Detassare il lavoro tassando la CO2

Lo scorso 27 Giugno 2019, una delle più importanti organizzazioni scientifiche in ambito ambientale e di risorse economiche, la European Association of Environmental and Resource Economists, lanciava a Manchester una proposta di carbon tax [1], ottenendo, in 24 ore, l’adesione di più di 600 firmatari tra accademici e ricercatori di tutta Europa [2].

Sulla scia di tale proposta, in questi giorni è stata indetta un’iniziativa dei cittadini europei per potenziare il sistema di scambio di emissioni (ETS) dell’Unione Europea, aumentando sia la platea dei settori industriali sia il costo minimo di emissione. L’ETS è uno strumento di politica ambientale, basato su meccanismi di mercato, atto a controllare le emissioni dei paesi aderenti. Ad oggi il sistema di ETS opera in tutti gli Stati membri oltre che in Liechtenstein, Islanda e Norvegia, limitando le emissioni di circa 11 mila tra provider energetici, grossi impianti industriali e aerolinee, di fatto coprendo il 45% delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE [3].

Il carbon pricing non è nulla di nuovo né di particolarmente innovativo. La Svezia per esempio adottò politiche di carbon pricing già nel 1991, e il prezzo di emissione di una tonnellata di CO2 nel 2018 corrispondeva a $139 [4]. Per chi fosse interessato ad approfondire la proposta dell’EAERE e i possibili strumenti utilizzati nella lotta al surriscaldamento globale, vi invito a leggere l’articolo “Che cos’è il Carbon Pricing?” di Enerlida Liko qui su Jeune Europe.

La riforma proposta: tassare la CO2, ma come?

Ma veniamo al testo dell’iniziativa, che si può reperire al sito stopglobalwarming.eu. Fondamentalmente gli obiettivi della proposta sono tre. Primo, aumentare il prezzo minimo per tonnellata di CO2 da quello attuale (che fluttua tra i 10 e i 35 euro) a 50 euro. Secondo, introdurre un meccanismo di border adjustment per non svantaggiare le imprese all’interno dell’Unione Europea: imponendo dazi equivalenti per tutti i paesi all’infuori dell’Unione che non aderiscono al sistema di scambio di emissioni (ETS). Le nuove regole dovrebbero inoltre includere anche settori come l’aviazione internazionale e il trasporto marittimo, attualmente esclusi dall’ETS. Terzo, e questo è il punto a mio parere più interessante, i ricavi dovrebbero essere investiti per diminuire l’imposizione fiscale sul lavoro e sui redditi più bassi, oltre che per incentivare investimenti per l’efficientamento energetico e le rinnovabili.

Le iniziative dei cittadini europei, nel caso in cui raggiungano il milione di firme, sono poi esaminate dalla Commissione Europea che si incarica a sua volta di trasformarle in delle proposte legislative da discutere nel Parlamento e nel Consiglio [5]. I dettagli dell’iniziativa qui in esame, se dovesse raggiungere il quorum, sarebbero quindi ridiscussi e probabilmente ampiamente modificati. In questo breve articolo mi soffermerò dunque sulla solidità di alcune delle idee sottostanti a questa iniziativa, più che i suoi dettagli particolari.

Molti Stati membri dell’Unione Europea sono all’avanguardia nell’adozione delle rinnovabili e il sistema di ETS dell’UE è stato preso spesso a modello in giro per il mondo [6]. Purtroppo però la crisi climatica si fa di anno in anno più grave e anche il modello europeo risulta insufficiente agli occhi di una parte sempre più consistente della comunità scientifica. Nonostante i suoi limiti, l’ETS ha grandi potenzialità ed è per questo che l’iniziativa di cui stiamo parlando mira a rafforzarlo piuttosto che reinventarlo.

Fonte: 2020 State of the EU-ETS-Report-Long-Presentation

Il doppio beneficio di tassare la CO2

Veniamo quindi al punto a mio parere piu interessante dell’iniziativa, l’utilizzo dei ricavi derivanti dall’ampliamento del sistema di ETS. Fino ad oggi i fondi sono stati utilizzati per incentivare le energie rinnovabili, l’efficientamento energetico e il trasporto sostenibile.

tassare CO2
Fonte: Report from the European Commission to the European Parliament and Council {SWD (2018), 453 final} (cifre in miliardi di euro per il periodo 2013-2017) 

La grande novità di questa proposta è quella di utilizzare le risorse raccolte per una detassazione su imprese e lavoratori. In un momento chiave per la storia dell’Unione Europea, che si ritrova a dover ripartire dopo due dei trimestri più neri della sua storia, le tasse sul mercato del lavoro rappresentano un enorme fardello per la ripresa dell’occupazione. Inoltre, la Commissione Europea è alla disperata ricerca di soluzioni fiscali per poter allargare il suo bilancio pluriennale e utilizzare le risorse aggiuntive nell’economia verde e nel mercato del lavoro. Infine, utilizzare i ricavi del carbon pricing per diminuire la tassazione sul lavoro permetterebbe una più facile accettazione della nuova misura e andrebbe a tutelare le fasce più deboli, incentivando l’occupazione e compensando una possibile perdita del potere di acquisto (per l’aumento dei prezzi) grazie alla crescita dei salari netti [7][8][9].

In termini di occupazione, l’effetto di una minore tassazione sul lavoro andrebbe a sommarsi a quello degli investimenti sulle energie rinnovabili e sull’efficientamento energetico. Difatti, uno studio dell’Università di Oxford ha dimostrato come questi investimenti richiedano una forza lavoro maggiore rispetto a quelli nel fossile, con una media di 7,49 posti di lavoro generati per ogni milione di dollari investito in rinnovabili e 7,7  per ogni milione investito nell’efficientamento energetico, contro 2,65 per investimenti nei combustibili fossili [10].

tassare CO2 potrebbe avere un impatto nella riduzione delle emissioni
Fonte: Nasa

Come evidenzia l’Economist sul suo articolo del 23 Maggio scorso “The world urgently needs to expand its use of carbon prices[11] le difficoltà di implementare una simile proposta non sarebbero poche: dal determinare l’impronta ecologica in termini di CO2 -o gas equivalenti- di beni e servizi forniti da ogni impresa, fino all’imprevedibile reazione di super potenze come Cina ed India, che potrebbero rispondere al meccanismo di border-adjustment con nuovi dazi sui beni dell’UE.

Nonostante queste grandi sfide, credo che l’Unione Europea debba continuare nel suo ruolo di precursore nella lotta al cambiamento climatico. Questa iniziativa dei cittadini europei può fornire una spinta per andare nella direzione giusta. Vi invito a leggerla e condividerla, insieme possiamo ancora cambiare rotta. 

Giovanni Sgaravatti


Riferimenti

[1] Economists’ Statement on Carbon Pricing – EAERE https://www.eaere.org/policy/economy-carbon-markets/eu-economists-statement-on-carbon-pricing/

[2] EU economists call for carbon taxes to hit earlier net zero goal https://www.ft.com/content/137b9da8-99c4-11e9-8cfb-30c211dcd229

[3] EU Emissions Trading System (EU ETS) | Climate Action https://ec.europa.eu/clima/policies/ets_en

[4] State and Trends of Carbon Pricing 2018

[5] How it works | European citizens’ initiative – portal https://europa.eu/citizens-initiative/how-it-works_en

[6] The EU ETS: The Pioneer—Main Purpose, Structure and Features https://www.researchgate.net/publication/301345008_The_EU_ETS_The_Pioneer-Main_Purpose_Structure_and_Features

[7]  Environmentally motivated energy taxes in Scandinavian countries http://www.ees.uni.opole.pl/content/03_10/ees_10_3_fulltext_01.pdf

[8] OECD Environmental Performance Reviews – Germany http://www.oecd.org/env/country-reviews/50418430.pdf?fbclid=IwAR3iiDvRIn6sfpXR4QnirK1va6O83mweMu-au2KNDlgJbfLeNuUkQA9orAM

[9] Environmental Fiscal Reform in Developing, Emerging and Transition Economies: Progress & Prospects http://www.worldecotax.org/downloads/info/documentation_gtz-Workshop.pdf

[10] Working Paper No. 20-02 Hepburn, O’Callaghan, Stern, Stiglitz and  Zenghelis Working Paper No. 20-02

[11] https://www.economist.com/briefing/2020/05/23/the-world-urgently-needs-to-expand-its-use-of-carbon-prices

Per saperne di piú

Read More – Stop Global Warming (European Citizen Initiative on Carbon Pricing)

Economists’ Statement on Carbon Pricing – EAERE

Trust in the Single Market? The case of the EU Emissions Trading System

EU economists call for carbon taxes to hit earlier net zero goal (28 June, Financial Times)

The world urgently needs to expand its use of carbon prices (23rd of May, The Economists)

Will COVID-19 fiscal recovery packages accelerate or retard progress on climate change?Cameron Hepburn, Brian O’Callaghan, Nicholas Stern, Joseph Stiglitz and Dimitri Zenghelis Forthcoming in the Oxford Review of Economic Policy 36(S1) 4 May 2020 Oxford Smith School of Enterprise and the Environment | Working Paper No. 20-02 ISSN 2732-4214 (Online)

http://www.oecd.org/env/country-reviews/50418430.pdf?fbclid=IwAR3iiDvRIn6sfpXR4QnirK1va6O83mweMu-au2KNDlgJbfLeNuUkQA9orAM

http://www.ees.uni.opole.pl/content/03_10/ees_10_3_fulltext_01.pdf

http://www.worldecotax.org/downloads/info/documentation_gtz-Workshop.pdf

Che cos’é il Carbon Pricing?

A partire dal 1972 la Comunità Internazionale ha preso atto della pericolosità degli effetti del cambiamento climatico sulla vita degli esseri umani e sull’ambiente[1]. In questi ultimi 40 anni sono stati fatti grandi passi in avanti, a partire dalla ricerca scientifica per contrastare gli effetti irreversibili del cambiamento climatico, all’azione politica globale volta a promuovere società sempre più sostenibili, ai grandi cambiamenti tecnologici in ambito di fonti energetiche rinnovabili, arrivando fino alla geoingegneria. Tanto si è fatto finora, ma tanto c’è ancora da fare. Nel 2020 non possiamo più continuare a parlare in termini moderati quando parliamo di cambiamento climatico, è arrivata l’ora di trattare questo problema per ciò che è davvero: un’emergenza ambientale, economica, politica e umana.

E’ con questa consapevolezza che gli accademici di tutto il mondo sostengono fermamente che prezzare il carbonio sia una mossa strategica importante per il raggiungimento degli ambiziosi target di riduzione delle emissioni di CO2, per facilitare la transizione ad un sistema economico a zero emissioni e invertire quindi la rotta del surriscaldamento globale entro il 2050[2]. Per conoscere quali sono le petizioni e iniziative europee su questo tema, vi invito a leggere l’articolo di Giovanni Sgaravatti qui su Jeune Europe “Detassare il lavoro tassando la CO2”.

CHE COS’E’ IL CARBON PRICING?

Per poter spiegare che cos’è il carbon pricing (prezzo sul carbonio), è necessario innanzitutto spendere due parole su cosa sono le politiche ambientali e quali sono gli strumenti per poterle attuare. Quando parliamo di politiche ambientali intendiamo tutte quelle strategie definite a livello governativo per risolvere dei problemi che impattano negativamente sull’ambiente e sulla società. Una volta definite queste strategie, è necessario trovare i metodi e gli strumenti più adeguati per poterle implementare in modo più efficiente possibile. In questo contesto, possiamo dividere gli strumenti di politica ambientale in due macro-gruppi: strumenti basati sui meccanismi di mercato (market-based) e i regolamenti/legislazioni ambientali  (command-and-control). Quando si parla di carbon pricing, ci si riferisce ad un insieme di strumenti basati su meccanismi di mercato. In questo gruppo di strumenti, possiamo incontrare sia le tasse sulle emissioni di CO2 (strumento price-based) sia sistemi cap-and-trade come l’EU ETS (strumento quantity-based).

Secondo gli economisti, il modo migliore per poter ridurre le emissioni di CO2 è di utilizzare strumenti basati su meccanismi di mercato. Attualmente sono più di 50 i paesi nel mondo che hanno adottato il carbon pricing quale strumento per ridurre le emissioni di CO2[3].

PERCHÉ ADOTTARE IL CARBON PRICING?

In termini economici le emissioni di CO2 rappresentano un’esternalità negativa. Si parla di esternalità negativa quando il prezzo di mercato dei beni/servizi non riflette il costo reale nella società. Ad esempio, il prezzo del cherosene usato come carburante degli aerei riflette solo il costo di produzione e non prende in considerazione anche il danno generato dalle emissioni di CO2 alla la società[4]. Questo significa che, nel contesto dei trasporti aerei, le decisioni che le imprese e i consumatori prendono non risultano nell’interesse della società perché sono basate su prezzi che non riflettono il costo reale: i consumatori trovando economico prendere un aereo, aumenteranno la frequenza dei propri viaggi contribuendo all’incremento delle emissioni a discapito dell’interesse collettivo; le aziende di aviazione, d’altra parte, aumenteranno la propria offerta di viaggi più di quanto sarebbe ottimale per la società. Quindi capiamo che, in presenza di esternalità negativa causata dalle emissioni di CO2, il mercato non è in grado di agire nell’interesse della società e si parla di fallimento di mercato. Come si può risolvere questo fallimento? Sistemando i prezzi, facendo in modo che il prezzo pagato per un determinato bene o servizio rifletta anche il costo ambientale. In poche parole, istituendo un carbon pricing attraverso una tassa sulle emissioni[5] o adottando un sistema di permessi di emissione (cap-and-trade system)[6].

I LATI POSITIVI DEL CARBON PRICING

Il carbon pricing è uno strumento molto amato dagli economisti, non solo perché può risolvere l’esternalità negativa generata dalle emissioni, ma anche perché permette di raggiungere gli obiettivi di riduzione di emissioni in tempi veloci e ad un costo basso. In altri termini, è uno strumento “cost-effective” che apporta grandi benefici al minor costo possibile. Il prezzo messo sulle emissioni di CO2 oltre a portare ad una riduzione del consumo di carburanti fossili, crea anche un incentivo per l’utilizzo e lo sviluppo di tecnologie e fonti di energia non inquinanti[7]. A differenza di altri strumenti di politica ambientale (come ad esempio gli incentivi sul solare), che creano una distorsione all’interno del mercato delle fonti di energia rinnovabile, il carbon pricing lascia libera la competizione tra le varie alternative di energia pulita, permettendo a quella migliore di emergere. La maggiore competizione spinge anche gli investimenti in ricerca e sviluppo verso tecnologie innovative, favorendo la creazione di una società sempre più sostenibile e all’avanguardia nelle tecnologie ‘pulite’.

I LATI NEGATIVI DEL CARBON PRICING (che peró possono diventare positivi)

In concreto quale sarebbe l’impatto di adottare il carbon pricing? Con alta probabilità il costo ricadrebbe totalmente sui consumatori, in quanto i produttori e le aziende che inquinano aumenterebbero i prezzi dei prodotti e servizi offerti. Questo è inevitabile, ma è anche necessario e utile perché con l’aumento dei prezzi di beni e servizi dannosi per l’ambiente, i consumatori saranno incentivati a fare scelte più sostenibili. In risposta a questo cambiamento nelle preferenze di consumo, le aziende saranno spinte a trasformare il proprio modus operandi e a offrire beni e servizi in linea con la domanda.

Una critica spesso mossa alle tasse sulle emissioni è che esse colpiscono maggiormente le categorie a reddito più basso della società. Anche questo è vero. Ma tale problema si può ovviare se i ricavi derivanti dalla tassazione vengono utilizzati per detassare il lavoro, perché ciò che uccide l’occupazione e alimenta la spirale della disoccupazione non sono le tasse ambientali ma quelle sul lavoro. Abbassando questa tassazione, si riduce la disoccupazione, si crea impiego e si possono offrire salari più alti alle fasce più svantaggiate[8].

 

In conclusione, il carbon pricing può essere uno strumento chiave non solo per migliorare le condizioni ambientali, ma anche per migliorare le condizioni dei gruppi più vulnerabili della società, i quali sono i beneficiari indiretti della minore tassazione del lavoro. Tuttavia, poiché il beneficio di questa politica viene visto solo nel lungo termine, mentre i costi sono immediati, al giorno d’oggi è ancora impopolare dal punto di vista politico parlare di carbon pricing[9]. Il consenso è difficile da raggiungere in questo contesto e la grande sfida politica rimane quella di riuscire a trovare il giusto compromesso tra tutela ambientale e consenso sociale.


[1] UN Conference on the Human Environment 1972 https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/CONF.48/14/REV.1

[2] Paris Agreement 2015 https://unfccc.int/files/essential_background/convention/application/pdf/english_paris_agreement.pdf

[3] State and Trends of Carbon Pricing 2018 https://openknowledge.worldbank.org/bitstream/handle/10986/29687/9781464812927.pdf

[4] Kerosene Currently Untaxed https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2019-004459_EN.html

[5] Pigou, Taxation and Public Goods http://personal.lse.ac.uk/sternn/009NHS.pdf

[6] How Cap-and-Trade Works https://www.edf.org/climate/how-cap-and-trade-works

[7] How Carbon Pricing Accelerates Innovation https://www.weforum.org/agenda/2017/10/how-carbon-pricing-accelerates-innovation/

[8] Environmental Fiscal Reform in Developing, Emerging and Transition Economies: Progress & Prospects http://www.worldecotax.org/downloads/info/documentation_gtz-Workshop.pdf

[9] Economists Love Carbon Taxes. Voters Don’t https://www.forbes.com/sites/howardgleckman/2018/12/27/economists-love-carbon-taxes-voters-dont/#324951784338

Emergenza Climatica e Attivismo Globale

La necessità di agire


Chiunque si sia preso il tempo per informarsi e sia intellettualmente onesto avrà notato come la nostra civiltà stia galoppando dritta contro un muro. Ormai è inutile girarci intorno, gli effetti dell’attività umana sull’ambiente sono inequivocabili e sotto gli occhi di tutti. Per darmi un quadro generale del fenomeno e del momento storico che stiamo vivendo ho deciso di scrivere quest’articolo. Nella prima parte elenco una serie di dati incontrovertibili che delineano la situazione attuale (e invito caldamente i più scettici a verificare le fonti). Nella seconda parte faccio una brevissima considerazione sulla peculiarità del problema. Riporto poi le previsioni dell’ente più eminente in materia: l’intergovernmental panel on climate change (IPCC). Successivamente, do adito ad alcune critiche indirizzate all’IPCC, accusato da una fetta di comunità scientifica di essere troppo conservatore nelle sue stime. Infine, concludo con dei riferimenti a gruppi di lavoro e iniziative volte a salvare il salvabile.

La situazione ad oggi

Con il 2018 ci siamo lasciati alle spalle il quarto anno più caldo della storia (dalla data di inizio delle misurazioni), con ben 17 dei 18 anni più caldi in assoluto verificatisi nel nuovo millennio [1a] [1b]. Ragione per cui l’Artico continua a perdere un volume di ghiacci al ritmo di circa il 13% a decennio, seguendo un trend crescente (si stima che tra il 1979 e il 2018 il ghiaccio perduto sia tra il 35 e il 65%) [2]. Nel frattempo, i mari si sono già alzati di 80mm dal 1993 [3] e si inizia a scorgere l’impatto che l’innalzamento degli oceani avrà sulla superficie totale di terra emersa (vedi la Florida, o le 5 isole nel mezzo del Pacifico cancellate dalle cartine geografiche) [4];[5]. Oltre all’inabitabilità di alcune zone costiere, il cambiamento climatico aumenta gli episodi di siccità e di alluvioni, motivo per il quale i migranti causati dal surriscaldamento globale continuano ad aumentare e le Nazioni Unite stimano che potrebbero arrivare fino ad un miliardo entro il 2050 [6]. Nel mentre, il permafrost in Siberia e Alaska ha iniziato a sciogliersi, rilasciando metano e  probabilmente innescando un meccanismo a catena impossibile da fermare [7]. Come se non bastasse, l’inquinamento e la sovrapproduzione economica stanno amplificando gli effetti del cambiamento climatico, danneggiando gravemente la biodiversità del pianeta. Nel 2016 il WWF ha dichiarato che siamo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa nella storia della Terra, con una perdita del 58% della fauna mondiale verificatasi tra il 1970 e il 2012 [8a], con un tasso di estinzione animale che continua ad aumentare (per ora si colloca tra le 10 e le 100 volte quello medio degli ultimi 10 milioni di anni) [8b]. La lista purtroppo è ancora lunga: dall’acidificarsi degli oceani e il conseguente annichilirsi di interi ecosistemi (vedi le barriere coralline), alle balene morte per indigestione di plastica, incendi sempre più frequenti e più vasti, trombe d’aria e uragani che aumentano d’intensità per la maggiore energia presente nell’aria, lo scioglimento dei ghiacciai, sempre più paesi in emergenza idrica, etc…  [9];[10];[11].

WWF 2016 Living Planet Report. Il colore scuro indica scarsità idrica estrema, quello nel medio indica scarsità d’acqua e quello più chiaro indica stress idrico.

La reazione 

Il problema principale nell’affrontare il cambiamento climatico è la discrepanza tra la sua natura globale e la forma organizzativa dell’uomo in pluralità di Stati. Inoltre, le prime avvisaglie degli effetti del cambiamento climatico sono state localizzate, provocando danni maggiori nei paesi più poveri. Questo ha contribuito ad accrescere la sensazione che il cambiamento climatico fosse solamente un’altra piaga del Sud del mondo e che noi in Occidente (unici possibili leader di una concertazione internazionale attenta all’equità energetica) alla fine non ne avremmo risentito più di tanto. Recentemente, gli effetti hanno però iniziato a farsi sempre più forti e frequenti, aiutando una tanto tardiva quando indispensabile presa di coscienza generale. 

Le prospettive secondo l’IPCC

Mentre il tempo a nostra disposizione si assottiglia implacabile, fregandosene delle lungaggini necessarie al coordinamento internazionale, la temperatura del pianeta è già aumentata di un grado e i danni iniziano a farsi irreversibili. Le previsioni dell’IPCC ci dicono che se anche riuscissimo a mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5°C (best-case scenario) in ogni caso vedremmo un ulteriore declino delle barriere coralline del 70-90%, un Artico per la prima volta senza ghiaccio prima della fine del secolo, un innalzamento dei mari tra i 26 e i 77 centimetri, una diminuzione del 9% dei raccolti di grano, circa 1,5 milioni di tonnellate di pescato in meno (con una popolazione mondiale in crescita), un ulteriore aumento di eventi climatici estremi e una diminuzione d’acqua dolce nel Mediterraneo del 9% [11]. L’aumento a 1,5°C si stima avverrà tra il 2030 e il 2050. Per ottenere questo scenario “ottimale” dovremmo iniziare dal 2020 a tagliare le emissioni globali in maniera tale da collocarci sul trend raffigurato nel grafico (b) sotto, il quale rappresenta una riduzione del 45% rispetto ai livelli di CO2 emessa nel 2010 già entro il 2030 e emissioni-zero entro il 2055 (linea grigia). Il dato cumulativo delle emissioni di gas serra continuerà comunque ad aumentare per qualche decina d’anni (c) e (d). Questo perché abbiamo innescato meccanismi naturali che non si possono spegnere con un interruttore (se stai andando a 200km/h e inizi a frenare, farai comunque diversi metri di strada in più rispetto al punto d’inizio della frenata).

IPCC Summary for policymakers 2018 Special Report, SPM.1

La critica

Terrificante è pensare che la strada per metterci sul trend rappresentato nel grafico (b) non è stata intrapresa e nulla fa presagire che lo sarà nei prossimi mesi. Al contrario, nelle maggiori potenze mondiali abbondano governanti clima-scettici come negli Stati Uniti, in Russia e in Australia. Per non menzionare il Brasile, dove abbiamo di recente assistito ad una ripresa della deforestazione in Amazzonia [12], la Polonia, i cui leader politici non hanno nessuna intenzione di rimpiazzare il carbone come fonte energetica principale del paese, o la Cina, rappresentazione dell’ambiguità energetica ed espressione di un governo che dichiara di voler fare la guerra all’inquinamento ma allo stesso tempo (un po’ per necessità, un po’ per interesse) finanzia centrali di carbone all’estero e detiene la quota di maggioranza nell’azienda più inquinante al mondo [13][14].

Grafico ottenuto da Corinne Le Quéré et al. (da confrontare con il grafico (b) sopra)

Tale panorama politico è probabilmente uno dei fattori che spinge sempre più ricercatori a dissentire con le previsioni dell’IPCC, etichettandole come troppo ottimistiche. Il fronte degli scettici è molto ampio, citerò quindi solo le figure prominenti: Peter Wadhams, uno dei glaciologi più conosciuti al mondo, Jem Bendell, professore alla Cumbria University (UK), Mayer Hillman, scienziato che ha dedicato la sua vita al trasporto sostenibile e all’ambiente, Stuart Scott, fondatore e presidente della Transition University (USA), Guy McPherson, professore emerito all’Università dell’Arizona, James Hansen ex direttore dell’istituto Goddard della NASA. Quello che viene recriminano all’IPCC sono sostanzialmente tre punti: 1) sottovalutare l’impatto del metano rilasciato nell’atmosfera come conseguenza dello scioglimento del permafrost, 2) considerare gli effetti del cambiamento climatico come lineari e non esponenziali e 3) mettere nell’equazione tecnologie di geoingegneria per estrarre dall’atmosfera CO2 in una scala attualmente inesistente. Wadhamas, per esempio, predice un settembre senza ghiaccio nell’Artico già nell’imminente futuro e un innalzamento dei mari tra 1 e 2 metri prima della fine del secolo [15]. Il professor Bendell, dopo un anno sabbatico dedicato alla ricerca, ha scritto un paper dal titolo “Deep Adaptation” (rifiutato dalla rivista scientifica a cui l’aveva sottoposto a causa del linguaggio troppo forte). Nel paper, Bendell scrive che non ha più senso fare ricerca sullo sviluppo sostenibile, ambito a cui ha dedicato la vita, perché il target dell’1,5°C e anche quello dei 2°C verranno ampiamente sfondati già entro i prossimi vent’anni e tutti gli sforzi adesso dovrebbero essere atti a comprendere come adattarsi ad uno scenario post collasso della civiltà. 


La mappa qui di seguito è stata elaborata da tre enti internzionali che si occupano di cambiamenti climatici. Questi hanno esaminato, paese per paese, tutte le politiche atte a raggiungere gli obbiettivi stipulati nell’accordo di Parigi.

Sforzi dei paesi per raggiungere i target prefissati a Parigi. Illustazione ottenuta dalla collaborazione di Climate Analytics, Ecofys e il NewClimate Institute.

Salvare il salvabile

Il fatto che persone che hanno dedicato la loro vita allo studio e alla ricerca siano così allarmiste sicuramente fa riflettere. Certo, l’organo più autorevole sui cambiamenti climatici è e rimane l’IPCC. Bisogna però riconoscere che il panel riporta esclusivamente previsioni che godono di ampio consenso nella comunità scientifica a livello internazionale, quindi per forza di cose conservatrici. Questo articolo vuole invitare il lettore prima di tutto ad informarsi, ormai c’è un ammontare di bibliografia, articoli e documentari sul tema (in tutte le lingue) che permettono a chiunque di farsi un’idea. In secondo luogo, mi piacerebbe fosse chiara l’impellenza di una risposta a livello globale. In democrazia questa può venire solamente da una forte pressione popolare verso i governi. Per questo bisogna partecipare a movimenti come quello di Fridays for Future, o quanto meno supportare organizzazioni schierate per la salvaguardia ambientale. Le azioni individuali sono certamente importanti, ma servono investimenti in stile piano Marshall per metterci sul trend delineato nel grafico (b) dell’IPCC (di cui sopra). Per chi volesse approfondire il tipo di investimenti richiesti, consiglio di dare un’occhiata al progetto Drawdawn (c’è anche un Ted talk di Chad Frischmann tradotto in 19 lingue). Affinché questo cambio di marcia avvenga, bisogna votare in maniera più oculata, informare gli scettici e scendere in piazza. Altrimenti siamo spacciati.

Giovanni Sgaravatti

Bibliografia

[1a] https://www.climate.gov/news-features/videos/history-earths-surface-temperature-1880-2016 

[1b] https://www.ncdc.noaa.gov/sotc/global/201813#gtemp

[2] https://climate.nasa.gov/vital-signs/arctic-sea-ice/ ; https://journals.ametsoc.org/doi/10.1175/JCLI-D-19-0008.1

[3] https://sealevel.nasa.gov/understanding-sea-level/key-indicators/global-mean-sea-level

[4] http://sealevel.climatecentral.org/news/floria-and-the-rising-sea

[5]https://www.theguardian.com/environment/2016/may/10/five-pacific-islands-lost-rising-seas-climate-change

[6] https://www.unhcr.org/49256c492.pdf

[7] http://www.nature.com/articles/s41558-018-0095-z

[8a] https://www.worldwildlife.org/pages/living-planet-report-2016
[8b] Report of the Plenary of the Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services on the work of its seventh session (Maggio 2019)

[9]https://www.nationalgeographic.com/magazine/2018/08/explore-atlas-great-barrier-reef-coral-bleaching-map-climate-change/

[10] https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/mar/30/plastic-debris-killing-sperm-whales

[11]https://ipccitalia.cmcc.it/ipcc-special-report-global-warming-of-1-5-c/
[12] https://www.ilpost.it/2019/07/29/amazzonia-bolsonaro/

[13]https://www.npr.org/2019/04/29/716347646/why-is-china-placing-a-global-bet-on-coal?t=1565430393525 ; https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-03-20/top-china-fund-sdic-joins-global-shift-away-from-coal-investment

[14]https://www.theguardian.com/sustainable-business/2017/jul/10/100-fossil-fuel-companies-investors-responsible-71-global-emissions-cdp-study-climate-change

[15] https://www.theguardian.com/environment/2016/aug/21/arctic-will-be-ice-free-in-summer-next-year

[Global Carbon emission picture from: https://blog.datawrapper.de/weekly-chart-greenhouse-gas-emissions-climate-crisis/]

https://www.coolearth.org/2018/10/ipcc-report-2/

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