Sta tornando l’inflazione?

Il 2021 è un anno di ripartenza per l’economia globale dopo la drammatica recessione causata dalla pandemia. La ripresa dell’attività economica, però, ha riportato al centro dell’attenzione un fenomeno del quale ormai non si parlava più da diversi anni: l’inflazione.

L’inflazione è un aumento generalizzato e sostenuto dei prezzi che causa una perdita di valore della moneta in termini di potere di acquisto[1]. Negli ultimi mesi negli Stati Uniti e in Europa l’indice dei prezzi al consumo[2], ha registrato aumenti che non si vedevano da oltre 10 anni. Negli USA l’inflazione si è attestata al +6,2%[3] a ottobre 2021 rispetto allo stesso mese del 2020, per il quinto mese consecutivo al di sopra del +5%.[4] L’inflazione core, indicatore che misura la variazione dei prezzi al netto dei prezzi dei beni energetici e alimentari che sono normalmente più volatili, è comunque cresciuta del 4,6% a ottobre 2021 ed è da quattro mesi oltre il 4%. Nell’Eurozona l’inflazione ha raggiunto il +3,4% a settembre [5](+1,9% l’inflazione core) e dovrebbe arrivare addirittura a +4,1% [6] a ottobre secondo le stime preliminari di Eurostat.

inflazione eurostat
Inflazione negli Stati Uniti e nell'Eurozona nel periodo 2008-2021. Fonte dati: BCE e St.Louis FED

La pandemia ha avuto effetti drammatici sull’attività economica in tutto il mondo, il PIL globale è diminuito del 3,2%[7] nel 2020. Le restrizioni hanno diminuito fortemente la domanda di beni e servizi costringendo le imprese a diminuire la produzione. Molte imprese, inoltre, sono rimaste chiuse in alcune fasi dell’emergenza sanitaria, specialmente tra le attività considerate non essenziali, riducendo a loro volta non solo la produzione ma anche la domanda di materie prime e semilavorati. Il crollo della domanda aggregata ha avuto tra le varie conseguenze anche un calo dei prezzi nel 2020 rispetto all’anno precedente. L’inflazione che si registra oggi è misurata come incremento dei prezzi rispetto a quelli del 2020: dunque i prezzi oggi sono più alti che in passato, ma sono particolarmente alti se confrontati con quelli dell’anno della pandemia, è il cosiddetto effetto base. L’aumento dei prezzi che si sta verificando ora, però, dipende solo in parte dall’effetto base.

L’inflazione e la straordinarietà della crisi pandemica rispetto alle crisi economiche del passato

Normalmente le grandi crisi economiche nascono in un dato settore, ad esempio la crisi del 2008 si sviluppò a partire dal mercato immobiliare statunitense, e poi si propagano agli altri settori dell’economia. Spesso il “contagio” passa dal mercato del credito, a causa dell’impossibilità dei soggetti coinvolti nella crisi di saldare i propri debiti, ai mercati finanziari e all’economia reale, riducendo le possibilità di spesa delle famiglie e la produzione delle imprese. Processi di questo tipo impiegano del tempo prima di degenerare in una crisi sistemica, in grado di colpire l’intera economia, e necessitano anche di diverso tempo prima che siano risolti. Dopo le crisi le persone hanno a disposizione meno denaro per consumare, le imprese impiegano diverso tempo a tornare ai livelli di produzione precedenti e l’economia recupera lentamente: tra i maggiori Paesi europei dopo la crisi finanziaria del 2008 Germania e Francia hanno impiegato circa 3 anni a recuperare i livelli di PIL ante crisi, la Spagna 8 anni e l’Italia non è ancora oggi tornata a quei livelli di PIL.[8]

La crisi economica pandemica invece è stata improvvisa, ha causato un crollo della domanda e dell’economia senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale, ma le Banche Centrali e i governi hanno reagito rapidamente con interventi imponenti che hanno mantenuto condizioni favorevoli sul mercato del credito. Le riaperture delle attività produttive con la diminuzione dei casi e con la disponibilità dei vaccini nei vari Paesi hanno permesso alla domanda di ripartire in tempi brevi, inizialmente per l’acquisto di beni cosiddetti “stay at home” come i beni tecnologici, poi con l’avanzamento delle vaccinazioni si è avuta una ripartenza generale dei consumi, dei servizi e anche di attività maggiormente legate alla socialità, fortemente colpite dalla crisi, come alberghi e ristorazione. Dopo soli 6 mesi, a settembre 2020, negli Stati Uniti e in Europa la domanda di molti beni era in forte ripresa, dopo poco più di un anno nella primavera 2021 l’economia statunitense era già tornata ai livelli di PIL pre covid ed entro fine 2021 il recupero dovrebbe essere completato anche nell’Eurozona[9].

La ripartenza della domanda più rapida e più forte delle attese ha costretto le imprese ad aumentare di molto gli ordini di materie prime e semilavorati mettendo in difficoltà le aziende produttrici, a loro volta rallentate dalla pandemia. In molti casi poi le materie prime provengono da aree geografiche differenti rispetto alle aziende che le utilizzano nella produzione, ciò ha fatto sorgere ulteriori problemi a causa dello sfasamento temporale delle ondate pandemiche nelle varie aree del mondo. Ad aggravare il quadro ci sono state le interruzioni negli scambi commerciali internazionali per le chiusure dei porti e per i periodi di lockdown e, nelle fasi di riapertura, la scarsità di container e moli disponibili per gestire un volume così elevato di ordini. Per continuare a produrre in un primo momento le imprese sono state costrette ad utilizzare le scorte di materiali e semilavorati accumulate in precedenza, terminate queste, in alcuni settori come quello automobilistico sono addirittura arrivate a rinviare gli ordini. Inoltre, la necessità di ripristinare le scorte di materiali ha portato ad un ulteriore aumento della domanda e di conseguenza a prezzi ancora più elevati, causando ritardi e disagi in vari settori.

Come sapremo se l’inflazione passerà presto?

Dopo ogni grave crisi economica la ripresa richiede una fase di assestamento e riallineamento tra domanda e offerta di beni e servizi, questo riallineamento spesso ha effetti anche sui prezzi; ciò che interessa davvero alla maggior parte degli economisti è sapere se l’inflazione è temporanea e, dunque, non appena si tornerà a produrre abbastanza da soddisfare gli ordini i prezzi torneranno sotto controllo oppure se il rialzo dei prezzi delle materie prime e dell’energia avrà come conseguenza un aumento dei prezzi di tutti gli altri beni.

Esistono alcuni segnali che vengono monitorati dagli esperti per comprendere se l’inflazione sta diventando persistente e si sta diffondendo ad altri settori: uno di questi è l’aumento dei salari. I lavoratori, infatti, se si aspettano prezzi più elevati per un periodo più lungo non appena potranno ridiscutere i propri termini contrattuali richiederanno stipendi più alti per non perdere potere d’acquisto. L’aumento dei salari comporta un aumento dei costi di produzione di beni e servizi più durevole e dunque un’inflazione più elevata per un periodo più lungo. Altri indicatori possono essere i prezzi delle case e i canoni di affitto.

Perché ci preoccupa tanto l’inflazione?

Le principali Banche Centrali internazionali hanno come obiettivo di medio periodo della propria attività la stabilità dei prezzi[10], cioè il raggiungimento di un livello di inflazione del 2% annuo nel caso di Federal Reserve e BCE. Un’inflazione significativamente e stabilmente più elevata avrebbe effetti negativi sull’economia perché i risparmi accumulati nei conti correnti perderebbero valore in termini di potere d’acquisto, sul mercato del credito i debitori sarebbero avvantaggiati a scapito dei creditori perché vedrebbero il proprio onere svalutarsi, le classi di lavoratori che non sono in grado di ridiscutere i propri termini contrattuali sarebbero penalizzate e diverrebbero più povere e, infine, ci sarebbero effetti distorsivi sui consumi delle famiglie e sugli investimenti delle imprese. Sui mercati finanziari l’aumento dell’inflazione causa un rialzo dei tassi di rendimento dei titoli di debito, perché l’investitore temendo l’aumento dei prezzi richiede un rendimento più alto che gli permetta di non perdere potere d’acquisto; l’aumento dei tassi di interesse riduce il valore di mercato dei titoli di debito esistenti e genera perdite per gli investitori che li avevano acquistati in precedenza.

Qualora l’inflazione dovesse trovarsi stabilmente al di sopra del target delle Banche Centrali, esse potrebbero decidere di aumentare i tassi di policy che determinano il costo minimo del credito, cioè il prezzo minimo che ogni banca deve pagare per prendere in prestito denaro dalla Banca Centrale. Il tasso di policy determina di conseguenza anche i tassi di mercato, poiché ogni banca non presterà denaro mai ad un tasso inferiore rispetto a quanto richiesto dalla Banca Centrale, anzi normalmente applicherà a questi tassi un premio, che dipende dal rischio di mercato e dal rischio specifico del debitore. L’aumento dei tassi rende più costoso per la banca prendere e quindi prestare denaro, causando una contrazione della domanda e un riallineamento tra domanda e offerta. La politica monetaria restrittiva, rallentando la domanda, frena la crescita economica e riduce la pressione sui prezzi; tuttavia, se ci si trova in una situazione come quella attuale di scarsità e produzione insufficiente di materie prime, dopo una forte recessione, l’aumento dei tassi di policy rischia di essere inefficace nel risolvere il problema della scarsità di risorse e di trascinare l’economia nuovamente in recessione per impedire l’aumento dell’inflazione. Allo stesso tempo, però, l’aumento dei prezzi frena la crescita economica, limitando il potere d’acquisto delle famiglie e la capacità produttiva delle imprese.

Attualmente l’aumento dei prezzi è concentrato sulle materie prime e le fonti energetiche, in alcuni Paesi si iniziano a vedere effetti di aumento dei prezzi anche in altri settori ma, al momento, non c’è ancora una visione prevalente sul fatto che sia temporanea o persistente. I Governi e le Banche Centrali dovranno monitorare attentamente la situazione, cercare di risolvere i colli di bottiglia che limitano l’offerta di materie prime ed energia, pronti ad intervenire tempestivamente per contenere aumenti dei prezzi generalizzati. È importante anche che le Banche Centrali non rispondano eccessivamente all’aumento dei prezzi aumentando i tassi troppo o troppo presto. La ripresa economica post pandemia dipende per buona parte da come sarà gestito il rischio inflazione.

Michele Corio

Riferimenti

[1] https://www.ecb.europa.eu/ecb/educational/hicp/html/index.it.html

[2] L’indice dei prezzi al consumo misura il livello dei prezzi di un paniere di beni e servizi, rappresentativo dei consumi delle famiglie in una determinata area geografica. La variazione dell’indice è una delle misure di inflazione più utilizzate

[3] https://fred.stlouisfed.org/release/tables?rid=10&eid=34483#snid=34484

[4] https://www.ft.com/content/4581bd5d-0771-44ca-93ac-13c4ed2a66be

[5] https://www.reuters.com/world/europe/euro-zone-inflation-jumps-13-year-high-worsening-ecb-headache-2021-10-01/

[6] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Inflation_in_the_euro_area

[7] World Economic Outlook update July 2021

[8] https://ec.europa.eu/eurostat/

[9] https://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2021/html/ecb.is211028~939f22970b.en.html

[10] https://economiapertutti.bancaditalia.it/informazioni-di-base/stabilita-prezzi/index.html

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