro generale del fenomeno e del momento storico che stiamo vivendo ho deciso di scrivere quest’articolo. Nella prima parte elenco una serie di dati incontrovertibili che delineano la situazione attuale (e invito caldamente i più scettici a verificare le fonti). Nella seconda parte faccio una brevissima considerazione sulla peculiarità del problema. Riporto poi le previsioni dell’ente più eminente in materia: l’intergovernmental panel on climate change (IPCC). Successivamente, do adito ad alcune critiche indirizzate all’IPCC, accusato da una fetta di comunità scientifica di essere troppo conservatore nelle sue stime. Infine, concludo con dei riferimenti a gruppi di lavoro e iniziative volte a salvare il salvabile.

La situazione ad oggi

Con il 2018 ci siamo lasciati alle spalle il quarto anno più caldo della storia (dalla data di inizio delle misurazioni), con ben 17 dei 18 anni più caldi in assoluto verificatisi nel nuovo millennio [1a] [1b]. Ragione per cui l’Artico continua a perdere un volume di ghiacci al ritmo di circa il 13% a decennio, seguendo un trend crescente (si stima che tra il 1979 e il 2018 il ghiaccio perduto sia tra il 35 e il 65%) [2]. Nel frattempo, i mari si sono già alzati di 80mm dal 1993 [3] e si inizia a scorgere l’impatto che l’innalzamento degli oceani avrà sulla superficie totale di terra emersa (vedi la Florida, o le 5 isole nel mezzo del Pacifico cancellate dalle cartine geografiche) [4];[5]. Oltre all’inabitabilità di alcune zone costiere, il cambiamento climatico aumenta gli episodi di siccità e di alluvioni, motivo per il quale i migranti causati dal surriscaldamento globale continuano ad aumentare e le Nazioni Unite stimano che potrebbero arrivare fino ad un miliardo entro il 2050 [6]. Nel mentre, il permafrost in Siberia e Alaska ha iniziato a sciogliersi, rilasciando metano e  probabilmente innescando un meccanismo a catena impossibile da fermare [7]. Come se non bastasse, l’inquinamento e la sovrapproduzione economica stanno amplificando gli effetti del cambiamento climatico, danneggiando gravemente la biodiversità del pianeta. Nel 2016 il WWF ha dichiarato che siamo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa nella storia della Terra, con una perdita del 58% della fauna mondiale verificatasi tra il 1970 e il 2012 [8a], con un tasso di estinzione animale che continua ad aumentare (per ora si colloca tra le 10 e le 100 volte quello medio degli ultimi 10 milioni di anni) [8b]. La lista purtroppo è ancora lunga: dall’acidificarsi degli oceani e il conseguente annichilirsi di interi ecosistemi (vedi le barriere coralline), alle balene morte per indigestione di plastica, incendi sempre più frequenti e più vasti, trombe d’aria e uragani che aumentano d’intensità per la maggiore energia presente nell’aria, lo scioglimento dei ghiacciai, sempre più paesi in emergenza idrica, etc…  [9];[10];[11].

WWF 2016 Living Planet Report. Il colore scuro indica scarsità idrica estrema, quello nel medio indica scarsità d’acqua e quello più chiaro indica stress idrico.

La reazione 

Il problema principale nell’affrontare il cambiamento climatico è la discrepanza tra la sua natura globale e la forma organizzativa dell’uomo in pluralità di Stati. Inoltre, le prime avvisaglie degli effetti del cambiamento climatico sono state localizzate, provocando danni maggiori nei paesi più poveri. Questo ha contribuito ad accrescere la sensazione che il cambiamento climatico fosse solamente un’altra piaga del Sud del mondo e che noi in Occidente (unici possibili leader di una concertazione internazionale attenta all’equità energetica) alla fine non ne avremmo risentito più di tanto. Recentemente, gli effetti hanno però iniziato a farsi sempre più forti e frequenti, aiutando una tanto tardiva quando indispensabile presa di coscienza generale. 

Le prospettive secondo l’IPCC

Mentre il tempo a nostra disposizione si assottiglia implacabile, fregandosene delle lungaggini necessarie al coordinamento internazionale, la temperatura del pianeta è già aumentata di un grado e i danni iniziano a farsi irreversibili. Le previsioni dell’IPCC ci dicono che se anche riuscissimo a mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5°C (best-case scenario) in ogni caso vedremmo un ulteriore declino delle barriere coralline del 70-90%, un Artico per la prima volta senza ghiaccio prima della fine del secolo, un innalzamento dei mari tra i 26 e i 77 centimetri, una diminuzione del 9% dei raccolti di grano, circa 1,5 milioni di tonnellate di pescato in meno (con una popolazione mondiale in crescita), un ulteriore aumento di eventi climatici estremi e una diminuzione d’acqua dolce nel Mediterraneo del 9% [11]. L’aumento a 1,5°C si stima avverrà tra il 2030 e il 2050. Per ottenere questo scenario “ottimale” dovremmo iniziare dal 2020 a tagliare le emissioni globali in maniera tale da collocarci sul trend raffigurato nel grafico (b) sotto, il quale rappresenta una riduzione del 45% rispetto ai livelli di CO2 emessa nel 2010 già entro il 2030 e emissioni-zero entro il 2055 (linea grigia). Il dato cumulativo delle emissioni di gas serra continuerà comunque ad aumentare per qualche decina d’anni (c) e (d). Questo perché abbiamo innescato meccanismi naturali che non si possono spegnere con un interruttore (se stai andando a 200km/h e inizi a frenare, farai comunque diversi metri di strada in più rispetto al punto d’inizio della frenata).

IPCC Summary for policymakers 2018 Special Report, SPM.1

La critica

Terrificante è pensare che la strada per metterci sul trend rappresentato nel grafico (b) non è stata intrapresa e nulla fa presagire che lo sarà nei prossimi mesi. Al contrario, nelle maggiori potenze mondiali abbondano governanti clima-scettici come negli Stati Uniti, in Russia e in Australia. Per non menzionare il Brasile, dove abbiamo di recente assistito ad una ripresa della deforestazione in Amazzonia [12], la Polonia, i cui leader politici non hanno nessuna intenzione di rimpiazzare il carbone come fonte energetica principale del paese, o la Cina, rappresentazione dell’ambiguità energetica ed espressione di un governo che dichiara di voler fare la guerra all’inquinamento ma allo stesso tempo (un po’ per necessità, un po’ per interesse) finanzia centrali di carbone all’estero e detiene la quota di maggioranza nell’azienda più inquinante al mondo [13][14].

Grafico ottenuto da Corinne Le Quéré et al. (da confrontare con il grafico (b) sopra)

Tale panorama politico è probabilmente uno dei fattori che spinge sempre più ricercatori a dissentire con le previsioni dell’IPCC, etichettandole come troppo ottimistiche. Il fronte degli scettici è molto ampio, citerò quindi solo le figure prominenti: Peter Wadhams, uno dei glaciologi più conosciuti al mondo, Jem Bendell, professore alla Cumbria University (UK), Mayer Hillman, scienziato che ha dedicato la sua vita al trasporto sostenibile e all’ambiente, Stuart Scott, fondatore e presidente della Transition University (USA), Guy McPherson, professore emerito all’Università dell’Arizona, James Hansen ex direttore dell’istituto Goddard della NASA. Quello che viene recriminano all’IPCC sono sostanzialmente tre punti: 1) sottovalutare l’impatto del metano rilasciato nell’atmosfera come conseguenza dello scioglimento del permafrost, 2) considerare gli effetti del cambiamento climatico come lineari e non esponenziali e 3) mettere nell’equazione tecnologie di geoingegneria per estrarre dall’atmosfera CO2 in una scala attualmente inesistente. Wadhamas, per esempio, predice un settembre senza ghiaccio nell’Artico già nell’imminente futuro e un innalzamento dei mari tra 1 e 2 metri prima della fine del secolo [15]. Il professor Bendell, dopo un anno sabbatico dedicato alla ricerca, ha scritto un paper dal titolo “Deep Adaptation” (rifiutato dalla rivista scientifica a cui l’aveva sottoposto a causa del linguaggio troppo forte). Nel paper, Bendell scrive che non ha più senso fare ricerca sullo sviluppo sostenibile, ambito a cui ha dedicato la vita, perché il target dell’1,5°C e anche quello dei 2°C verranno ampiamente sfondati già entro i prossimi vent’anni e tutti gli sforzi adesso dovrebbero essere atti a comprendere come adattarsi ad uno scenario post collasso della civiltà. 


La mappa qui di seguito è stata elaborata da tre enti internzionali che si occupano di cambiamenti climatici. Questi hanno esaminato, paese per paese, tutte le politiche atte a raggiungere gli obbiettivi stipulati nell’accordo di Parigi.

Sforzi dei paesi per raggiungere i target prefissati a Parigi. Illustazione ottenuta dalla collaborazione di Climate Analytics, Ecofys e il NewClimate Institute.

Salvare il salvabile

Il fatto che persone che hanno dedicato la loro vita allo studio e alla ricerca siano così allarmiste sicuramente fa riflettere. Certo, l’organo più autorevole sui cambiamenti climatici è e rimane l’IPCC. Bisogna però riconoscere che il panel riporta esclusivamente previsioni che godono di ampio consenso nella comunità scientifica a livello internazionale, quindi per forza di cose conservatrici. Questo articolo vuole invitare il lettore prima di tutto ad informarsi, ormai c’è un ammontare di bibliografia, articoli e documentari sul tema (in tutte le lingue) che permettono a chiunque di farsi un’idea. In secondo luogo, mi piacerebbe fosse chiara l’impellenza di una risposta a livello globale. In democrazia questa può venire solamente da una forte pressione popolare verso i governi. Per questo bisogna partecipare a movimenti come quello di Fridays for Future, o quanto meno supportare organizzazioni schierate per la salvaguardia ambientale. Le azioni individuali sono certamente importanti, ma servono investimenti in stile piano Marshall per metterci sul trend delineato nel grafico (b) dell’IPCC (di cui sopra). Per chi volesse approfondire il tipo di investimenti richiesti, consiglio di dare un’occhiata al progetto Drawdawn (c’è anche un Ted talk di Chad Frischmann tradotto in 19 lingue). Affinché questo cambio di marcia avvenga, bisogna votare in maniera più oculata, informare gli scettici e scendere in piazza. Altrimenti siamo spacciati.

Giovanni Sgaravatti

Bibliografia

[1a] https://www.climate.gov/news-features/videos/history-earths-surface-temperature-1880-2016 

[1b] https://www.ncdc.noaa.gov/sotc/global/201813#gtemp

[2] https://climate.nasa.gov/vital-signs/arctic-sea-ice/ ; https://journals.ametsoc.org/doi/10.1175/JCLI-D-19-0008.1

[3] https://sealevel.nasa.gov/understanding-sea-level/key-indicators/global-mean-sea-level

[4] http://sealevel.climatecentral.org/news/floria-and-the-rising-sea

[5]https://www.theguardian.com/environment/2016/may/10/five-pacific-islands-lost-rising-seas-climate-change

[6] https://www.unhcr.org/49256c492.pdf

[7] http://www.nature.com/articles/s41558-018-0095-z

[8a] https://www.worldwildlife.org/pages/living-planet-report-2016
[8b] Report of the Plenary of the Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services on the work of its seventh session (Maggio 2019)

[9]https://www.nationalgeographic.com/magazine/2018/08/explore-atlas-great-barrier-reef-coral-bleaching-map-climate-change/

[10] https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/mar/30/plastic-debris-killing-sperm-whales

[11]https://ipccitalia.cmcc.it/ipcc-special-report-global-warming-of-1-5-c/
[12] https://www.ilpost.it/2019/07/29/amazzonia-bolsonaro/

[13]https://www.npr.org/2019/04/29/716347646/why-is-china-placing-a-global-bet-on-coal?t=1565430393525 ; https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-03-20/top-china-fund-sdic-joins-global-shift-away-from-coal-investment

[14]https://www.theguardian.com/sustainable-business/2017/jul/10/100-fossil-fuel-companies-investors-responsible-71-global-emissions-cdp-study-climate-change

[15] https://www.theguardian.com/environment/2016/aug/21/arctic-will-be-ice-free-in-summer-next-year

[Global Carbon emission picture from: https://blog.datawrapper.de/weekly-chart-greenhouse-gas-emissions-climate-crisis/]

https://www.coolearth.org/2018/10/ipcc-report-2/

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