Alice Ceresa: la donna come invenzione

Siamo nei famosi anni ’60, nella casa romana di Alice Ceresa, mentre lavora maniacalmente ai suoi manoscritti, correggendo e limando continuamente le varie bozze: una fumatrice accanita, una scrittrice riservata e silenziosa, che preferisce non esporsi al pubblico e restare negli angoli dei circoli letterari per produrre libri da lasciare inediti. Ceresa, in realtà, è nata nel 1923 a Basilea, ma cresce spostandosi tra i cantoni svizzeri, per poi trasferirsi in Italia, dove prende parte al Gruppo 63[1] per affinità e per necessità, superando le frontiere linguistiche e nazionali. Fin da giovane, infatti, avverte l’urgenza di scrivere per denunciare la visione maschilista e viricentrica che nota permeare ogni sostrato sociale. Non a caso, sin da adolescente, prende come modello di vita e di scrittura Annemarie Clarac-Schwarzenbach (1908-1942), scrittrice e fotografa androgina e bisessuale, che viaggia in tutto il mondo scrivendo e documentando la realtà in Europa, Africa, Siria, India, Russia, Persia. È da lei che assorbe la visione del mondo, l’onestà intellettuale e il carattere ribelle, pur rifiutandone la spericolatezza esistenziale. 

basilea
Figura 1- Basilea, vista dal Reno

La donna: inventata e silenziosa

Alice Ceresa segue l’assoluta necessità di scrivere sull’inuguaglianza femminile, che vede non solo nel sistema politico e sociale, ma anche nell’immaginario culturale e persino nella grammatica e nella linguistica, tanto da ritenerla «ancorata nella intera visione del mondo»[2]. Secondo la scrittrice, il predominio della maschilità si insinua in ogni campo del sapere, condannando implicitamente il fatto di nascere femmina. Nel suo Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile (Nottetempo, 2007), Ceresa raggruppa diversi lemmi con un unico intento: mettere in discussione il carattere innaturale e prescrittivo del patriarcato. L’idea di femminilità insita nella lingua, dunque, non sarebbe che un atto di espressione della maschilità, che vuole rivendicare e affermare i propri connotati attraverso il suo contrario. Donna e femmina secondo l’autrice sarebbero due concetti distinti: il secondo, infatti, rimanda a una caratteristica biologica, mentre il primo non è che un derivato culturale, artificiale e fuorviante, generato sin dall’antichità dalla mente umana. In altre parole, il concetto di donna è solo un’invenzione umana, che non esiste come entità ontologica, ma solo come concetto grammaticale o come categoria cognitiva: «una donna non è dunque una femmina, ma un prodotto culturale»[3].  Secondo Ceresa, d’altronde, l’uomo non è più capace di distinguere ciò che ha per sua natura da ciò che è per artificio, ciò che è istinto da ciò che è suo arbitrio.

Lo sguardo di Alice Ceresa sulle donne

Il femminismo di Ceresa, allora, si presenta nelle sue opere letterarie in modo esplicito, come nel Piccolo dizionario, o in modo più velato, come nei romanzi La figlia prodiga (Einaudi, 1967), Bambine (Einaudi, 1990) e La morte del padre (Einaudi, 1979). I personaggi femminili appaiono senza voce e senza nome, connotati principalmente con lo status di figlie, e restano individui potenzialmente inespressi e schiacciati dai legami asfissianti dell’istituzione famigliare. La famiglia patriarcale appare quindi come una gabbia fatta di relazioni mancate e di incomunicabilità incolmabili, di timori e rivalità. Soltanto la morte del padre (figura del patriarcato) permette la liberazione e l’autoaffermazione delle “femmine umane”.  Ceresa allora si serve della scrittura per mettere in crisi il sistema sociale imposto e usa la narrazione per decostruire dall’interno il genere romanzesco.

Il lettore che voglia intraprendere questo percorso di consapevolezza non si aspetti delle opere di facile fruizione: lo stile di Ceresa è concettoso, astratto, trattatistico e a volte poco fluido. Ma, ancora una volta, la letteratura si conferma un potente strumento per allenare il senso critico e per mettere in discussione ogni prescrizione subita: solo la presa di coscienza può portare a un cambiamento consapevole. Si scrive e si legge, quindi, non solo per piacere, ma anche per necessità, secondo quello che Ceresa rivela nel suo lemmario: «conclusione: il piccolo dizionario io non lo scrivo per le donne; lo scrivo perché va scritto».[4]

Eleonora Norcini

NB: il consiglio é di leggere le opere edite di Ceresa in ordine anti-cronologico! Partite dal Piccolo dizionario, per poi introdurvi dolcemente ne La morte del padre e in Bambine, e infine lasciatevi travolgere da La figlia prodiga (fateci sapere se ne uscite integri!).

Riferimenti

[1] Il Gruppo 63 è un movimento letterario fondato a Palermo nel 1963. Rientra nelle neoavanguardie storiche per lo stile sperimentale e la volontà di mettere in discussione le convenzioni sociali e letterarie del tempo. Tra i componenti: Alfredo Giuliani, Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, Elio Pagliarani, Alice Ceresa, Giorgio Manganelli, Antonio Porta, Fausto Curi, Amelia Rosselli, Nanni Balestrini.

[2] A. Ceresa, Lettera a Michèle Causse, in Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile, Tatiana Crivelli (a cura di), Roma, Edizioni Nottetempo, 2007, p. 14.

[3] Ibi, p. 39.

[4] A. Ceresa, Lettera a Michèle Causse, in Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile, Tatiana Crivelli (a cura di), Roma, Edizioni Nottetempo, 2007, p. 14.

BIBLIOGRAFIA

Bosco, Alessandro, Alice (Ceresa) disambientata, «Doppiozero», 07/07/2020, consultato il 18/11/2020, https://www.doppiozero.com/materiali/alice-ceresa-disambientata.

Ceresa, Alice, La figlia prodiga e altre storie, Milano, La tartaruga edizioni, 2004.

Ceresa, Alice, Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile, Tatiana Crivelli (a cura di), Roma, Edizioni Nottetempo, 2007.

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