Sta tornando l’inflazione?

Il 2021 è un anno di ripartenza per l’economia globale dopo la drammatica recessione causata dalla pandemia. La ripresa dell’attività economica, però, ha riportato al centro dell’attenzione un fenomeno del quale ormai non si parlava più da diversi anni: l’inflazione.

L’inflazione è un aumento generalizzato e sostenuto dei prezzi che causa una perdita di valore della moneta in termini di potere di acquisto[1]. Negli ultimi mesi negli Stati Uniti e in Europa l’indice dei prezzi al consumo[2], ha registrato aumenti che non si vedevano da oltre 10 anni. Negli USA l’inflazione si è attestata al +6,2%[3] a ottobre 2021 rispetto allo stesso mese del 2020, per il quinto mese consecutivo al di sopra del +5%.[4] L’inflazione core, indicatore che misura la variazione dei prezzi al netto dei prezzi dei beni energetici e alimentari che sono normalmente più volatili, è comunque cresciuta del 4,6% a ottobre 2021 ed è da quattro mesi oltre il 4%. Nell’Eurozona l’inflazione ha raggiunto il +3,4% a settembre [5](+1,9% l’inflazione core) e dovrebbe arrivare addirittura a +4,1% [6] a ottobre secondo le stime preliminari di Eurostat.

inflazione eurostat
Inflazione negli Stati Uniti e nell'Eurozona nel periodo 2008-2021. Fonte dati: BCE e St.Louis FED

La pandemia ha avuto effetti drammatici sull’attività economica in tutto il mondo, il PIL globale è diminuito del 3,2%[7] nel 2020. Le restrizioni hanno diminuito fortemente la domanda di beni e servizi costringendo le imprese a diminuire la produzione. Molte imprese, inoltre, sono rimaste chiuse in alcune fasi dell’emergenza sanitaria, specialmente tra le attività considerate non essenziali, riducendo a loro volta non solo la produzione ma anche la domanda di materie prime e semilavorati. Il crollo della domanda aggregata ha avuto tra le varie conseguenze anche un calo dei prezzi nel 2020 rispetto all’anno precedente. L’inflazione che si registra oggi è misurata come incremento dei prezzi rispetto a quelli del 2020: dunque i prezzi oggi sono più alti che in passato, ma sono particolarmente alti se confrontati con quelli dell’anno della pandemia, è il cosiddetto effetto base. L’aumento dei prezzi che si sta verificando ora, però, dipende solo in parte dall’effetto base.

L’inflazione e la straordinarietà della crisi pandemica rispetto alle crisi economiche del passato

Normalmente le grandi crisi economiche nascono in un dato settore, ad esempio la crisi del 2008 si sviluppò a partire dal mercato immobiliare statunitense, e poi si propagano agli altri settori dell’economia. Spesso il “contagio” passa dal mercato del credito, a causa dell’impossibilità dei soggetti coinvolti nella crisi di saldare i propri debiti, ai mercati finanziari e all’economia reale, riducendo le possibilità di spesa delle famiglie e la produzione delle imprese. Processi di questo tipo impiegano del tempo prima di degenerare in una crisi sistemica, in grado di colpire l’intera economia, e necessitano anche di diverso tempo prima che siano risolti. Dopo le crisi le persone hanno a disposizione meno denaro per consumare, le imprese impiegano diverso tempo a tornare ai livelli di produzione precedenti e l’economia recupera lentamente: tra i maggiori Paesi europei dopo la crisi finanziaria del 2008 Germania e Francia hanno impiegato circa 3 anni a recuperare i livelli di PIL ante crisi, la Spagna 8 anni e l’Italia non è ancora oggi tornata a quei livelli di PIL.[8]

La crisi economica pandemica invece è stata improvvisa, ha causato un crollo della domanda e dell’economia senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale, ma le Banche Centrali e i governi hanno reagito rapidamente con interventi imponenti che hanno mantenuto condizioni favorevoli sul mercato del credito. Le riaperture delle attività produttive con la diminuzione dei casi e con la disponibilità dei vaccini nei vari Paesi hanno permesso alla domanda di ripartire in tempi brevi, inizialmente per l’acquisto di beni cosiddetti “stay at home” come i beni tecnologici, poi con l’avanzamento delle vaccinazioni si è avuta una ripartenza generale dei consumi, dei servizi e anche di attività maggiormente legate alla socialità, fortemente colpite dalla crisi, come alberghi e ristorazione. Dopo soli 6 mesi, a settembre 2020, negli Stati Uniti e in Europa la domanda di molti beni era in forte ripresa, dopo poco più di un anno nella primavera 2021 l’economia statunitense era già tornata ai livelli di PIL pre covid ed entro fine 2021 il recupero dovrebbe essere completato anche nell’Eurozona[9].

La ripartenza della domanda più rapida e più forte delle attese ha costretto le imprese ad aumentare di molto gli ordini di materie prime e semilavorati mettendo in difficoltà le aziende produttrici, a loro volta rallentate dalla pandemia. In molti casi poi le materie prime provengono da aree geografiche differenti rispetto alle aziende che le utilizzano nella produzione, ciò ha fatto sorgere ulteriori problemi a causa dello sfasamento temporale delle ondate pandemiche nelle varie aree del mondo. Ad aggravare il quadro ci sono state le interruzioni negli scambi commerciali internazionali per le chiusure dei porti e per i periodi di lockdown e, nelle fasi di riapertura, la scarsità di container e moli disponibili per gestire un volume così elevato di ordini. Per continuare a produrre in un primo momento le imprese sono state costrette ad utilizzare le scorte di materiali e semilavorati accumulate in precedenza, terminate queste, in alcuni settori come quello automobilistico sono addirittura arrivate a rinviare gli ordini. Inoltre, la necessità di ripristinare le scorte di materiali ha portato ad un ulteriore aumento della domanda e di conseguenza a prezzi ancora più elevati, causando ritardi e disagi in vari settori.

Come sapremo se l’inflazione passerà presto?

Dopo ogni grave crisi economica la ripresa richiede una fase di assestamento e riallineamento tra domanda e offerta di beni e servizi, questo riallineamento spesso ha effetti anche sui prezzi; ciò che interessa davvero alla maggior parte degli economisti è sapere se l’inflazione è temporanea e, dunque, non appena si tornerà a produrre abbastanza da soddisfare gli ordini i prezzi torneranno sotto controllo oppure se il rialzo dei prezzi delle materie prime e dell’energia avrà come conseguenza un aumento dei prezzi di tutti gli altri beni.

Esistono alcuni segnali che vengono monitorati dagli esperti per comprendere se l’inflazione sta diventando persistente e si sta diffondendo ad altri settori: uno di questi è l’aumento dei salari. I lavoratori, infatti, se si aspettano prezzi più elevati per un periodo più lungo non appena potranno ridiscutere i propri termini contrattuali richiederanno stipendi più alti per non perdere potere d’acquisto. L’aumento dei salari comporta un aumento dei costi di produzione di beni e servizi più durevole e dunque un’inflazione più elevata per un periodo più lungo. Altri indicatori possono essere i prezzi delle case e i canoni di affitto.

Perché ci preoccupa tanto l’inflazione?

Le principali Banche Centrali internazionali hanno come obiettivo di medio periodo della propria attività la stabilità dei prezzi[10], cioè il raggiungimento di un livello di inflazione del 2% annuo nel caso di Federal Reserve e BCE. Un’inflazione significativamente e stabilmente più elevata avrebbe effetti negativi sull’economia perché i risparmi accumulati nei conti correnti perderebbero valore in termini di potere d’acquisto, sul mercato del credito i debitori sarebbero avvantaggiati a scapito dei creditori perché vedrebbero il proprio onere svalutarsi, le classi di lavoratori che non sono in grado di ridiscutere i propri termini contrattuali sarebbero penalizzate e diverrebbero più povere e, infine, ci sarebbero effetti distorsivi sui consumi delle famiglie e sugli investimenti delle imprese. Sui mercati finanziari l’aumento dell’inflazione causa un rialzo dei tassi di rendimento dei titoli di debito, perché l’investitore temendo l’aumento dei prezzi richiede un rendimento più alto che gli permetta di non perdere potere d’acquisto; l’aumento dei tassi di interesse riduce il valore di mercato dei titoli di debito esistenti e genera perdite per gli investitori che li avevano acquistati in precedenza.

Qualora l’inflazione dovesse trovarsi stabilmente al di sopra del target delle Banche Centrali, esse potrebbero decidere di aumentare i tassi di policy che determinano il costo minimo del credito, cioè il prezzo minimo che ogni banca deve pagare per prendere in prestito denaro dalla Banca Centrale. Il tasso di policy determina di conseguenza anche i tassi di mercato, poiché ogni banca non presterà denaro mai ad un tasso inferiore rispetto a quanto richiesto dalla Banca Centrale, anzi normalmente applicherà a questi tassi un premio, che dipende dal rischio di mercato e dal rischio specifico del debitore. L’aumento dei tassi rende più costoso per la banca prendere e quindi prestare denaro, causando una contrazione della domanda e un riallineamento tra domanda e offerta. La politica monetaria restrittiva, rallentando la domanda, frena la crescita economica e riduce la pressione sui prezzi; tuttavia, se ci si trova in una situazione come quella attuale di scarsità e produzione insufficiente di materie prime, dopo una forte recessione, l’aumento dei tassi di policy rischia di essere inefficace nel risolvere il problema della scarsità di risorse e di trascinare l’economia nuovamente in recessione per impedire l’aumento dell’inflazione. Allo stesso tempo, però, l’aumento dei prezzi frena la crescita economica, limitando il potere d’acquisto delle famiglie e la capacità produttiva delle imprese.

Attualmente l’aumento dei prezzi è concentrato sulle materie prime e le fonti energetiche, in alcuni Paesi si iniziano a vedere effetti di aumento dei prezzi anche in altri settori ma, al momento, non c’è ancora una visione prevalente sul fatto che sia temporanea o persistente. I Governi e le Banche Centrali dovranno monitorare attentamente la situazione, cercare di risolvere i colli di bottiglia che limitano l’offerta di materie prime ed energia, pronti ad intervenire tempestivamente per contenere aumenti dei prezzi generalizzati. È importante anche che le Banche Centrali non rispondano eccessivamente all’aumento dei prezzi aumentando i tassi troppo o troppo presto. La ripresa economica post pandemia dipende per buona parte da come sarà gestito il rischio inflazione.

Michele Corio

Riferimenti

[1] https://www.ecb.europa.eu/ecb/educational/hicp/html/index.it.html

[2] L’indice dei prezzi al consumo misura il livello dei prezzi di un paniere di beni e servizi, rappresentativo dei consumi delle famiglie in una determinata area geografica. La variazione dell’indice è una delle misure di inflazione più utilizzate

[3] https://fred.stlouisfed.org/release/tables?rid=10&eid=34483#snid=34484

[4] https://www.ft.com/content/4581bd5d-0771-44ca-93ac-13c4ed2a66be

[5] https://www.reuters.com/world/europe/euro-zone-inflation-jumps-13-year-high-worsening-ecb-headache-2021-10-01/

[6] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Inflation_in_the_euro_area

[7] World Economic Outlook update July 2021

[8] https://ec.europa.eu/eurostat/

[9] https://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2021/html/ecb.is211028~939f22970b.en.html

[10] https://economiapertutti.bancaditalia.it/informazioni-di-base/stabilita-prezzi/index.html

Le transizioni gemelle e i loro rischi

Le transizioni gemelle (verde e digitale) avranno un forte impatto sul mondo. Il cambiamento sarà positivo per tutti? Ci sono rischi? Quali?

Un esempio dal recente passato

La liberalizzazione del commercio degli ultimi 30 anni ha impoverito intere fette di popolazione nei paesi avanzati. Mentre ci si continuava a ripetere di quanto giusto fosse abbassare dazi e barriere doganali per aprirsi al mondo intero, si è sottovalutato l’impatto che questo avrebbe avuto sui diretti interessati. Autorn, Dorn e Hanson – per esempio – hanno analizzato i programmi di aiuto governativi nelle aree degli Stati Uniti più colpite dal commercio con la Cina. Il loro studio indica che anche se le persone nelle zone affette hanno ricevuto dei sussidi, questi non sono stati sufficienti a coprire la perdita di reddito. Gli autori stimano una perdita annua per ogni adulto di $549, contro sussidi governativi di appena $58[1][2].  Inoltre, è chiaro come degli aiuti puramente economici non possano realmente sopperire alle difficoltà umane e psicologiche causate dalla perdita del lavoro, specialmente in età avanzata.

Un discorso diverso è da farsi per i paesi in via di sviluppo, molti dei quali hanno ampiamente beneficiato della globalizzazione. Paesi come Messico, Cina, Colombia, india e Argentina si sono arricchiti moltissimo negli ultimi trent’anni. Nonostante la porzione di popolazione in stato di estrema povertà di questi paesi sia diminuita, le disuguaglianze sono invece cresciute, ad indicare che questa nuova ricchezza non è stata distribuita in maniera omogenea. Alcuni economisti (tra cui i due neo premi Nobel Banerjee e Duflo) sospettano esserci un nesso causale tra la crescita delle disuguaglianze in questi paesi e le relative politiche di liberalizzazione del commercio[3][4].

I dazi doganali non possono però essere la soluzione: la maggior parte delle catene di produzione al giorno d’oggi sono internazionali, introdurre dazi ha ripercussioni sul costo dei materiali utilizzati dalle aziende. E d’altro canto, cercare di imporre a livello governativo un’ agenda di sviluppo industriale basata su canoni vecchi ha un effetto negativo su produttività e prodotto interno lordo. Infine, dove sono state imposte nuove tariffe si è verificato un aumento dei prezzi anche di quei beni che vengono importati finiti, con un conseguente impatto negativo sul potere d’acquisto dei cittadini[5].

Il commercio internazionale ha aiutato la crescita globale, contribuendo ad un aumento del tenore di vita di molti cittadini nei paesi in via di sviluppo e incrementando il potere di acquisto di quelli nei paesi avanzati (specialmente nei paesi piccoli). Non si possono però trascurare le sofferenze di chi ha risentito in prima persona della transizione da certi tipi di attività economica (come la lavorazione dell’acciaio o di fibre tessili) ad altri (per esempio la consulenza aziendale e quella finanziaria). Ignorare il dramma di queste sacche di popolazione – spesso raggruppate nelle aree dei vecchi poli produttivi – secondo molti è stata la vera causa dietro la radicalizzazione dell’elettorato che ha portato a fenomeni come Trump e la Brexit.

Imparare dai propri errori

Oggi è importante non fare lo stesso errore con i pacchetti di rilancio dell’economia nei paesi avanzati. E’ fondamentale metterli in atto, così come trent’anni fa era giusto aprirsi al commercio. Questa volta però bisogna assicurarsi di non lasciare indietro nessuno, o il malcontento non potrà che aumentare. Ecco perché diviene importante pensare in questi termini alle transizioni gemelle – verde e digitale – promosse dalla Commissione UE. Questi cambiamenti sono già in atto e saranno accelerati dai €750 miliardi di Next Generation EU. Come tutte le rivoluzioni anche questa comporterà cambiamenti epocali che inevitabilmente avranno vinti e vincitori.

Qui di seguito riporto una traduzione – con qualche aggiunta – di pagina 6 del report dello European Policy Centre “National Recovery and Resilience Plans: Empowering the green and digital transitions?”, scritto da Marta Pilati e che potete trovare qui.

Nonostante ci sia un obiettivo comune per queste trasformazioni – raggiungere una società sostenibile e inclusiva – la portata del cambiamento richiesto non è la stessa per tutte le persone coinvolte. Per avere successo, le transizioni sostenibili e digitali richiedono adattamenti nei processi produttivi, nella pubblica amministrazione e servizi, l’istruzione, il mercato del lavoro, la base di competenze, il mix energetico e delle infrastrutture, e altro ancora. C’è una grande eterogeneità in tutta l’UE per quanto riguarda questi settori, il che implica che la trasformazione verso gli obiettivi comuni richiede sforzi diversi e su misura.

Da una prospettiva geografica, le regioni dell’UE che sono meno sviluppate e/o sottoperformanti economicamente sono anche meno attrezzate per impegnarsi con successo nelle due transizioni. Un recente studio dell’European Policy Centre [5] sottolinea i seguenti punti:

 – Mentre ci si aspetta che le transizioni gemelle creino nuovi posti di lavoro, sorge un problema se i posti di lavoro creati e persi non si trovano nella stessa area e non appartengono agli stessi lavoratori. Questo è il caso per le regioni il cui mercato del lavoro è fortemente dipendente da industrie ad alta intensità energetica (per esempio l’estrazione e il trattamento di combustibili fossili). E’ fondamentale non commettere lo stesso errore del passato – ipotizzando una grande mobilità della forza lavoro – mentre sarà fondamentale investire in una riorganizzazione e  riqualificazione delle persone colpite, così da evitare nuova disoccupazione localizzata. In questa cornice rientra lo strumento React EU[6].

– Tutti i settori economici richiederanno più (e nuovi) profili di lavoro qualificati con maggiore intensità di conoscenza e tecnologia. Le aree in cui la base di competenze è meno avanzata, e/o c’è meno capacità di sostenere la formazione sul lavoro, avranno meno successo nel portare a termine le transizioni rapidamente. Questo potrebbe avere effetti negativi sulla loro competitività e prosperità a lungo termine.

– Per usufruire dei benefici della transizione digitale e del miglioramento della connettività, l’infrastruttura rimane cruciale. Il “divario digitale” tra le regioni dell’UE è preoccupante, poiché la mancanza di un’adeguata infrastruttura digitale può escludere intere aree da attività ad alto valore aggiunto. Inoltre questo coinvolgerebbe le aziende già presenti sul territorio, che potrebbero trasferirsi altrove e quindi portare al declino economico. Allo stesso modo, i cittadini di alcune aree potrebbero vedersi esclusi dall’utilizzo dei servizi pubblici digitali. Per questo la Commissione ha chiesto di mettere l’infrastruttura digitale al centro dei piani di ripresa e resilienza.

Copyright ©️ Bruegel 2015: European Union countries’ recovery and resilience plan
Copyright ©️ Bruegel 2015: European Union countries’ recovery and resilience plan

Alcuni potenziali effetti sociali delle transizioni gemelle degni di nota sono elencati di seguito.

– L’impatto del cambiamento tecnologico sul mercato del lavoro. Per esempio, sono emerse nuove forme di lavoro legate direttamente alla digitalizzazione, in particolare il lavoro su piattaforma. I sistemi di protezione sociale non sono sempre in grado di adattarsi a questi sviluppi del lavoro, con conseguenti lacune nella protezione.[7]

– Il rischio occupazionale dell’automazione. Un lavoro a basso reddito su cinque è a rischio di automazione. Questo diventa uno su sei per i lavori a medio reddito e solo uno su dieci per i lavori ad alto reddito.[8] L’interruzione del lavoro causata dall’automazione rappresenta una preoccupazione reale di maggiore disuguaglianza e nuova instabilità.

– La relazione simbiotica tra esclusione sociale ed esclusione digitale. I gruppi vulnerabili e socialmente esclusi usano internet e gli strumenti tecnologici meno del resto della popolazione, perché tendono ad avere meno competenze e accesso al digitale. Questa esclusione digitale impedisce anche di cogliere i benefici delle nuove tecnologie, portando, per esempio, a scarsi risultati scolastici. Questo potrebbe esacerbare ulteriormente la loro esclusione sociale.[9]

– La vulnerabilità dei gruppi a basso reddito all’aumento dei prezzi. Se la transizione ecologica porta a un aumento dei prezzi dell’energia o della mobilità prezzi dell’energia o della mobilità, questo sarà problematico per i gruppi a basso reddito (almeno nel breve periodo) e colpirà i poveri in modo sproporzionato.[10]

– La dimensione di genere della transizione digitale. Come le competenze e occupazioni STEM (cioè scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche, matematiche) diventano più importanti e richieste nel mercato del lavoro, c’è il rischio che le donne siano lasciate fuori dai guadagni e che il divario di genere aumenti, in quanto esse tendono ad essere meno presenti in questi settori.

Sottolineare questi rischi di disuguaglianza non significa assolutamente sminuire la necessità delle transizioni gemelle. Piuttosto, è per assicurarsi che le transizioni abbiano successo e siano eque. Le transizioni possono portare ad un’economia digitale e sostenibile e una società più coesa, a patto che i loro benefici raggiungano i più vulnerabili. Per esempio, la digitalizzazione e il telelavoro possono portare posti di lavoro e attività economiche in aree dove non è fisicamente fattibile. Accelerare le trasformazioni strutturali senza una strategia per prevenire effetti distorsivi e che controbilanci i costi condanna lo sforzo al fallimento. Si riconosce sempre più che la coesione sociale e territoriale dell’Europa deve essere protetta.

Marta Pilati

Giovanni Sgaravatti

Referimenti

[1] Abhijit V. Banerjee & Esther Duflo (2019), Chapter 3, “Good Economics for Hard Times”.

[2] Autorn, Dorn, Hanson, American Economic Review (2013) “The China Syndrome: Local Labor Market Effects of Import Competition in the United States”

[3]Autorn, Dorn, Hanson, American Economic Review (2013) “The China Syndrome: Local Labor Market Effects of Import Competition in the United States”

[4] Goldberg, Pavcnik (2007), Distributional Effects of Globalization in Developing Countries, American Economic Association

[5] John K. Ferraro and Eva Van Leemput (2019) Long-Run Effects on Chinese GDP from U.S.-China Tariff Hikes, Federal Reserve

[6] Pilati, Marta and Alison Hunter (2020), EU lagging regions: state of play and future challenges“, Brussels: European Parliament.

[7] La quota del react eu dovrebbe essere diretta proprio a contenere squilibri territoriali e a supportare le aree più in difficoltà. REACT-EU – Regional Policy – European Commission

[8] OECD (2019), “Under Pressure: The Squeezed Middle Class”, Paris: OECD Publishing.

[9] Martin, Chris et al. (2016), “The role of digital exclusion in social exclusion”, CarnegieUK Trust.

[10] López Piqueres, Sofia and Sara Viitanen (2020), “On the road to sustainable mobility: How to ensure a just transition?”, Brussels: European Policy Centre.

Disparità occupazionale di genere in Europa

La disparità occupazionale non è un tema tanto dibattuto quanto la disparità salariale, ma si tratta nondimeno di un aspetto cruciale per la ripartenza economica dei paesi dell’Unione Europea (UE) e per il proseguimento sulla strada dei diritti di genere intrapresa più di un secolo fa dalle suffragette[1].

Il lavoro retribuito è il mezzo di emancipazione per eccellenza e gioca un ruolo chiave nel definire una persona, rendendola libera di autodeterminarsi. Assolvere compiti domestici e di cura del prossimo dovrebbe dipendere da una scelta priva di restrizioni di sorta, siano esse culturali, sociali o economiche. Inoltre, il ruolo e l’importanza della cura dei più deboli, bambini, anziani e disabili, dovrebbero essere riconosciuti a livello sistemico e non solamente informale.

Limitare la presenza delle donne nel mercato del lavoro significa limitare talenti, competenze e capacità a disposizione della parte produttiva di un paese. Uno studio dell’Eurofound del 2017 stima che la perdita economica per il divario occupazionale in UE ammonti a più di €370 miliardi [2]. L’analisi mostra anche come ci sia grande eterogeneità tra i diversi paesi europei: per Malta la percentuale di prodotto interno lordo (PIL) persa ogni anno ammonta all’8,2%, per l’Italia al 5,7% e per la Grecia al 5%, mentre dall’altro estremo dello spettro troviamo Svezia e Lituania con perdite inferiori all’1,5% del PIL.

disparitá occupazionale di genere in UE
Eurofound (2016), The gender employment gap: Challenges and solutions, Publications Office of the European Union, Luxembourg.

Utilizzando gli ultimi dati Eurostat disponibili (2019), quindi pre-coronavirus[2], il focus di quest’articolo viene riposto sui sei paesi UE più popolosi: Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia e Romania. Il seguente grafico evidenzia la problematica all’interno dell’UE e nei sei paesi menzionati. In verde è rappresentato il tasso di occupazione femminile, mentre in blu quello maschile. Nel rettangolo tratteggiato viene messa in risalto la differenza in punti percentuali tra occupazione maschile e femminile.

Dati sull'occupazione per genere - disparità occupazionale
Dati sull'occupazione per genere nella d'etá fascia 20-64 nel 2019 in valori e punti percentuali (pp) Fonte: Eurostat e calcoli dell'autore

La disparità occupazionale è particolarmente evidente in Polonia, Romania e, soprattutto, in Italia -dove quasi una donna su due tra i 20 e i 64 anni non ha un impiego retribuito. Nondimeno, lo stacco è ben visibile anche nel mercato del lavoro spagnolo, dove il differenziale è di quasi 12 punti percentuali, superando la media UE di 11,4.

L’importanza delle politiche di contrasto alla disparità occupazionale di genere

La disparità occupazionale di genere è espressione di un retaggio patriarcale di lungo corso. Per cambiare le cose è necessario un cambio di paradigma culturale, accompagnato da riforme di contrasto alla disparità occupazionale di genere. Vediamo dunque alcune politiche introdotte da Francia e Germania per incentivare l’occupazione femminile.

FR – Chèque emploi service universel: un sistema di voucher introdotto nel 2006 tramite il quale si possono pagare lavoratrici e lavoratori domestici, così come chi si occupa di assistenza all’infanzia, siano queste figure professionali di un’agenzia o esterne. Il voucher semplifica la procedura di assunzione, pagamento e messa in regola di queste figure, unendo anche un incentivo fiscale (le spese sono detraibili) e opportunità di co-finanziamento[3] [3].

DEPerspektive Wiedereinstieg: un programma di sostegno alle donne che sono state fuori dal mercato del lavoro per più di tre anni per ragioni familiari. Offre assistenza professionale -sia telematica che di persona- oltre a corsi di formazione e incentivi fiscali per i datori di lavoro [4].

FR Complémente de libre choix du mode de garde: un corrispettivo economico mirato a coprire parte delle spese di custodia dei bambini fino a sei anni [5].

DE – Elterngeld: un assegno di genitorialità al quale hanno diritto i genitori che riducono il loro numero di ore lavorate a meno di 30 settimanali nel primo anno dell’infante. L’indennità equivale alla paga corrispondente dell’avente diritto se questo continuasse a lavorare a tempo pieno. Con metodologie diverse, ne possono beneficiare anche studenti e disoccupati [6].

DE – Pflegezeitgesetz und Familienpflegezeitgesetz: una norma di legge che autorizza gli impiegati a prendere un congedo non pagato per la cura di familiari prossimi. Il congedo può essere corto –di 10 giorni– o lungo -con una riduzione delle ore lavorative fino ad un massimo di 15 a settimana fino a due anni- [7].

FR – La Charte de la Paternité en Enterprise: una carta d’intenti da sottoscrivere -su base volontaria- dalle imprese che si vogliono impegnare nell’equilibrio lavoro-famiglia dei propri dipendenti. Lo scopo è quello di garantire più flessibilità nell’orario lavorativo e di creare un ambiente con un occhio di riguardo per i dipendenti con bambini, rispettando il principio di non-discriminazione nell’evoluzione di carriera di chi ha figli [8].

Credo che sia importante evidenziare due elementi ricorrenti nelle politiche sopra elencate. Il primo è l’aspetto di flessibilità: gli oneri e i benefici di aziende e lavoratrici sono modulabili caso per caso e cambiano al variare delle situazioni. Infatti, imposizioni troppo rigide possono influenzare negativamente i datori di lavoro, che potrebbero essere portati a preferire l’assunzione di un uomo piuttosto che di una donna. Si pensi ad esempio al caso del congedo di maternità obbligatorio: in Francia e in Germania questo è rispettivamente di 16 e 14 settimane, contro le 21 dell’Italia [9] [10]. Il secondo elemento è quello di inclusione: quasi tutte le politiche sopra elencate non sono rivolte esclusivamente alle donne, ma anzi si cerca di non fare discriminazioni di genere. Tornando all’esempio del congedo di maternità, una sua riduzione nei paesi dove questo è molto lungo dovrebbe corrispondere ad un allungamento di quello di paternità. In questo Italia e Romania si stanno adeguando alle richieste della Commissione Europea, raggiungendo lo standard minimo europeo di dieci giorni.

Infine, un altro aspetto importante di alcune politiche sopra elencate è quello della diminuzione del costo da affrontare per la cura degli infanti: così facendo si riduce l’incentivo del partner con il salario più basso (che spesso corrisponde alla donna) a stare a casa con i figli per non incorrere nelle spese di asili nido, centri estivi e tutti i servizi dell’infanzia. Queste politiche, inoltre, hanno un impatto positivo sulla natalità, problema endemico di molti paesi europei (Francia guarda caso esclusa[4]).

Il livello di istruzione nel tasso di occupazione femminile

Un indicatore chiave del tasso di occupazione è rappresentato dal livello di istruzione. Difatti, in tutti e sei i paesi sotto scrutinio, il livello di istruzione è uno dei fattori determinanti nella previsione di impiego.

Qui di seguito vengono riportate le percentuali occupazionali femminili tra i 20 e i 34 anni per livello di istruzione, dove Low indica un livello basso, corrispondente al ciclo di studi obbligatorio o inferiore, Medium un livello medio, con il raggiungimento di un diploma di scuola superiore e High un livello alto, universitario o post-universitario.

Occupazione femminile per livello d'educazione
Tasso di occupazione femminile per livello di istruzione, coorte di età 20-34, anno 2019, valore % Fonte Eurostat

Dal grafico risulta evidente come un alto livello di educazione corrisponda ad un tasso d’impiego più elevato. Questo è particolarmente evidente in Polonia, dove il tasso di occupazione tra le donne con un basso livello di educazione e quelle con un livello elevato cambia di 60 punti percentuali. In Germania d’altro canto, il tasso di occupazione tra chi ha un livello di istruzione di scuola secondaria è molto vicino a quello di chi ha un’educazione universitaria. Questa peculiarità è probabilmente dovuta alla forte presenza di istituti tecnici superiori che preparano al mondo del lavoro già durante il secondo ciclo di studi.

Incentivare l’educazione si rivela quindi uno strumento utile anche per colmare la disparità occupazionale di genere nel mercato del lavoro. Paesi come la Romania e l’Italia –con una differenza occupazionale di oltre 19 punti percentuali- potrebbero quindi beneficiare di effetti positivi nel mercato del lavoro incentivando maggiormente l’istruzione universitaria femminile.

Il seguente grafico mostra la percentuale di laureati all’interno della popolazione dei sei paesi in esame: è interessante notare come, ad esclusione della Germania, le ragazze siano tendenzialmente più portate a terminare anche l’ultimo ciclo di studi.[5]

% di popolazione con educazione universitaria
% di popolazione con educazione universitaria per genere, etá 15-64, anno 2019, valori in %. Fonte: Eurostat e calcoli dell'autore

La disparità occupazionale e il ruolo della donna nei piani dell’UE

Il rilancio dell’Unione Europea dovrebbe passare anche attraverso le donne e un rinnovato riconoscimento del loro ruolo nella società. Farlo non sarebbe solamente giusto, ma anche necessario. Per questo le istituzioni europee hanno deciso di vincolare tutti i fondi del bilancio pluriennale e del Next Generation EU destinati alla mitigazione e l’adattamento dei cambiamenti climatici (una fetta del 30% del totale, corrispondente a circa €547 miliardi) a progetti attenti all’equità di genere. Impostando quindi la direzione per il futuro: una transizione verso la sostenibilità ambientale libera da discriminazioni di genere [12].

Nonostante la chiara presa di posizione dell’UE, c’è chi si aspettava di più: Alexandra Geese, Europarlamentare dei Verdi/EFA, ha lanciato una petizione chiedendo che anche i fondi destinati alla digitalizzazione mettano al centro la donna e i suoi diritti, arrivando quindi a metà di tutta la spesa del pacchetto Next Generation EU. La proposta può sembrare sproporzionata, ma vista l’entità’ della disparità occupazionale di genere nel mercato del lavoro, forse non lo è poi così tanto.

Giovanni Sgaravatti

[1] Movimenti di emancipazione femminile e di richiesta di voto sono apparsi a macchia d’olio un po’ in tutto il mondo verso la fine del 1800 e l’inizio del ‘900, anche se già’ subito dopo la rivoluzione Francese (nel 1791) Olympe de Gouges scrisse la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, in cui dichiarava l’uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna. [1]

[2] Recenti studi indicano come il divario occupazionale in alcuni paesi sviluppati sia destinato ad allargarsi dopo la crisi. Questo perché la donna è più spesso il partner con il reddito minore, che quindi decide di rinunciare al lavoro per accudire i bambini durante la chiusura delle scuole. Inoltre in alcuni paesi l’occupazione femminile e’ più’ alta nei settori maggiormente colpiti, come quelli della vendita al dettaglio e della ristorazione [4], [5].   

[3] Anche in Italia esiste uno strumento simile, che purtroppo però non sembra dare i frutti sperati [3b].

[4] Nel 2018 la Francia aveva un tasso di fertilità di 1,88 figli per donna, contro l’1,29 dell’Italia  [11]

[5] Il fenomeno è presente anche in Germania nella popolazione più giovane tra I 20 e I 34 anni.

Fonti

[1] Dai primitivi al post-moderno: tre percorsi di saggi storico-antropologici, di Vittorio Lanternari, Liguori Editore, 351

[2] Eurofound: The gender employment gap: Challenges and solutions, Luxembourg 2016, Publications Office of the European Union.

[3] Le Cesu, qu’est-ce que c’est

[3b] Prestazioni di lavoro occasionale: libretto famiglia

[4] Perspektive Wiedereinstieg: Startseite

[5]https://www.service-public.fr/particuliers/vosdroits/F345#:~:text=Le%20compl%C3%A9ment%20de%20libre%20choix,votre%20enfant%20et%20vos%20ressources.

[6]Elterngeld und ElterngeldPlus

[7] https://www.bmfsfj.de/bmfsfj/service/gesetze/gesetz-zur-besseren-vereinbarkeit-von-familie–pflege-und-beruf-/78226#:~:text=Angeh%C3%B6rige%20zu%20betreuen.-,Familienpflegezeitgesetz,Angeh%C3%B6rigen%20in%20h%C3%A4uslicher%20Umgebung%20pflegen.

[8] https://www.observatoire-qvt.com/charte-de-la-parentalite/presentation/#:~:text=La%20Charte%20de%20la%20Parentalit%C3%A9%20en%20Entreprise%20a%20%C3%A9t%C3%A9%20initi%C3%A9e,mieux%20adapt%C3%A9%20aux%20responsabilit%C3%A9s%20familiales.

[9] COVID-19 and the gender gap in advanced economies | VOX, CEPR Policy Portal

[10] Il 98% di chi ha perso il lavoro è donna, il Covid è anche una questione di genere 

[10b]  (Occupati e disoccupati (dati provvisori)

[11] File:Total fertility rate, 1960–2018 (live births per woman).png – Statistics Explained

[12] The 2021-2027 EU budget – What’s new? | European Commission

La riforma del MES (2018-2021)

Il Consiglio europeo nel dicembre 2018 ha avviato un progetto di riforma del MES per accrescerne le funzioni e conferirgli un ruolo di maggior rilievo per realizzare una maggiore convergenza economica tra gli Stati membri, per aumentare la loro competitività. Con la riforma, il MES acquisisce anche un ruolo fondamentale nel quadro dell’unione bancaria europea. Il dibattito tra i governi dei paesi europei sulla riforma è durato anni, principalmente per il veto opposto dall’Italia dal dicembre 2019. Un accordo è stato infine trovato e il parlamento italiano ha dato il via libera alla riforma il 9 dicembre 2020.

Sulla riforma del Mes sono circolate molte notizie fuorvianti. Alcuni hanno detto che avrebbe permesso di ricapitalizzare le banche tedesche con i soldi degli altri paesi europei, oppure che avrebbe obbligato l’Italia e altri paesi a ristrutturare il proprio debito.  Nessuna di queste affermazioni è vera. Inoltre, questa riforma non modifica nulla per quanto riguarda il prestito MES per spese sanitarie durante la pandemia.

Borghi MES
Borghi e il MES: una storia di incomprensioni

In realtà la riforma del MES prevede:[1]

  • Un nuovo ruolo del MES come prestatore di ultima istanza (backstop)

     al fondo di risoluzione interbancaria (SRF) nel caso di crisi bancarie. Lo SRF è un fondo ancora in fase di costruzione, dovrebbe essere completato entro il 2024 e avere una dotazione di 55 miliardi di euro circa: l’1% dei depositi protetti degli enti creditizi dell’unione bancaria. Esso è finanziato direttamente dal settore bancario e interviene nella risoluzione di banche in dissesto, qualora restino creditori ancora da pagare, esaurite le altre opzioni (bail-in). (vedi l’articolo Unione Bancaria, Per Una Maggiore Solidità per saperne di più). Qualora in una crisi si decidesse di far intervenire lo SRF ed esso non avesse capitale a sufficienza, allora potrebbe prendere risorse in prestito dal MES. Il MES potrà prestare fino a 68 miliardi al fondo di risoluzione interbancaria e il prestito dovrà essere ripagato entro massimo 5 anni.   

L’intervento del fondo di risoluzione interbancaria e del MES sono volti ad evitare che le crisi bancarie acquisiscano dimensioni in grado di mettere a rischio l’intero sistema finanziario dell’Unione e sono uno strumento di gestione comune del rischio. Proteggono le economie dei paesi Europei da possibili crisi, non favoriscono uno Stato a scapito di un altro.

  • Modifiche ai ruoli di controllo delle istituzioni europee in caso di intervento del MES a supporto di uno Stato.

     La Commissione Europea si occuperà principalmente del monitoraggio della coerenza delle misure di politica economica messe in atto dallo Stato e delle valutazioni sulla sostenibilità del debito e sul quadro macroeconomico. Il MES, invece, monitorerà le potenzialità dei paesi membri di finanziarsi sul mercato e i potenziali rischi; oltre a valutare, durante il periodo di intervento il rischio che il paese assistito non sia in grado di ripagare i prestiti ricevuti. [2]

  • Semplificazione dei requisiti di accesso alle linee di credito precauzionali (PCCL). 

Uno Stato che richiede sostegno al MES tramite le linee precauzionali e rispetti i requisiti per la PCCL non dovrà più sottoscrivere il Memorandum of Understanding con Commissione UE e Consiglio Europeo. Sarà sufficiente una lettera d’intenti dello Stato, nella quale si manifesta l’impegno a mantenere le condizioni economiche che gli hanno permesso di accedere alla linea di credito senza condizionalità rafforzate durante il periodo di intervento del MES e in futuro.

  • Modifiche alle clausole di azione collettiva (CACS).

Le CACS sono delle clausole che permettono di approvare una decisione di ristrutturazione del debito, cioè una modifica delle condizioni iniziali del prestito (tassi d’interesse, scadenze, capitale da restituire) per alleggerire la posizione del debitore in difficoltà finanziarie e assicurarsi che il debito sia saldato almeno in parte, in accordo con una maggioranza qualificata dei creditori privati.

 

La riforma istituisce clausole di azione collettiva con approvazione a maggioranza unica, cioè clausole che consentono di prendere una decisione con un’unica deliberazione dei possessori dei titoli di debito per tutte le serie di un dato titolo, senza la necessità di votare per ogni singola serie emessa.

Questo non significa però che la riforma del MES impone la ristrutturazione del debito ai firmatari qualora dovessero richiedere assistenza finanziaria. La ristrutturazione del debito è un evento raro ed estremo, solitamente messo in atto da Paesi prossimi alla bancarotta. Stabilire di ristrutturare anche solo una parte del debito pubblico di un Paese avrebbe effetti drammatici su tutte le emissioni di debito pubblico dello Stato, facendone aumentare moltissimo la rischiosità, e dunque gli interessi richiesti dagli investitori (costo del debito), e facendo crollare il valore di mercato dei titoli. La BCE detiene una quota consistente del debito pubblico italiano, un’ampia quota è detenuta anche da banche, società di assicurazione e altre istituzioni finanziarie. Far svalutare drammaticamente questi titoli di Stato genererebbe una crisi per l’intera Unione Europea, esattamente l’opposto dell’obiettivo per cui il MES è stato istituito.[3] La modifica è stata introdotta per migliorare il processo decisionale in caso di ristrutturazione, riducendo l’incertezza su modalità e tempistiche. Nel caso in cui la ristrutturazione diventi inevitabile, l’assenza di una procedura chiara e definita può incrementarne ulteriormente i costi per tutte le parti coinvolte.

Michele Corio

[1] https://www.lavoce.info/archives/62313/fondo-salva-stati-cosa-ce-e-cosa-no-nella-riforma/

https://www.esm.europa.eu/about-esm/esm-treaty-reform-explainer

[2] http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01132368.pdf

[3] https://www.bancaditalia.it/media/fact/2019/mes_riforma/index.html

I programmi di intervento del MES

Il MES ha attualmente a disposizione circa 410 miliardi[1] di euro da erogare ai singoli Stati attraverso vari programmi, che sono risorse prese in prestito sul mercato, utilizzando come garanzia il capitale (704 miliardi). L’istituto può fornire sostegno con differenti modalità:

1. Programmi MES con prestiti in supporto di programmi di aggiustamento macroeconomico

I paesi dell’area euro che necessitano di supporto per finanziare la propria spesa pubblica, perché in difficoltà o impossibilitati a farlo direttamente sul mercato, possono richiedere il supporto dei programmi del MES. Per poter intervenire il MES chiede allo Stato di attuare alcune riforme, stabilite sulla base delle problematiche specifiche del paese, che possono riguardare, ad esempio, la riduzione della spesa pubblica, interventi per rafforzare il sistema bancario, il miglioramento della competitività del paese e interventi che permettano di aumentare la solidità economica e di tornare a crescere negli anni successivi. Le misure sono concordate con la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e, nel caso in cui partecipi all’intervento di sostegno, anche con il Fondo Monetario Internazionale e sono riportate nel cosiddetto “Memorandum of Understanding”. L‘obiettivo principale è risanare la situazione finanziaria del paese per permettergli di saldare i debiti pregressi e tornare a finanziarsi sui mercati autonomamente.
L’intervento di istituzioni esterne nella pianificazione economica del paese in difficoltà è spesso percepito in maniera negativa dall’opinione pubblica, viene visto come un commissariamento o, peggio, come un esproprio da parte di paesi stranieri. Inoltre, queste riforme sono state non di rado oggetto di critiche perché l’austerità e i tagli alla spesa pubblica in fasi di contrazione dell’economia rischiano di accentuare la recessione invece di risolverla. Tuttavia, l’intervento con i programmi del MES ha storicamente avuto effetti positivi nei paesi che ne hanno beneficiato e le riforme concordate con le istituzioni, sebbene abbiano richiesto sacrifici importanti, hanno contribuito a ridurre le inefficienze di spesa e rilanciare la competitività e la crescita con effetti positivi anche sull’occupazione

pre-post programmi MES

Figura 1: Andamento  del PIL reale pro capite  in alcuni dei paesi più colpiti dalla crisi dei debiti sovrani. Spagna, Cipro e Portogallo hanno attivato programmi del MES e avviato le riforme concordate con le istituzioni europee,  dopo anni di recessione hanno avuto una ripartenza economica sostenuta  e tassi di crescita del PIL elevati. L’Italia, che non ha richiesto l’intervento del MES, dopo la recessione ha avuto una debole ripresa.  La Grecia ha subito una crisi drammatica e ha aderito a diversi programmi di sostegno economico sia del Fondo Monetario Internazionale sia dell’Unione Europea. Il PIL greco è diminuito del 30% circa tra il 2008 e il 2016, negli  ultimi anni, tuttavia,  ci sono stati  significativi segnali di ripresa e la Grecia ha potuto ricominciare a finanziarsi emettendo titoli di debito sul mercato.[2]

tasso disoccupazione pre-post programmi MESrate trend

Figura 2: Andamento del tasso di disoccupazione in Grecia, Spagna, Italia, Cipro e Portogallo tra il 2010 e il 2019.[3]

E’ doveroso ricordare, poi, che è proprio in virtú della partecipazione del MES e delle istituzioni europee alla pianificazione delle riforme che gli Stati membri si assicurano che le risorse prestate siano indirizzate effettivamente a risolvere le vulnerabilità identificate all’approvazione del piano.

Inoltre la presenza di condizionalità garantisce anche ai creditori del MES che l’istituzione impieghi il capitale in maniera sicura e non abbia problemi in futuro a ripagare i prestiti ricevuti. Questo meccanismo permette al MES di finanziarsi ad un tasso d’interesse basso sui mercati e di prestare denaro a paesi in difficoltà a tassi molto inferiori rispetto a quelli che potrebbero ottenere nei mercati.

risparmi con programmi MES

Figura 3: Risparmio in miliardi e in % rispetto al PIL ottenuto finanziandosi con i programmi del MES invece che emettendo debito direttamente sul Mercato. Fonte: https://www.esm.europa.eu/assistance/lending-toolkit

 Inoltre, la restituzione del capitale ricevuto in prestito dal beneficiario inizia solamente dopo che sono trascorsi diversi anni dal prestito. Ad esempio, Cipro inizierà a ripagare il prestito ricevuto nel corso della crisi del debito sovrano del 2012 nel 2025 e finora ha solamente pagato una quota annuale di interessi.[4]

I programmi del MES possono riguardare prestiti a Stati in crisi per finanziare le riforme e risollevare la situazione economica, interventi per ricapitalizzare le banche o altre istituzioni finanziarie o, indirettamente, l’acquisto di titoli emessi dallo Stato in difficoltà. I prestiti erogati con i programmi del MES hanno generalmente una seniority maggiore rispetto alle altre emissioni di debito pubblico. Ciò significa che lo Stato beneficiario dei prestiti si occuperà di ripagare prima il MES e dopo gli altri creditori. Questo può contribuire ad aumentare il costo che lo Stato in difficoltà deve sostenere per finanziarsi sul mercato, perché gli altri investitori saranno più esposti al rischio di non ricevere indietro il denaro prestato, specialmente se i prestiti del MES sono di ammontare molto elevato. Allo stesso tempo, tuttavia, Paesi che richiedono ingenti risorse al MES hanno probabilmente già perso la possibilità di finanziarsi sul mercato perché non sono più in grado di trovare investitori disposti ad acquistare un debito così rischioso o perché lo Stato non è in grado di pagare il prezzo che questi investitori richiedono per sostenere tale rischio. L’impatto negativo della seniority può essere ammorbidito dal fatto che i prestiti con i programmi del MES hanno scadenze molto lunghe.

Invece, per i Paesi che possono ancora finanziarsi sui mercati, è importante ricordare che la Banca Centrale Europea (BCE) può acquistare titoli di debito di un paese dell’eurozona, ma solo fino ad un ammontare massimo[5]. Gli acquisti della BCE contribuiscono a ridurre il costo del debito per il paese. In situazioni di particolare instabilità finanziaria, uno Stato che ha richiesto l’attivazione dei programmi del MES di aggiustamento macroeconomico o la linea di credito precauzionale a condizionalità rafforzata (vedi sotto), e ha già sottoscritto il Memorandum of Understanding, può beneficiare delle Operazioni definitive monetarie della BCE (meglio note come Outright monetary transactions- OMT). La BCE può quindi acquistare titoli dello Stato con scadenza tra 1 e 3 anni sul mercato secondario per impedire un rialzo eccessivo dei tassi dovuto alle tensioni sui mercati. Intervenendo con l’OMT, la BCE non ha vincoli all’ammontare di titoli acquistabili, inoltre essa rinuncerà anche al suo diritto di avere una seniority maggiore rispetto agli altri creditori per evitare le conseguenze negative spiegate in precedenza.[6] Emettere una quantità minore di debito sul mercato finanziando una parte del fabbisogno con il MES può davvero agevolare uno Stato in difficoltà, infatti esso potrebbe beneficiare sia dei tassi bassi e delle lunghe scadenze del MES sia dell’effetto sul costo del debito dato dall’intervento della BCE per la quota emessa sui mercati.[7]

dubbi su programmi MES
Vignetta Polandball dopo la notizia del 2012 sul fatto che la corte costituzionale tedesca si sarebbe pronunciata sulla costituzionalità del MES.

2) Assistenza finanziaria precauzionale[8]

Tra i vari programmi del MES, c’è quello dell’assistenza finanziaria precauzionale.

Uno stato dell’eurozona che ha una situazione economica complessivamente positiva, ma si trova temporaneamente in difficoltà finanziarie o che ritiene di dover intervenire preventivamente per poter continuare a finanziarsi sui mercati può richiedere di accedere alle linee di credito precauzionale del MES. Le linee precauzionali sono programmi MES di durata più breve, non più di due anni, che consentono agli stati di finanziarsi ad un costo minore per superare una fase di tensione sui mercati, senza la necessità di intervenire in maniera profonda. Nel caso in cui lo Stato che richiede l’accesso al credito abbia un debito pubblico sostenibile –  cioè abbia un rapporto deficit-PIL sotto il 3% negli ultimi 2 anni e rapporto debito-PIL sotto il 60% (o stia seguendo un processo di rientro nei parametri concordato con le istituzioni UE [9] ) – e non abbia problemi di solidità del sistema bancario, tali da rappresentare una minaccia sistemica per l’eurozona, allora il paese potrà accedere alla linea di credito precauzionale condizionata (PCCL)[10]. Il MES fornirà supporto finanziario e lo Stato si impegnerà a pianificare le misure necessarie insieme alle istituzioni europee per superare la fase di difficoltà attraverso un Memorandum of Understanding. Altrimenti, se il quadro macroeconomico dello Stato è sostanzialmente sano, ma vi sono squilibri rilevanti in almeno uno degli aspetti oggetto di valutazione (debito pubblico, stabilità del sistema bancario e creditizio…), allora il paese potrà accedere solo alla linea precauzionale con condizionalità rinforzate (ECCL)[11]. In questo caso il Consiglio Europeo, la Commissione e BCE stabiliscono insieme con lo stato un piano correttivo dettagliato per superare le criticità. Viene avviata una procedura di sorveglianza periodica e un piano di analisi dei rischi relativi al debito pubblico e al settore finanziario del Paese e ai possibili impatti sugli altri paesi dell’eurozona.

Il MES è stato spesso oggetto di critiche, accusato di essere il simbolo della scarsa solidarietà europea. Specialmente, perché i suoi programmi di aiuto ai paesi in difficoltà sono prestiti soggetti a numerose condizionalità e non sussidi. Tuttavia, le condizionalità sono, purtroppo, difficilmente evitabili in assenza di una maggiore integrazione europea e di grandi passi in avanti del progetto unitario. L’intervento di istituzioni comunitarie per la pianificazione economica e delle riforme viene visto come una perdita della sovranità, ma in passato ha avuto un impatto positivo sull’economia dei paesi assistiti. Non bisogna dimenticare che, spesso, le situazioni nelle quali sono stati attivati i programmi del MES erano particolarmente critiche e non era possibile superarle con interventi ordinari. È essenziale per avere un’unione più forte e duratura evitare meccanismi che incentivano alcuni Stati a indebitarsi e usare risorse che non potrebbero permettersi in spese infruttuose perché convinti che alla fine altri Paesi europei salderanno il conto al posto loro. La solidarietà tra paesi membri dell’UE è fondamentale, specialmente in momenti di difficoltà, bisogna ricordare, tuttavia, che anche gli altri Stati si finanziano sui mercati o con le tasse. Non è facile stabilire fino a che punto sia giusto chiedere ad un cittadino di un altro paese di indebitarsi o pagare più tasse per sostenere un altro paese indebitato.

Il 15 maggio 2020 dopo lunghe trattative nelle varie sedi istituzionali europee, il comitato direttivo del MES ha messo a disposizione una linea di credito speciale temporanea per fronteggiare le spese collegate direttamente e indirettamente all’emergenza Covid 19.

  3) Linee di credito per spese sanitarie durante la pandemia (meglio noti come  programmi del MES Sanitario)[12]

La linea di credito per spese sanitarie è a disposizione di tutti i paesi partecipanti al MES per un importo massimo pari al 2% del PIL 2019 di ogni Stato richiedente e ha un costo inferiore ai finanziamenti delle linee di credito precauzionali.

resources for pandemic crisis ESM

Figura 4: Risorse disponibili con la Linea di credito per spese sanitarie per ogni paese in miliardi di euro.

Le risorse potranno essere richieste entro il 2022 e l’unica condizionalità per accedervi è il vincolo di destinazione a spese sanitarie. Il MES eroga i finanziamenti alla sanità entro 12 mesi dalla richiesta e il prestito avrà una durata massima di 10 anni. Inoltre, questa forma di assistenza non è unicamente attivabile sotto forma di prestito, le risorse della linea di credito contro la pandemia possono anche essere semplicemente usate come garanzia per reperire finanziamenti sul mercato a costi più bassi.[13]

Una volta richiesto l’intervento dei programmi del MES, lo Stato e la commissione europea dovranno elaborare un piano di risposta alla pandemia, stabilendo le misure e le spese che saranno finanziate con le risorse stanziate. La commissione si occuperà anche di monitorare l’intervento dello Stato e la sua situazione economica durante la durata del prestito.

Viste le specifiche condizioni di accesso, la linea di credito contro la pandemia sarà vantaggiosa per uno stato richiedente solo nel caso in cui esso abbia un piano strategico per risolvere le lacune del proprio sistema sanitario o per affrontare al meglio l’emergenza sanitaria. [14] Questo è ancor più vero poiché l’utilizzo e la gestione dei fondi è sorvegliata dalla commissione europea. La convenienza inoltre dipenderà come al solito dal costo che lo Stato dovrebbe sostenere per finanziarsi sul mercato. Se il mercato offrirà tassi simili o inferiori avrà poco senso richiedere l’accesso ai programmi del MES.

tasso rendimento mes

Figura 5: Confronto fra il rendimento dei titoli di Stato a 10 anni dei paesi dell’eurozona e il tasso d’interesse dei prestiti dei programmi del MES sanitario.

Michele Corio

Riferimenti

[1] 500 miliardi contando anche le risorse impegnate. Queste risorse sono denaro preso in prestito dal MES per poter finanziare i propri programmi di intervento e come spiegato nell’articolo Che Cosa È Il MES? non sono una quota del capitale conferito dagli Stati (700 mld).  https://www.esm.europa.eu/explainers

[2] https://ec.europa.eu/eurostat

[3] https://ec.europa.eu/eurostat

[4] https://www.esm.europa.eu/assistance/cyprus

[5] La BCE nei propri programmi di acquisto compra titoli dei paesi dell’eurozona in proporzione alla quota del capitale della BCE stessa detenuta da ciascuna banca centrale nazionale (Capital key). Il programma Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) permette alla BCE maggiore flessibilità riguardo al rispetto della capital key.

[6] L’OMT è uno strumento eccezionale che permette alla BCE di intervenire direttamente, acquistando titoli di uno Stato sul mercato secondario, per preservare la stabilità finanziaria del paese e dell’eurozona. Questo strumento è stato introdotto in seguito al celebre discorso di Londra di Mario Draghi, il famoso “whatever it takes”, ma non è ancora mai stato fortunatamente utilizzato.

 

https://www.am.pictet/it/blog/articoli/guida-alla-finanza/guida-alle-outright-monetary-transactions-in-5-punti https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2012/html/pr120906_1.en.html https://it.wikipedia.org/wiki/Outright_Monetary_Transactions

[7] https://voxeu.org/article/make-sure-esm-s-pandemic-crisis-support-fit-purpose

[8] https://www.esm.europa.eu/sites/default/files/esm_guideline_on_precautionary_financial_assistance.pdf

[9] Questi parametri sono sospesi per l’emergenza Covid 19 e saranno presumibilmente ridiscussi al termine della crisi sanitaria.

[10] Precautionary Conditioned Credit Line

[11] Enhanced Conditioned Credit Line

[12] https://www.esm.europa.eu/content/europe-response-corona-crisis

[13]https://www.esm.europa.eu/content/europe-response-corona-crisis#:~:text=A%20country%20with%20a%20Pandemic,average%20maturity%20of%2010%20years.

[14] https://www.lavoce.info/archives/69925/discutere-di-mes-senza-sapere-perche

Che cosa è il MES?

Questo articolo è il primo di una serie di 3, nei quali si parlerà del MES in generale, dei suoi programmi d’intervento e della riforma che dovrebbe essere ratificata nelle prossime settimane dalle istituzioni europee. 

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è un’istituzione finanziaria dell’eurozona nata nel 2012, nel corso della crisi dei debiti sovrani, per garantire ai paesi firmatari l’accesso a risorse finanziarie nelle fasi più critiche, quando essi hanno temporaneamente perso la possibilità di finanziarsi sui mercati o il costo di nuovo debito non è sostenibile per gli Stati stessi[1]. Attualmente contribuiscono al MES 19 paesi.

Per poter fornire finanziamenti agli Stati in caso di necessità, il MES non riceve risorse dai contribuenti dei singoli paesi ma si finanzia a sua volta sui mercati emettendo titoli di debito. A garanzia della sua capacità di  ripagare i debiti contratti, esso ha una sua dotazione di capitale. Il suo capitale è garantito solidalmente dai 19 Stati sottoscrittori. Nel concreto, al momento dell’istituzione del MES gli Stati hanno stabilito per esso un capitale di 704 miliardi di euro, una quota di circa 80 miliardi è stata direttamente corrisposta e i restanti 624 miliardi del capitale sono stati sottoscritti dai singoli stati e sono richiamabili dal MES stesso in caso di necessità[2]. Normalmente la quota del capitale richiamabile serve solo come ulteriore garanzia della solidità del MES e dell’impegno dei singoli Stati, ma l’eventualità che sia necessario richiedere l’effettivo conferimento di queste risorse è legata al verificarsi di situazioni estreme. È importante aver chiaro che il MES finanzia i Paesi utilizzando risorse prese in prestito e non il capitale conferito dagli Stati firmatari.

MES contributo per paese grafico
Figura 1: Quote di partecipazione al capitale del MES. La componente others include paesi che contribuiscono a meno del 5% del capitale: Belgio, Grecia, Austria, Portogallo, Finlandia, Irlanda, Slovacchia, Slovenia, Lussemburgo, Cipro, Estonia, Malta, Lettonia, Lituania. Fonte https://www.esm.europa.eu/

Ogni stato membro partecipa al capitale per una quota, determinata in base alla sua popolazione e al proprio PIL. La figura 1 riporta la ripartizione delle quote tra i vari paesi. Il fatto che sia finanziato e garantito da tutti i Paesi dell’eurozona rende estremamente sicuro prestargli denaro. Per questo motivo, al momento il MES emette titoli con un rating tripla A, il massimo nella scala dei rating (per un approfondimento vedere  articolo Qual È Il Ruolo Delle Agenzie Di Rating Nell’economia?). Grazie alla solidità del suo capitale, il costo del debito emesso dal MES è molto più basso di quello che sosterrebbero gli Stati in caso di difficoltà finanziarie[3] . Inoltre, il costo del debito dipende non solo dalla qualità del debitore, ma anche dalla durata del prestito. Un prestito a tasso fisso di 3 anni avrà un costo minore di un prestito a 10 anni, a parità di condizioni. Questo perché in un arco temporale più lungo il rischio che delle variabili fondamentali del finanziamento, come ad esempio le condizioni di mercato e la stabilità del debitore, possano cambiare è più elevato e, dunque, il prestatore richiede una remunerazione maggiore per sostenere tali rischi.

Il MES si finanzia con prestiti a breve termine, perché non ha problemi di liquidità, e così facendo può ridurre al minimo i costi che sostiene per reperire denaro e a sua volta finanziare a tassi più bassi i Paesi che necessitano di sostegno[4]. Inoltre, per consentire allo Stato in difficoltà di riprendersi, il finanziamento erogato dal MES dovrà essere restituito con tempistiche molto più lunghe di quanto sarebbe possibile ottenere con prestiti richiesti direttamente sul mercato, senza il sostegno dei partner europei.

Le decisioni sulle concessioni di prestiti del MES e su eventuali richieste di conferimento o modifica del capitale agli Stati firmatari vengono prese dal Consiglio dei governatori del MES, un organo decisionale composto dai ministri delle finanze dell’area euro. I singoli ministri non hanno lo stesso potere nelle votazioni. Il peso del voto di ogni ministro dipenderà dalla quota di capitale detenuta dal suo Stato.[5] Questo sistema permette agli Stati che assumono più rischi di avere anche più voce in capitolo nelle decisioni.

PERCHÉ È STATO RITENUTO NECESSARIO CREARE IL MES?

Come sappiamo l’Unione Europea è incompleta, i Paesi membri hanno un ingente interscambio di risorse, merci e capitali, e condividono, almeno in parte, anche i rischi economici e finanziari. Alcuni Stati hanno un rapporto di cooperazione più stretto di altri condividendo la moneta, tuttavia ad oggi non esiste un’unione fiscale. I sistemi di tassazione, le politiche economiche degli Stati membri e molte altre delle fondamentali decisioni di intervento pubblico nell’economia sono prese dai singoli Stati. Sebbene vi sia un coordinamento a livello europeo e un insieme di regole comuni, non esiste un “ministero delle finanze europeo” e questa incompletezza è ancora più rilevante in fasi di crisi, quando una reazione tempestiva e congiunta può prevenire danni maggiori. Per ampliare i margini di intervento comune fu dunque introdotto il MES, uno strumento di difesa necessario nella zona euro, anche se imperfetto. Sono stati necessari negoziati lunghi per la sua istituzione e l’introduzione di regole rigide e cautelative per il suo utilizzo per evitare che alcuni paesi siano incentivati ad indebitarsi eccessivamente, confidando di salvarsi poi a spese degli altri. Le regole di utilizzo e le condizionalità variano in base al tipo di intervento di cui necessita il singolo Stato in difficoltà. Approfondiremo il discorso guardando ai diversi tipi di sostegno che il MES può fornire in un articolo apposito (I Programmi Di Intervento Del MES)
Il MES è quindi nato certamente per supportare gli Stati dell’eurozona durante eventuali crisi finanziarie, ma è anche una difesa per gli altri Stati membri, non ancora colpiti, da un potenziale effetto contagio. È auspicabile che in futuro le regole severe e le condizionalità siano ridotte, ma ciò sarà possibile solo con una maggiore integrazione europea, poiché per eliminare condizioni rigide occorre fiducia tra gli Stati e per ottenerla un maggiore coordinamento è condizione imprescindibile.

Michele Corio

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Meccanismo_europeo_di_stabilit%C3%A0

[2] https://www.esm.europa.eu/

[3] https://www.esm.europa.eu/assistance/programme-database/interests-and-fees

[4] Maturity transformation. https://voxeu.org/article/make-sure-esm-s-pandemic-crisis-support-fit-purpose

[5] Trattato che istituisce il MES, capo 2 articolo 4 https://www.esm.europa.eu/sites/default/files/20150203_-_esm_treaty_-_it.pdf

Qual è il ruolo delle agenzie di rating nell’economia?

Gianlorenzo Zeccolella

Gianlorenzo Zeccolella

L’attuale situazione finanziaria riserva un ruolo speciale alle agenzie di rating, le quali possono condizionare attivamente e, in alcuni casi, minare la stabilità del mercato finanziario.

Sia nell’Unione europea che negli Stati Uniti, il numero delle agenzie di rating è molto circoscritto. Il settore è caratterizzato da poche aziende che operano in un mercato senza concorrenza. Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch Group, i cosiddetti “Big Three“, detengono circa il 92% della quota di mercato [1]. La loro funzione è quella di assegnare rating, indicatori essenziali per valutare la solidità sia dei paesi che delle aziende. Queste valutazioni sono di cruciale importanza in quanto contribuiscono a determinare la possibilità di accedere a nuove risorse di capitale nazionali e internazionali. 

I RATING COME MISURA DEL MERITO CREDITIZIO

Diverse società, prima di emettere un’obbligazione, chiedono alle agenzie di rating di valutare gli strumenti finanziari e di assegnare un rating (spesso obbligati dalla legislazione), che di conseguenza autorizza l’allocazione sul mercato. Inoltre, non tutti gli investitori valutano direttamente la qualità del credito di società e Paesi prima di investire. Molti si affidano ai giudizi delle agenzie di rating. 

Maggiore è la qualità del credito, maggiore sarà il rating. Oltre a garantire un minor costo del capitale, un rating elevato consente una maggiore capacità di finanziarsi sul mercato emettendo nuovo debito. La scala va da un massimo livello AAA, a D, che significa Default (gli indicatori sono leggermente diversi per Moody’s. Osservare la tabella successiva). Le società con rating BBB- o superiore si trovano nella cosiddetta area investment-grade mentre quelle con rating inferiori alla soglia BBB- si trovano nella zona di rating speculativo (definita anche “junk” o non non-investment).

Moody’sStandard & Poor’sFitchDescription
AaaAAAAAAInvestment Grade
Aa1AA+AA+
Aa2AAAA
Aa3AA-AA-
A1A+A+
A2AA
A3A-A-
Baa1BBB+BBB+
Baa2BBBBBB
Baa3BBB-BBB-
Ba1BB+BB+Speculative Grade
Ba2BBBB
Ba3BB-BB-
B1B+B+
B2BB
B3B-B-
CaaCCC+CCC
CaCCC
CCCC-
/DCC
/C
/D

IL RATING COME INDICATORE DEL RISCHIO

L’altro aspetto che può essere osservato analizzando i rating è il rischio contenuto in un investimento. Chiaramente, un emittente di debito – generalmente uno Stato o una società – che abbia un’alta qualità del credito e un rating elevato sarà un investimento più sicuro di un altro con un rating di tipo speculativo.

Gli investitori istituzionali, come i fondi pensione, i fondi comuni di investimento e le banche hanno diverse restrizioni sulle quantità di rischio che possono (e sono disposti) a sopportare.

Questo è in parte dovuto alla regolamentazione. I risparmiatori investono i loro soldi in un fondo pensione per garantirsi la possibilità di vivere rispettabilmente dopo il pensionamento, senza alcun interesse ad essere esposti ad attività speculative. Inoltre, anche la strategia di investimento è rilevante. In effetti, ogni portafoglio è costruito perseguendo determinati obiettivi. Nel settore finanziario, le due determinanti fondamentali vengono definite in termini di rendimenti attesi e rischio. Gli investitori, scegliendo di utilizzare il proprio denaro per acquistare strumenti finanziari, anziché spenderlo in beni di consumo o in servizi, dovrebbero ricevere una remunerazione adeguata, proporzionale al livello di rischio che stanno correndo. Tuttavia, la maggior parte di loro non accetterebbe il rischio di perdere gran parte del proprio capitale inseguendo alti rendimenti. A tal proposito, una vasta maggioranza degli investitori non sarà disposta a investire gran parte della propria ricchezza in obbligazioni governative o societarie a basso rating.

L’IMPORTANZA DEI RATING PER GLI STATI

In aggiunta, quando uno Stato viene declassato, l’impatto sul costo del prestito può essere molto significativo, specialmente se i suoi precedenti rating erano già bassi. Passare dai punteggi più bassi dell’area investment-grade all’area speculative grade può causare l’esclusione dai principali indici dei titoli di Stato e, quindi, dai portafogli di molti investitori istituzionali. Ciò genera non solo un drammatico aumento del costo del denaro sui mercati, ma può ridurre seriamente la capacità dell’emittente di finanziare ulteriori spese con debito. Oggi, secondo Moody’s e Fitch, l’Italia è solo un gradino sopra l’area spazzatura e la crisi rischia di comprometterne l’affidabilità creditizia.

CountryS&P’sMoody’sFitch10 years government bond yield
ItalyBBBBaa3BBB-0.49%
GermanyAAAAaaAAA-0.52%
FranceAAAa2AA-0.32%
SpainABaa1A-0.04%
PortugalBBBBaa3BBB-0.03%
United StatesAA+AaaAAA1.12%
United KingdomAAAa3AA-0.29%
JapanA+A1A0.04%
SwitzerlandAAAAaaAAA-0.50%
RussiaBBB-Baa3BBB5.88%
CanadaAAAAaaAA+0.82%
AustraliaAAAAaaAAA1.10%
New ZealandAAAaaAA1.07%
BrazilBB-Ba2BB-7.37%
South KoreaAAAa2AA-1.72%
ChinaA+A1A+3.22%
ArgentinaCCC+CaCCC51.23% (7 years maturity )
BulgariaBBBBaa1BBB0.28%
RomaniaBBB-Baa3BBB-2.94%
GreeceBB-Ba3BB0.58%
SwedenAAAAaaAAA0.06%

Osservando i rating e i rendimenti dei titoli di Stato riportati nella tabella sopra, si nota che anche altri fattori influenzano il rendimento delle obbligazioni. In effetti, l’Italia ha rating simili alla Russia, ma un costo del debito nettamente più basso.

L’intervento della Banca Centrale Europea (BCE) ha avuto un ruolo fondamentale nel mantenere piuttosto bassi i rendimenti sui titoli di Stato di molti Paesi europei, specialmente dell’Italia. La BCE realizza la propria politica monetaria servendosi di vari canali. È utile menzionare le operazioni di mercato aperto e i diversi programmi di acquisto di titoli sul mercato (APP)[2]. Questi strumenti permettono alla Banca Centrale di prestare liquidità a basso costo a banche e istituzioni finanziarie dell’Eurosistema. In cambio le banche devono fornire dei collaterali come garanzia, ad esempio dei titoli di Stato. Attraverso questi meccanismi la BCE acquista bond governativi dei Paesi UE, riducendo la pressione sui rendimenti di questi titoli e di conseguenza il loro costo del debito.

Tuttavia, i titoli di Stato per poter essere usati come garanzia in queste operazioni devono avere alcuni requisiti fondamentali [3]. Uno di questi è che abbiano un rating non inferiore al livello minimo per essere nell’investment-grade area. Altrimenti, nello scenario peggiore, la BCE non sarebbe più in grado di detenere questi titoli, né di comprarli. Dal 7 Aprile 2020 la Banca Centrale Europea ha deciso di alleggerire i requisiti necessari per l’idoneità dei collaterali. Questa misura è stata presa per ridurre i rischi legati a possibili downgrade dovuti alla crisi del coronavirus. Ad oggi tutti gli strumenti finanziari negoziati su mercati regolamentati e le emittenti che al 7 Aprile si trovavano almeno nell’area investment grade, restano eleggibili anche in caso di downgrade, anche qualora dovessero arrivare a livello spazzatura, fino ai primi due livelli della speculative grade area [4]. Ad ogni modo, solo il fatto che l’idoneità degli strumenti finanziari a svolgere il ruolo di collaterali nei programmi della BCE sia legato ai rating dimostra la rilevanza e il peso delle agenzie di rating nei mercati finanziari.

ASPETTI E CRITICITA’ DEL RATING CREDITIZIO

Le agenzie di rating assegnano un giudizio considerando diversi aspetti del debitore:

  1. Capacità di ripagare i prestiti (capitale e interessi)
  2. Capacità di ripagare il debito in tempo.
  3. Probabilità che l’obbligato non riesca a pagare e faccia default.

Studiate queste ampie categorie gli analisti possono attribuire un rating che rappresenta il merito creditizio della società.

Recentemente le principali società di rating hanno acquisito una grande importanza nei mercati finanziari e di capitali. Allo stesso tempo sono state anche oggetto di numerose critiche. Le maggiori e più illustri agenzie di rating creditizio – Standard and Poor’s, Moody’s and Fitch – oggi hanno una forte influenza sui mercati finanziari e di capitali. Le loro valutazioni sulla qualità della struttura finanziaria di una società costituiscono un elemento fondamentale per stimare il prezzo del rischio di credito, il quale a sua volta determina il costo del capitale interno ed esterno alla società.

Tuttavia, la questione fondamentale è che le agenzie di rating potrebbero avere alcuni incentivi a fornire un rating “gonfiato”. Il problema nasce dal fatto che le agenzie non sono pagate dagli investitori ma dalle stesse società che richiedono la valutazione del proprio merito creditizio (i debitori). Coloro che emettono titoli di debito, gli stessi che pagano l’agenzia di rating, vorrebbero certamente che gli sia assegnato un rating alto così da dimostrare la propria stabilità finanziaria e mantenere il costo del debito basso . Non è difficile comprendere che questo meccanismo può generare conflitti di interesse. Visto che è la compagnia che chiede la valutazione a pagare l’agenzia di rating, questa tenderà probabilmente a dare un rating alto.

La diffusione di prodotti strutturati come le Mortgage Backed Securities (MBS) – titoli garantiti da ipoteche su immobili – sta aumentando in modo significativo da diversi anni, soprattutto negli Stati Uniti. Il tasso di default su questi titoli – ovvero la probabilità che il capitale prestato non venga ripagato – è risultato molto più elevato di quanto si sarebbe potuto ricavare dal valore intrinseco degli strumenti. Tuttavia, spacchettando tali prodotti strutturati, spesso sarebbero stati trovati nella sua composizione, quote di singoli asset di scarso valore che, però, cartolarizzati e uniti in un nuovo prodotto davano sorprendentemente vita a un prodotto finanziario con un rating alto. Tutte queste problematiche hanno avuto un ruolo critico nel causare la crisi dei mutui subprime del 2008. 

Inoltre, un altro aspetto rilevante è la presenza di insormontabili barriere all’entrata del mercato delle agenzie di rating creditizio. Il mercato è dominato da 3 società ed è a tutti gli effetti un sistema oligopolistico. Le società leader del settore possono accordarsi e fare cartello per aumentare i prezzi per accedere ai propri servizi e impedire ad altre società di accedere al mercato. Inoltre, le agenzie di rating creditizio dominando il mercato hanno anche maggiore libertà di offrire rating gonfiati, con poca competizione nel mercato. Se ciò accadesse, sarebbe difficile per il regolatore e per gli enti di controllo scoprire se alcune valutazioni controverse derivino da mutate condizioni economiche  o da strategie collusive. 

COSA SI PUO’ FARE PER MIGLIORARE LA SITUAZIONE?

E’ fondamentale creare schemi di incentivi per motivare queste imprese a evitare comportamenti collusivi. Un’idea potrebbe essere istituire un dipartimento pubblico di rating nelle maggiori istituzioni internazionali (FMI o Banche centrali ad esempio) che può valutare il merito creditizio delle società. Le valutazioni di questi dipartimenti potrebbero essere confrontate con quelle delle agenzie di rating per controllare se ci sono eventuali scostamenti significativi. Se ci sono valutazioni sospette il regolatore potrebbe revocare la licenza di operare nel settore del rating creditizio all’agenzia per il futuro. Queste misure potrebbero sembrare poco realistiche, infatti sembra difficile pensare che in caso di valutazioni poco chiare si possa arrivare a ritirare la licenza a Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch visto il loro potere di mercato[5].

Nonostante le criticità e gli aspetti negativi del mercato dei rating e delle attività delle agenzie, non dobbiamo dimenticarci della loro importanza. I rating creditizi forniscono informazioni essenziali e sintetiche che possono essere molto utili agli investitori per prendere decisioni. 

Michele Corio e Gianlorenzo Zeccolella


Riferimenti:

[1] https://www.moodysanalytics.com/regulatory-news/nov-29-19-esma-publishes-market-share-figures-for-credit-rating-agencies-in-eu/

[2] https://www.ecb.europa.eu/mopo/implement/html/index.en.html

[3] https://www.ecb.europa.eu/mopo/assets/standards/marketable/html/index.en.html

[4] https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ecb.pr200422_1~95e0f62a2b.en.html

[5] Stolper, A., 2009. Regulation of credit rating agencies. Journal of Banking & Finance 33, 1266–1273. https://doi.org/10.1016/j.jbankfin.2009.01.004

Le insidie dietro la crescita dei mercati

Continua l’irrefrenabile ripresa dei mercati finanziari. Dopo il mese record di aprile, maggio ha deluso le aspettative di numerosi short seller[1] che prevedevano una correzione al ribasso delle valutazioni. Le riaperture in tutti i paesi, dopo un prolungato periodo di lockdown, hanno generato una grande euforia sui mercati finanziari facendo proseguire la rincorsa ai livelli pre-coronavirus.

Per molto tempo abbiamo imparato a guardare agli utili come al principale value driver nel mercato azionario. Non era il rapporto price/earnings (P/E)[2] uno dei principali multipli per valutare i titoli? Ad oggi, nonostante la maggior parte delle società abbiano riportato utili ampiamente sotto i livelli forniti sia dalle guidance sia dalle previsioni degli analisti (eccetto quelle del settore tecnologico, comunicazioni e stay-at home[3] stocks), il mercato sta lentamente tornando ai valori pre-crisi. Il Nasdaq è tornato a pochissimi punti percentuali dai massimi storici.

 

Source: Yahoo Finance

Ad amplificare il paradosso di questa visione, quasi unidirezionalmente al rialzo, sono praticamente tutti i dati macroeconomici negativi. Le stime del Fondo Monetario Internazionale[4] prevedono il segno negativo sulle proiezioni del PIL in quasi tutti i paesi del mondo, fatte salve rare eccezioni quali Cina e India (rispettivamente +1.2% e +1.9% nel 2020) che a loro volta sono ampiamente lontane dal normale ritmo di crescita. Nell’area euro è previsto un calo del 7.5% nel 2020 con un rimbalzo del 4.7% nel 2021, e chissà quanto tempo impiegheremo per tornare ai livelli di PIL antecedenti il coronavirus.

 20202021
United States-5.94.7
Germany-7.04.7
France-7.25.2
Italy-9.14.5
Spain-8.04.8
Japan-5.24.3
United Kingdom-6.54.0
China1.29.2
India1.97.4
Source: IMF. Pil outlook in percent change.

A questo si aggiungono le stime sulla disoccupazione che, dati alla mano, negli Stati Uniti ha raggiunto il 14.7% ad aprile, più del triplo dal 4.4% di marzo[5]. Non dimentichiamoci però che circa il 70% dei consumi negli Stati Uniti sono dovuti alle famiglie statunitensi stesse. Chi consumerà negli Stati Uniti considerando che aumentano i disoccupati?

Le stime macroeconomiche sono affiancate alla totale aleatorietà del vaccino. Sebbene alcune (poche) sperimentazioni siano andate a buon fine, sembriamo essere ancora molto lontani dall’ottenere un vaccino efficace. Ad oggi, i vaccini più promettenti sono in fase di sperimentazione. Tuttavia, sembra quasi che, di recente, gli investitori si siano dimenticati le principali incertezze che questa crisi sanitaria ed economica ha causato: non ci sono cure efficaci, non sappiamo se, ed eventualmente quando, gli utili ritorneranno ai livelli pre-covid 19, non conosciamo le conseguenze delle riaperture o se il periodo autunnale possa portare ad una nuova ondata. E potrei continuare con tantissime altre incertezze.

Da dove viene quindi tutto questo ottimismo? La vera domanda è chiedersi se forse ‘there is no alternative’ market. Infatti, accanto a tutte queste incertezze, abbiamo delle certezze indiscutibili: le banche centrali continuano e continueranno a stampare incessantemente moneta garantendo stimoli illimitati (due esempi sono la Federal Reserve e la Bank of Japan). Le decisioni delle principali banche centrali di fornire una liquidità spropositata sul mercato hanno probabilmente favorito una ripresa nel breve periodo, ma bisognerà valutarne la sostenibilità. Inevitabilmente, tutti questi interventi hanno portato i rendimenti sul cash e sui bond a livelli così bassi da generare una volontà implicita negli investitori ad esporsi maggiormente sul mercato azionario, per ottenere un rischio-rendimento più soddisfacente. A questa si aggiunge la cosiddetta ‘fear of missing out’ (FOMO) da parte degli investitori, ovvero la paura di non salire sulla barca al momento del trend rialzista per sfruttare il rally[6], che a sua volta alimenta ulteriori rialzi. Il problema rimangono, però, i dati macroeconomici, i quali potrebbero portare ad un trend rialzista solo nel breve termine.

Altro fattore di estrema importanza sarà la possibile guerra fredda tra Stati Uniti e Cina che potrebbe ancor di più alimentare l’incertezza sui mercati. L’immediata reazione è stata naturalmente negativa. Contesti del genere aumentano il premio per il rischio e mettono a pericolo lo sviluppo globale. Ovviamente, un aumento del risk-premium[7] porta, nella maggioranza dei casi, ad una diminuzione del prezzo delle azioni. Si tenga a mente che parliamo delle due potenze maggiori in termini di PIL globale, e gravi ripercussioni potrebbero, con un effetto a catena, coinvolgere tutti i mercati.

Per quanto riguarda il mercato Europeo e in particolare l’Eurozona, la notizia principale riguarda la proposta del Recovery Fund della Commissione Europea che dovrebbe garantire 750 miliardi con un’emissione di titoli trentennali garantiti da tutti i Paesi, di cui una porzione sarà distribuita a fondo perduto e una porzione in forma di prestiti. Negoziati molto complicati si apriranno nei mesi successivi. Finalmente ci avviciniamo ad una condivisione del debito a livello europeo (eurobond). Il problema è che i fondi saranno erogati non prima del 2021. Di conseguenza gli strumenti disponibili dei paesi europei saranno, almeno fino alla fine del 2020 il Sure, il Mes e gli acquisti dei titoli governativi da parte della Banca Centrale Europea. Queste iniziative sono state prese con grande euforia sui mercati, soprattutto quello dei titoli di Stato il quale ha visto un restringimento degli spread[8].

Non possiamo pronosticare se il rally azionario durerà ancora a lungo dal momento che ci troviamo in un mercato veramente anomalo. In questo contesto il sentiment degli investitori sembra contare molto più dei fondamentali macroeconomici e microeconomici. Rimane però un concetto fondamentale dell’economia: la crescita, per essere sostenibile nel lungo termine, deve basarsi su strutture e fondamenti solidi e questi, ad oggi, sembrano essere molto labili. Nel caso estremo si rischia di creare una bolla che, se esplodesse, provocherebbe ulteriori conseguenze negative sul mercato.

Gianlorenzo Zeccolella


[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Vendita_allo_scoperto

[2] P/E (Price over earnings) è uno dei principali multipli utilizzati per valutare l’equity di una società. Se P/E=15x significa che il prezzo azionario è quindici volte le earnings per share

[3] Un esempio di stay at home stocks sono Netflix o Zoom

[4] https://www.imf.org/external/index.htm

[5] https://www.ilsole24ore.com/art/la-disoccupazione-usa-vola-147percento-mai-cosi-alta-grande-depressione-ADEShGP

[6] Un rally è un periodo in cui il prezzo di un asset vede una spinta al rialzo sostenuta. https://www.ig.com/it/glossario-trading/definizione-di-rally

[7] https://www.investopedia.com/terms/r/riskpremium.asp

[8] Lo spread indica la differenza di rendimento tra due tipi di titoli della stessa durata (solitamente 10 anni), dove uno è considerato il benchmark principale

Cosa significa il prezzo negativo del petrolio

Gli investitori dovrebbero iniziare ad abituarsi a distorsioni del mercato ogni volta che si fronteggia una crisi. In passato, prima della crisi finanziaria del 2008, avevamo imparato che i tassi di interesse non potessero essere negativi. Perché dovrei prestare denaro se in futuro riceverò un importo inferiore? La tremenda crisi di quel periodo ha modificato una delle leggi fondamentali dell’economia e, da allora in poi, gli investitori si sono gradualmente abituati all’idea di un tasso di interesse inferiore allo zero.

Oggi, la crisi del petrolio ha cambiato un altro concetto cardine dell’economia: il prezzo può non essere positivo. Chi è disposto a vendere un prodotto pagando i propri clienti? Il 20 aprile, abbiamo osservato un cambiamento storico: il prezzo dei futures[1] WTI (West Texas Intermediate) in scadenza a maggio è diventato negativo in serata, toccando il livello di $ -40,32 al barile di petrolio. Tuttavia, il problema deriva principalmente da una questione tecnica relativa alla dinamica dei contratti derivati[2] ​​(lo spiegheremo in seguito). Prima di entrare nei tecnicismi, è necessario delineare brevemente il contesto dei prezzi del petrolio e analizzare il contesto macroeconomico.

Fino all’esplosione del coronavirus, nel 2019 la produzione giornaliera di barili di petrolio ammontava a circa 80,6 mln bbl/day (leggi baril al giorno). Gli Stati Uniti sono stati i principali produttori con circa 15 mln bbl/day, seguiti da Arabia Saudita e Russia[3].

Con l’accordo OPEC +, esteso ad altri paesi, si è deciso di ridurre la produzione di petrolio di 9,7 mln bbl/day. Tale manovra, tuttavia, non è risultata sufficiente per fronteggiare lo shock globale della domanda, derivante da diversi fattori quali il calo dei voli di circa il 90%, la riduzione del traffico automobilistico, la produzione più lenta di prodotti chimici e così via. Effettivamente, la commodity più essenziale sta rapidamente perdendo valore poiché il prolungato eccesso di offerta supera i limiti di capacità dei serbatoi, dei gasdotti e dei supertanker attualmente disponibili in tutto il mondo. La conseguenza è stata che il prezzo del petrolio negli Stati Uniti è crollato e per la prima volta abbiamo visto un prezzo inferiore allo zero. Per i produttori risulta meno oneroso pagare qualcuno e disfarsi dei barili di petrolio, piuttosto che bloccare la produzione o trovare un luogo dove immagazzinare temporaneamente la scorta eccessiva. Molti di loro sono preoccupati per la chiusura dei pozzi in quanto l’inattività potrebbe creare molti danni, rendendo il business non profittevole in futuro. Un altro dettaglio cruciale è che il petrolio viene negoziato con contratti futures e consegna fisica[4]. L’acquirente è obbligato a ricevere il del sottostante in una posizione specifica alla scadenza (ad esempio, per il WTI, la posizione è Cushing, Oklahoma). Tuttavia, nel mercato dei futures, ci sono traders che acquistano contratti solo a fini speculativi (scommettendo sulle oscillazioni dei prezzi), ma non hanno assolutamente alcuna volontà di ricevere fisicamente il prodotto sottostante. Nel caso estremo di una drastica riduzione del prezzo, possono decidere di cercare un posto dove immagazzinare i barili.

Il problema è stato che la pandemia ha creato un eccesso di offerta che ha reso la capacità di storage molto limitata e costosa. Pertanto, la maggior parte dei traders ha deciso di vendere in perdita. Questo è fondamentalmente il motivo per cui per la prima volta abbiamo visto un prezzo negativo sul mercato finanziario. Va sottolineato che tale prezzo era collegato ai contratti futures in scadenza a maggio e che quelli in scadenza a giugno non hanno avuto lo stesso comportamento. Non sorprendiamoci dunque se nel prossimo futuro ci troveremo nuovamente davanti ad una simile situazione. Nonostante ciò, l’andamento ha influito anche sui contratti in scadenza a giugno, i quali hanno perso parte del loro valore, e su altri tipi di petrolio come ad esempio il Brent. Tuttavia, essendo il Brent un greggio estratto in mare, i commercianti sono stati in grado di spedirlo in tutto il mondo, in aree con maggiore domanda. Nel peggiore dei casi, le aziende possono noleggiare alcune petroliere e le riempiono in attesa di periodi con maggiore domanda. Viceversa, per il WTI questa soluzione è più costosa poiché la materia sottostante al contratto non viene estratta vicino al mare.

Abbiamo citato i due benchmark ampiamente utilizzati nel mercato del petrolio, ovvero Brent e WTI. La differenza principale tra questi due tipi di greggio riguarda la composizione. Entrambi sono classificati come “sweet light crudes”, un termine legato al petrolio greggio contenente meno dell’1% di zolfo e che è meno denso di altri tipi di petrolio. Il WTI ha un contenuto di solfuro dello 0,24% mentre il Brent dello 0,37%[5]. Inoltre, rispettivamente, contano 39,6 e 38 di API gravity[6]. Chiaramente, un’altra differenza riguarda la posizione di estrazione. Il WTI viene estratto da giacimenti petroliferi negli Stati Uniti, in Texas, Louisiana e North Dakota e viene quindi trasportato via gasdotto a Cushing, in Oklahoma, per la consegna. Il Brent crude viene estratto dai giacimenti petroliferi nel Mare del Nord.

* Il grafico tiene conto del roll over dei contratti futures (la scadenza di una posizione viene estesa in avanti per la stessa attività sottostante al prezzo di mercato corrente). Prezzi mensili.

 

Le diverse proprietà e aree geografiche spiegano il differenziale di prezzo tra Brent e WTI, tecnicamente definito come quality spread. Eppure, come possiamo vedere dal grafico, i prezzi sono perfettamente correlati[7] e la mancanza di domanda influenza tutti i tipi di petrolio. Le conseguenze potrebbero avere un impatto sul mercato multimiliardario circostante.

I produttori di petrolio stanno subendo ingenti perdite (l’ultima società a riportare i risultati è stata Eni, con una perdita di 2,9 miliardi di euro[8]) che mettono a dura prova il rischio di liquidità e solvibilità. Il crollo dei prezzi ha messo in luce i punti deboli delle società più indebitate negli Stati Uniti e non si può escludere un potenziale effetto di ricaduta su altri settori. Attualmente, gran parte delle obbligazioni ad alto rendimento che si trovano nell’area distressed[9], appartengono al settore Oil & Gas. Le società stanno cercando di ridurre le spese, tagliando ad esempio dividendi e nuovi investimenti, ma, se la crisi si protrarrà per un periodo più lungo, alcune compagnie petrolifere faranno fatica a sopravvivere. Soprattutto in un mercato dove l’offerta supera largamente la domanda. Le agenzie di rating possono innescare un effetto a catena declassando queste società. In futuro, se molte imprese saranno classificate nell’area non investment grade, la nuova emissione di debito potrebbe essere costosa e complicata in un periodo di restrizioni creditizie.

Sfortunatamente, il primo modo per rimanere competitivi su un mercato con domanda compressa è licenziare i lavoratori, così da ridurre velocemente i costi e sopravvivere in un mercato molto turbolento. Il prezzo del petrolio è anche il traino principale per mantenere l’inflazione in una zona positiva. Con un prezzo così basso, potremmo aspettarci una possibile deflazione o un’inflazione molto bassa. Il Wall Street Journal ha analizzato i possibili effetti di ricaduta della crisi petrolifera, evidenziando che a Houston il settore immobiliare sta già soffrendo a causa del prezzo del petrolio. Inoltre, alcune banche, principalmente quelle vicine all’area di estrazione, hanno prestato una parte importante del loro capitale alle società Oil & Gas, le quali sono ora molto vicine al default (ci sono più di un migliaio di produttori e la maggior parte sono relativamente piccoli). I Credit Default Swaps[10], una sorta di assicurazione che gli investitori cercano di ottenere contro il fallimento di una società, sulle Oil & Gas companies hanno visto un allargamento esponenziale dello spread, sintomo molto negativo in termini di stabilità finanziaria. Allo stesso modo, anche il cosiddetto bid-ask spread sulle obbligazioni societarie, un indicatore della liquidità del mercato, si è ampliato. Il trading è diventato più difficile da quando gli strumenti generalmente liquidi si sono trasformati in strumenti illiquidi.

Le condizioni per avere un reale effetto domino ci sono tutte: le persone non devono sottovalutare la crisi finanziaria che il prezzo del petrolio potrebbe innescare. Il fallimento di alcune aziende in questo settore potrebbe generare problemi per altri settori. Il rischio di default è imminente e i produttori di petrolio, insieme ai governi, devono adottare misure unilaterali per sostenere i prezzi perché, allo stato attuale, è a rischio l’intera economia. Possibili effetti? contrazione del credito, disoccupazione, insolvenze, deflazione e infine recessione.

Gianlorenzo Zeccolella


[1] Accordo per scambiare il sottostante a un prezzo e un tempo prestabiliti

[2] https://www.investopedia.com/ask/answers/12/derivative.asp

[3] https://www.eia.gov

[4] Differisce dal cash settlement dove è solamente trasferita la net cash position https://www.wallstreetmojo.com/cash-settlement-vs-physical-settlement/

[5] Più basso è il contenuto di zolfo più “dolce” è il petrolio e più facile sarà la raffinatura

[6] Il grado è un’unità di misura utilizzata per misurare il peso specifico e, per il petrolio, viene valutato su una scala da 10 a 70, dove più alto è il numero, meno denso è il petrolio

[7] https://www.investopedia.com/terms/p/positive-correlation.asp

[8] https://www.eni.com/en-IT/investors.html

[9] Financial distress è una situazione nella quale una società non riesce ad adempiere alle proprie obbligazioni finanziarie, potrebbe essere incapace di ripagare i propri debiti o una parte di essi

[10] https://www.investopedia.com/terms/c/creditdefaultswap.asp

UE e Coronavirus: il punto della situazione

Cari lettori, in questo momento storico e’ molto difficile mantenersi lucidi e analizzare i fatti con raziocinio. E’ difficile non lasciarsi influenzare da naturali preoccupazioni, che in alcuni casi evolvono in veri e propri drammi familiari. Credo però che, oggi ancor più di ieri, sia necessario fare uno sforzo critico e valutare i fatti al di fuori della retorica, o peggio della propaganda.

Il rapporto dell’Italia con l’Unione Europea in queste settimane di emergenza sanitaria é stato messo duramente in discussione e gli euroscettici sono in forte aumento [1]. Indubbiamente l’Europa gioca un ruolo fondamentale nella società in cui viviamo, così come nell’attualità politica ed economia del nostro bel paese, che piaccia o meno [2].

©️ Comitato Ventotene – L’export dell’economia italiana

Dall’inizio della crisi, l’Unione Europea ha risposto in maniera disunita ed incoerente. Per questo, giovedì scorso la Presidente della Commissione Europea ha chiesto pubblicamente scusa all’Italia da parte dell’Unione Europea tutta. Un gesto politico forte e necessario. Negli ultimi due mesi si sono infatti susseguiti episodi spiacevoli, non all’altezza di un’Unione i cui valori fondanti sono il rispetto e la solidarietà tra popoli. Pensiamo al caso dei dispositivi medici bloccati alla frontiera da Germania e Francia, la frase infelice della Lagarde che ha mandato a picco l’indice FTSE MIB, o i commenti incresciosi [3] del Ministro delle Finanze dei Paesi Bassi. Appare evidente che il progetto di una vera Unione Europea sia ancora lontano da essere completato.

Allo stesso modo però, non possiamo dimenticarci tutto quello che è stato fatto a livello europeo per venire incontro all’Italia e quanto adesso sia in fase di studio. Da inizio epidemia l’UE ha proposto la sospensione del patto di stabilità e ha dato il via libera agli aiuti di stato, iniziative ampiamente approvate dall’Eurogruppo. Inoltre la Banca Centrale Europea ha lanciato il Programma di Acquisto per l’Emergenza Pandemia per un ammontare di 750 miliardi di euro, abbassando sostanzialmente i tassi d’interesse sui buoni del tesoro italiani (vedere Italy Government Bond 10Y | 1991-2020 Data [4]). In aggiunta, è stato dato il via libera al riutilizzo dei fondi europei inutilizzati nell’anno 2019, ricavando un fondo da 37 miliardi [5] per le imprese e la lotta al virus. Tutto questo mentre la Germania iniziava a ricevere pazienti Covid-19 nei suoi ospedali, occupandosi del trasporto e diventando il primo paese al mondo ad aiutare la regione Lombardia (ancor prima di tante altre regioni Italiane). Certo, un aeroplano con la bandiera Cinese stampata sulla fiancata fa più impressione, ma l’UE non è mai stata molto brava nel fare comunicazione (forse a causa dei ricordi nefasti che la propaganda evoca tra i suoi Stati Membri).

Veniamo adesso alle proposte in fase di elaborazione e la partita che si sta giocando a Bruxelles.

Lo scorso 9 Aprile l’Eurogruppo ha approvato una risposta coordinata a livello Europeo per circa 540 miliardi, con l’impegno di implementare un Recovery Fund per la ripartenza che ammonterebbe a circa altri 500 miliardi una volta terminata questa fase iniziale. La prima tranche di aiuti approvati si suddivide in 200 miliardi per le imprese da erogare tramite la Banca Europea degli investimenti, 240 miliardi tramite il Meccanismo Europeo di Stabilità (con l’unica condizione di essere spesi per l’emergenza sanitaria) e 100 miliardi di un fondo europeo a sostegno dei lavoratori che rischiano di perdere il lavoro (SURE fund). Questi strumenti si sommano alle risposte prese a livello nazionale dai singoli stati membri, che già ammontano a 430 miliardi di stimoli fiscali e 2.240 miliardi di iniezioni di liquidità [6].

©️ European Union 2014 – European Parliament

Come scrive Adriana Cerretelli sull’edizione del 15 Aprile del Sole 24 “In soldoni tutto questo significa che l’Europa per cominciare è pronta a veicolare sull’Italia 80-82 miliardi tra prestiti Bei (20 mld), Sure (15 mld), fondi strutturali inutilizzati (10-11 mld) e Mes (36 mld, con risparmio di 1,5 miliardi di tassi di interesse). In attesa del piano di rilancio europeo che, con o senza eurobond, si sa che richiederà tempo per essere costruito.  Difficile non chiamarla solidarietá.”

Ma torniamo un attimo sugli strumenti concordati dall’Eurogruppo. Lo scorso 17 Aprile il Parlamento Europeo ha approvato sia il Recovery Fund che la nuova linea di credito del MES, mentre e’ stato detto no ai Corona Bond. Come fa notare Carlo Cottarelli sulla Stampa [7], per finanziarsi questi strumenti (SURE e prestiti BEI compresi) si basano tutti su un concetto molto simile a quello dei Corona Bond. Ovvero l’erogazione di debito comune, garantito da un fondo messo a disposizione congiuntamente da tutti gli Stati Membri, fondamentalmente una mutualizzazione del debito. Questo e’ scritto nero su bianco anche dall’Ufficio Italia del Parlamento Europeo [8].

La votazione dello scorso venerdì è importante anche per un’altra ragione. Con il suo voto contrario ai Corona Bond, la Lega ha chiarito la sua posizione di fronte agli occhi dell’elettorato italiano. Dopo settimane di aspra polemica sul MES, il Carroccio ha confutato ogni dubbio che il problema non e’ il MES, bensì la solidarietà all’interno dell’Unione Europea. Affinché un determinato tipo di retorica possa continuare, occorre che l’UE non mostri segnali di solidarietà. Nemmeno se questi sono rivolti verso il nostro paese. Purtroppo l’idea di incolpare l’Europa di tutti i mali Italiani e la nostalgia per una valuta debole, che in questo momento sarebbe catastrofica per l’Italia, rimangono ben presenti tra molti elettori Italiani e i due principali partiti di opposizione sanno bene che queste convinzioni non devono essere smentite. Ne andrebbe del loro futuro politico. Guardatevi bene, cari lettori, da presunti economisti che invocano il ritorno alla sovranità monetaria e al contempo speculano sulla condizione di instabilità politica del nostro bel paese, magari mentre sono al governo [9]

Per salvarsi da questa emergenza sanitaria che si sta già trasformando in dramma economico, l’Italia deve invece sperare in un’Europa più forte, più solidale e più unita. All’interno di questa Unione Europea non solo abbiamo le spalle coperte da una banca centrale che sta facendo i nostri interessi ed un mercato unico che ci permetterà presto di tornare ad esportare senza dazi e dogane, ma anche e soprattutto il supporto politico ed economico di altri 26 paesi amici grazie ai quali possiamo affrontare congiuntamente le difficoltà che ci si stanno parando davanti. Certo, alcuni di questi paesi non si stanno dimostrando all’altezza dell’enorme crisi che ci ha investito. Per questo l’auspicio è che si continui a lavorare nella direzione di uno sviluppo e un rinnovamento profondo dell’Unione Europea, enorme garanzia per il benessere di tutti noi cittadini. Dovremmo probabilmente prendere ad esempio i 136 team di ricercatori internazionali che, finanziati dall’UE, stanno unendo le loro forze nel tentativo di trovare un vaccino contro il virus.

Non so che cosa verrà deciso al consiglio Europeo del 23 Aprile, ma so per certo in che cosa sperare.

Giovanni Sgaravatti

Coronavirus, piccola cronistoria

Qui di seguito una scaletta in ordine cronologico dei più recenti avvenimenti in Italia:

  • Il 29 Gennaio vengono riscontrati i primi due casi di Coronavirus in Italia (a Roma)
  • Il 21 Febbraio si rilevano i primi casi di trasmissione locale (da persone che non risultano aver viaggiato recentemente in Cina)
  • Il 4 Marzo si supera la dolorosa soglia dei primi 100 decessi
  • Il 6 Marzo ad un Consiglio Europeo straordinario il Ministro della Salute Italiano denuncia alcuni paesi, tra cui Francia e Germania, di impedire le esportazioni di attrezzature sanitarie
  • Il 6 Marzo l’UE annuncia un pacchetto di 140 milioni, di cui 47,5 destinati a 17 progetti di ricerca che coinvolgono 136 team di ricercatori impegnati nello sviluppo di un vaccino e 50 per indirizzati ad aziende Italiane che producono prodotti medicinali
  • Il 9 Marzo il Presidente del Consiglio firma il decreto (Dpcm) “io resto a casa”, chiedendo a tutti i cittadini Italiani di non uscire dalle proprie abitazioni se non per ragioni inderogabili
  • Il 10 Marzo l’UE stanzia un fondo da 25 miliardi per contrastare l’emergenza (garanzia 10mld SURE)
  • L’11 Marzo la Presidente della Commissione Europea condanna pubblicamente il comportamento di alcuni Stati membri di limitare la libera circolazione delle merci e in un video si rivolge ai cittadini Europei dicendo “Oggi siamo tutti Italiani”
  • L’11 Marzo la Cina invia un equipe di medici in Italia
  • Il 12 Marzo la Lagarde dice che non rientra nel mandato della BCE diminuire gli spread (lo spread italiano s’impenna)
  • Il 13 Marzo la Commissione Europea annuncia investimenti pubblici per 37 miliardi usando i fondi strutturali UE Il 15 Marzo il mercato unico torna ad essere tale e gli ordini vengono lasciati transitare liberamente
  • il 16 Marzo Eurogruppo
  • Il 16 Marzo viene approvato il “Cura Italia”, con il quale il governo autorizza 25 miliardi di indebitamento per fronteggiare l’emergenza.
  • Il 17 Marzo, l’ONG Statunitense Samaritan’s Purse installa un ospedale da campo a Cremona con 60 posti letto di cui 8 equipaggiati per la terapia intensiva e 60 tra medici e personale sanitario
  • Il 18 Marzo la Banca Centrale Europea lancia il Programma di Acquisto per l’Emergenza Pandemia per un ammontare di 750 miliardi di euro (lo spread torna a livelli normali)
  • Il 19 Marzo la Banca Europea degli Investimenti lascia sapere di star lavorando su un piano paneuropeo di investimenti per un ammontare di 250 miliardi indirizzati alle imprese ed in particolar modo alle PMI. La garanzia sottostante dovrebbe essere rappresentata da un fondo per 25 miliardi
  • Il 20 Marzo, patto di stabilità viene sospeso
  • Il 22 Marzo il governo chiude tutte le attività produttive non essenziali
  • Il 22 Marzo atterrano a Malpensa 52 medici Cubani
  • 24 Marzo, la Germania e’ il primo paese al mondo a ricevere pazienti COVID-19 Italiani
  • 24 Marzo, il Commissario Europeo per l’economia conferma che gli stati membri che potranno utilizzare i fondi europei per fronteggiare l’emergenza 
  • 25 Marzo la Cina invia 30 ventilatori polmonari, 20 set di monitor sanitari, 3.000 tute protettive, 300.000 mascherine (più altre 20.000 del tipo N95) e 3.000 schermi facciali
  • Il 26 Marzo, arrivano dalla Russia 120 medici, attrezzature e prodotti farmaceutici e 122 militari. Un giornalista della Stampa verrà minacciato da un portavoce del Ministero della Difesa Russo via Twitter per un’inchiesta sulla tipologia di aiuti erogati e le ragioni sottostanti
  • Il 26 Marzo si riunisce il Consiglio Europeo per mettere appunto una risposta fiscale congiunta alla pandemia. Il primo oppositore di tale risposta e’ l’Olanda, il cui ministro delle Finanze chiede perché paesi come la Spagna non possano rispondere autonomamente dopo 7 anni di crescita economica della zona euro. Il Primo Ministro Portoghese etichetterá la frase come “ripugnante”.
  • Il 27 Marzo il Presidente Francese Macron rilascia una serie di interviste ai giornali italiani dove si schiera pubblicamente dalla parte di Spagna e Italia in favore dei Coronabond.
  • 28 Marzo Von Der Leyen rilascia un’intervista a il quotidiano tedesco DPA dove definisce i Coronabond uno slogan
  • 29 Marzo, l’Albania invia un equipe medico-sanitaria in Italia per ricambiare gesti di solidarietà di tempi passati
  • Il 2 Aprile la Commissione Europea propone formalmente il SURE, un fondo da 100 miliardi di supporto alla disoccupazione causata dall’emergenza

foto in copertina di DAVID ILIFF. License: CC BY-SA 3.0: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:European_Parliament_Strasbourg_Hemicycle_-_Diliff.jpg

Per approfondire

https://www.repubblica.it/economia/2020/03/10/news/ue_von_der_leyen_un_fondo_da_25_miliardi_per_il_lavoro_e_la_salute_-250887782/

[1] Coronavirus: Is Europe losing Italy?

[2] Economics – Let us trade

[3] https://www.portugalresident.com/repugnant-pm-costa-launches-extraordinary-attack-on-dutch-finance-minister/?fbclid=IwAR2IVazHYsGqYpq_7HXTqHFAsN2qY1S2p_DKFvZYef1KEIx5kseslzq70fQ

[4] https://tradingeconomics.com/italy/government-bond-yield

[5] https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/economy/20200323STO75617/coronavirus-il-parlamento-europeo-approva-la-misura-da-37-miliardi

[6] Economia | Commissione europea

[7] https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2020/04/12/news/un-assurdo-dibattito-sui-fondi-del-mes-la-condizione-e-spendere-di-piu-non-meno-1.38708779

[8] https://europarl.europa.eu/italy/it/succede-al-pe/cosa-sta-facendo-l%E2%80%99ue-per-rispondere-all%E2%80%99emergenza-covid-19

[9] Borghi vende i Btp e guadagna il 25% grazie alla caduta del governo


https://quifinanza.it/soldi/export-mascherine-italia-germania-francia-ue/361473/

https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_386

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/regulation-coronavirus-response-investment-initiative-march-2020_en.pdf

https://www.ilpost.it/2020/03/16/coronavirus-ventilatori-mascherine-italia-germania-estero/

https://www.corriere.it/esteri/20_marzo_06/mascherine-dividono-ue-germania-francia-bloccano-l-export-30087c42-5fd6-11ea-96d2-d1c7db9c0ec3.shtml

https://eurohealthnet.eu/COVID-19

https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/economy/20200323STO75617/coronavirus-il-parlamento-europeo-approva-la-misura-da-37-miliardi

https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/04/08/quanti-soldi-stanzia-leuropa-per-la-ricerca-sul-coronavirus/

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/support_to_mitigate_unemployment_risks_in_an_emergency_sure_0.pdf

http://www.mpifg.de/forschung/forschung/themen/baccaro_coronabonds_en.asp?fbclid=IwAR1BgN3iOyf3e22fzGYzoSGr1QP4TuXISqRnbAyS1S8r2QK02tssdU-oRU8

https://www.lastampa.it/cronaca/2020/03/16/news/un-ospedale-da-campo-davanti-all-ospedale-di-cremona-1.38600421

https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/dalla-russia-con-amore-nel-team-di-medici-destinato-a-bergamo-anche-militari-russi-esperti-in-guerra-batteriologica_16573710-202002a.shtml

https://www.ft.com/content/d19dc7a6-c33b-4931-9a7e-4a74674da29a (Macron interview)

https://www.corriere.it/esteri/20_aprile_07/coronavirus-ferrari-lascia-cer-deluso-dall-approccio-dell-europa-811d1a72-7915-11ea-ab65-4f14b5300fbb.shtml

https://europarl.europa.eu/italy/it/succede-al-pe/cosa-sta-facendo-l%E2%80%99ue-per-rispondere-all%E2%80%99emergenza-covid-19

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/economy_it

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