Donne italiane: fotografia di una solidarietà dimenticata

“Alla fine andrà tutto bene. E se non andrà tutto bene, allora non sarà la fine”. Il cieco ottimismo della nota frase di John Lennon sembra riassumere perfettamente il carico emotivo dei due mesi di quarantena appena trascorsi. La diffusione del Covid-19 ed una condizione di isolamento tutt’altro che ordinaria ci hanno indotti a ripensare al nostro tradizionale rapporto con lo spazio circostante, a riformulare la nostra identità nelle relazioni affettive e professionali, con la solitudine, con il futuro. I messaggi di grande speranza e la percezione di combattere contro un “nemico comune” hanno rafforzato in noi la consapevolezza di dover diventare realmente più tolleranti e solidali. Migliori, in una parola. Che il mondo a fine quarantena sarebbe stato diverso, questo è certamente un dato di fatto. Diverso, però, non vuol dire necessariamente migliore. Volendo citare la formula del costruttivista Alexander Wendt: “il mondo è ciò che gli uomini ne fanno”; e anche se il politologo, nel 1992, parlava di Stati e di sistema internazionale, l’attualità di questa frase ci mostra quanto la storia tenda davvero a ripetere sé stessa, e l’uomo a non imparare dai propri errori.

Durante il lockdown, i balconi di tutta italia si sono colorati di arcobaleni e bandiere italiane come questa in figura con la scritta "Andrá tutto bene" e l'hashtag #iorestoacasa

Svariati episodi hanno ben presto rivelato quanto il sentimento di unione e solidarietà tanto decantato fosse una mera patina pubblicitaria. Sembra non si sia mai smesso di ricercare un colpevole, di fare recriminazioni, di alimentare la paura dell’altro – altro in quanto diverso o perennemente identificato in soggetti ritenuti deboli e fragili, destinatari di critiche e accuse di ogni genere. Ancora una volta il virus del pregiudizio, ben più pericoloso del temutissimo Covid-19, è riuscito a gettare solide radici in condizioni assolutamente inattese. Credo che le donne, in questo processo, siano tra le vittime principali: gli haters, specialmente sul web, ed un giornalismo cattivo, spicciolo e di parte, [1] si scatenano con gusto, spesso avvalendosi di un linguaggio che non solo facilita la discriminazione e la vittimizzazione delle donne, ma soprattutto deresponsabilizza chi ne scrive. Questo soprattutto se si parla di donne libere, coraggiose e forti, la cui colpa peggiore è proprio la consapevolezza di essere tutto ciò. Dopotutto, cosa c’è di più fastidioso di una donna che non si piega, non è accondiscendente ma, al contrario, afferma con convinzione le proprie scelte di vita? È ciò che è emerso nell’ultima edizione del Barometro dell’Odio di Amnesty International, chiamato “sessismo da tastiera”: gli utenti hanno una maggiore propensione ad attaccare le donne rispetto agli uomini, con commenti di hate speech, incitamento all’odio, superiori di 1.5 volte.[2]

A riconferma di ciò, la recente liberazione di Silvia Romano, evento che ha catalizzato livelli d’odio senza precedenti. Ad essere messo alla gogna, il presunto spirito da crocerossina della ragazza, determinata a seguire con forza il proprio obiettivo di vita, quello di aiutare i bambini in difficoltà in Kenya. Molti di coloro che hanno sempre supportato il mantra “aiutiamoli a casa loro” si sono improvvisamente coalizzati contro chi era effettivamente intenzionata ad aiutarli a casa loro, pronti a sfoggiare luoghi comuni ben peggiori, come quello del “se l’è andata a cercare”.[3] Non sono mancati commenti di matrice pornografica, su come Silvia si fosse divertita con i suoi rapitori durante i 18 mesi di prigionia, oltre che commenti circa l’abito islamico indossato al momento del suo rientro in Italia o la decisione di cambiare il proprio nome in Aisha – tra i principali punti della polemica sul suo riscatto. Un riscatto pagato per una ragazza tacciata di essere “ingrata”, una donna convertita che ha, per questo, tradito la propria Patria, al punto da essere accusata di neoterrorismo, come affermato dal Parlamentare della Lega Alessandro Pagano.[4] L’ironia della sorte vuole che, dopo un rapimento di un anno e mezzo, Silvia rischi di finire sotto scorta, e questo nel suo Paese, poichè diventata bersaglio privilegiato di una campagna d’odio e della violenza verbale dei suoi stessi connazionali. Alla base di tutto, sembrerebbe esserci come sempre una questione di genere: la tendenza, ovvero, a guardare con intolleranza e contrarietà una donna che sceglie liberamente di seguire il proprio obiettivo di vita e andare a prestare aiuto autonomamente in zone di crisi. A prova di ciò, nessun commento ha infatti accompagnato la liberazione di Luca Tacchetto, italiano rapito in Mali nel 2018, un’area tanto pericolosa quanto quella in cui si trovava Silvia. Alla conversione del ragazzo alla religione islamica e al pagamento di un riscatto per la sua liberazione non hanno fatto seguito accuse di alcun genere: l’essere uomo lo ha probabilmente esentato da certi tipi di insinuazioni.[5]

Sovranismo e sessismo sembrano essersi irrimediabilmente fusi, facendo di Silvia Romano un simbolo di anti-italianità, e ci si è appigliati a qualsiasi aspetto per portare avanti questo tipo di narrazione. C’è chi si è soffermato sulla sua giovane età o chi ancora, ossessionato dal dogma di “prima gli italiani” ha criticato la scelta di andare a fare del bene fuori dai confini nazionali.[6] La realtà dei fatti è che nel 2020, purtroppo, il binomio donna-libertà fa ancora paura, innesca una sorta di blackout nella mente di chi crede che le donne possano essere libere solo a certe condizioni tacitamente accettate: non mettere in discussione la preminenza maschile nella società. Il sessismo da rete mira ad attaccare le donne in modo personale ed esplicito, avvalendosi principalmente di stereotipi e false rappresentazioni. Commenti riguardanti anzitutto la sfera dell’aspetto esteriore e come quest’ultimo influenzi il loro ruolo pubblico, – la donna è troppo appariscente o lo è troppo poco – commenti inerenti alla sfera della sessualità, – la donna si concede troppo facilmente o non abbastanza – l’ambito della vita professionale o privata – eccessiva dedizione al lavoro piuttosto che alle questioni di presunta “reale” competenza, quelle domestiche. Si può emergere e fare carriera, certo, ma senza esagerare pensando di poter competere con la figura maschile, altrimenti diventa chiaro il ricorso a raccomandazioni sottobanco. Si può fare l’inviata all’estero ed essere una delle migliori giornaliste a livello nazionale, ma se ci si presenta in video con i capelli spettinati o il viso stanco si deve soccombere alla marea di critiche che arriveranno sull’estetica, alle infinite ironie per essere poco appetibile.[7]

La giornalista Giovanna Botteri, corrispondente Rai da Pechino, risulta da anni vittima di battute sul suo aspetto; battute tese a fare dell’ironia spicciola su una professionista nel cui lavoro, però, l’estetica c’entra ben poco. Come se l’abito o il taglio di capelli scelti potessero influenzare la capacità e qualità di informazione – le cose realmente importanti, per inciso; come se una giornalista debba necessariamente rispettare determinati canoni estetici per fare bene il proprio lavoro, per essere inattaccabile. Ecco che certe ironie, fatte nel tentativo di dimostrarsi sagaci e strappare un sorriso, finiscono semplicemente per mostrare l’assoluto maschilismo e grettezza delle menti che le hanno partorite.[8] Questo genere di insulti non è tanto distante da quelli rivolti a Carola Rackete, capitana della Sea Watch 3 che, nel giugno 2017, ha forzato il divieto di entrare nelle acque italiane per far sbarcare i migranti per portava a bordo sull’isola di Lampedusa. Anche in quella occasione, l’assoluta determinazione con cui la ragazza ha difeso la propria identità e, soprattutto, le vite umane, ha dato il via ad una spirale infinita di commenti sessisti e misogini sul suo conto: appellativi tutt’altro che carini, insinuazioni circa rapporti sessuali con i naufraghi a bordo, addirittura c’è chi le ha augurato lo stupro.[9] In via paradossale, poi, sono spesso proprio esponenti politici, ministri, alte cariche dello Stato a lasciarsi andare ad una pioggia di commenti sessisti dimostrando quanto questo tipo di linguaggio, spesso sotto forma di battute, serpeggi incontrollato. Proprio chi dovrebbe garantire e preservare la libertà e l’individualità tenta, invece, di arginarla quasi fosse un pericolo per la società.[10]

Il dato più preoccupante è che Silvia, Giovanna, Carola rappresentano soltanto i più recenti casi di un fenomeno assolutamente diffuso di cui ogni giorno fanno spesa tantissime donne forti e determinate. Si pensi alla ministra Teresa Bellanova, destinataria di commenti poco lusinghieri circa la forma fisica e l’abito scelto per il giuramento al Quirinale. Fatau Boro Lu, ex candidata europeista, è diventata oggetto di insulti razzisti e sessisti per aver osato criticare (lei, donna e con la pelle scura) le politiche di Salvini e la gestione della vicenda Sea Watch. Un’escalation di commenti razzisti e antisemiti ha toccato anche la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz e testimone attiva della Shoah, tanto da essere messa sotto protezione di una scorta. La stessa Laura Boldrini, ex presidente della Camera dei deputati, sin dal suo insediamento, è stata oggetto di una campagna denigratoria, bufale e maldicenze sul suo conto e sulla sua famiglia.

Commenti così feroci creano un senso di tristezza e frustrazione poiché generati da ciò che queste donne rappresentano: un’immagine di solidità e fermezza. Dinanzi a donne del genere, è come se il pensiero patriarcale andasse in tilt, recependole come sbagliate, quasi contro natura. La loro esperienza, al contrario, dovrebbe costituire il punto di partenza per scardinare modelli ormai obsoleti che non hanno più ragione d’esistere. L’insegnamento è quello di trasformare la frustrazione in volontà di elevarsi, di seguire la propria strada, essere libere di esprimere se stesse. Perché c’è sempre qualcosa di fastidioso in una donna che usa il cervello, che non accetta di essere un oggetto sessuale; qualcosa che va probabilmente al di là delle semplici azioni compiute: la capacità di scegliere il proprio destino e portarlo avanti con determinazione.

Antonella Iavazzo

 
 

L’UE ha bisogno di una reazione economica congiunta

featured image “CC-BY-4.0: © European Union 2019 – Source: EP”

La pandemia del covid-19 ha colpito violentemente l’Europa. Il nuovo coronavirus, che ha infettato l’essere umano per la prima volta nella regione cinese dell’Hubei, sta cambiando la vita di tutti noi e stravolgendo il quadro politico ed economico globale. La risposta dei Paesi europei nella fase iniziale dell’emergenza è stata poco coordinata e, nella maggior parte dei casi, tardiva. L’impatto del virus è stato particolarmente severo nelle regioni più economicamente sviluppate: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto in Italia; in Spagna, specialmente nella regione di Madrid e in Catalogna; in Francia nell’Ile de France, regione di Parigi; in Germania maggiormente in Baviera, Nord Reno – Westfalia e Baden Württemberg, in Svezia nella contea di Stoccolma e in Belgio nella regione delle Fiandre. La forte integrazione tra le economie dei vari Paesi europei è stata anche, inevitabilmente, un eccezionale mezzo di diffusione del virus e rischia di esserlo ancor di più in un futuro prossimo, se mancherà un coordinamento a livello europeo per organizzare la riapertura.

(mappa interattiva sulla diffusione del covid)

Le misure restrittive imposte nei Paesi più colpiti, Italia e Spagna, sono molto stringenti, poiché permettono di continuare a svolgere soltanto attività produttive essenziali e strategiche per la gestione dell’emergenza sanitaria. Invece nella maggior parte dei Paesi UE si è optato per una chiusura delle attività commerciali a contatto con il pubblico, senza chiudere attività produttive[1].  Questi provvedimenti, seppur necessari, tuttavia rischiano di affossare l’economia europea.
L’impatto della crisi economica sarà diverso Paese per Paese, dipenderà dalla severità delle misure restrittive, dai danni diretti e indiretti della pandemia e soprattutto dalla capacità finanziaria dei singoli Stati di supportare la propria economia con la liquidità necessaria e con interventi rapidi e precisi.

La necessità e le criticità di finanziare la spesa pubblica con il debito

Le principali fonti di finanziamento dello Stato sono la tassazione e l’emissione di titoli di debito sul mercato. Nel mezzo di una pandemia, con imprese in ginocchio e la necessità di mantenere in vita il sistema produttivo ed economico, non è auspicabile un aumento a breve della tassazione. È inevitabile aumentare il debito pubblico per contenere l’impatto che una annunciata recessione economica avrà sulla vita dei cittadini. Gli Stati, quando richiedono un prestito sul mercato per finanziare la propria spesa emettono titoli di debito, chiamati bond o titoli di Stato. Come ogni prestito, anche i titoli di Stato presentano il rischio che il loro valore diminuisca o che, in situazioni critiche, il debitore, lo Stato, non riesca a rimborsare interamente il capitale.
In linea generale, più gli investitori – banche, istituzioni finanziarie, fondi pensione e risparmiatori – riterranno probabile che il prestito non sia ripagato, più richiederanno un alto rendimento per il rischio che stanno correndo. Allo stesso tempo, più sarà alto il rischio percepito dagli investitori più sarà costoso per lo Stato indebitarsi. Gli eventi politici, economici e l’ammontare di debito emesso possono avere un impatto sulle finanze dello Stato. Inoltre, avranno anche un effetto sulle aspettative degli investitori e sul rendimento dei titoli di Stato. Spesso si parla di spread tra i titoli tedeschi e i titoli italiani decennali per valutare l’aumento del rischio relativo al debito italiano. Uno degli indicatori più utilizzati per quantificare la dimensione del debito di uno Stato è il rapporto Debito/PIL (per saperne di più).

La situazione dei debiti pubblici nei maggiori Paesi UE

Figura 1: serie storica debito/PIL dal 1995 al 2019. Fonte Eurostat.

A questo punto appare evidente che non tutti i Paesi europei si trovano nella stessa condizione. Spagna e Italia, i Paesi attualmente più colpiti dall’epidemia, sono anche quelli con il debito pubblico più elevato. L’Italia negli ultimi anni ha avuto una crescita del PIL molto bassa[2], il suo debito/PIL è arrivato ad un valore di oltre il 134% dal 2018[3]. Anche la Spagna, aveva allo stesso anno, un rapporto Debito/PIL alto 97.6%[4]. Negli ultimi anni, però, ha avuto una consistente crescita del PIL, circa il 2% nel 2019 e una crescita media del 2.8% annuo dal 2015[5]. Tuttavia, prima della crisi del 2007 il rapporto Debito/PIL spagnolo era al 35%[6]. L’incremento enorme del debito durante la crisi finanziaria ha reso necessarie misure di riduzione della spesa pubblica e altre riforme per permettere al Paese di restare competitivo e poter continuare a finanziarsi sul mercato.
Italia e Spagna, dunque, si trovano tra due fuochi, sotto una pressione senza precedenti per la crisi sanitaria e dovendo sostenere spese ingenti per la ricostruzione della propria economia, senza potersi finanziare con debito a costi bassi.
Già al 21 aprile, il tasso di rendimento sui titoli di stato decennali (BTP) per l’Italia era del 2,02% [7]e dello 0,97%[8] per la Spagna. Per avere un termine di paragone è sufficiente sapere che i titoli tedeschi hanno un tasso di rendimento negativo di – 0,481%[9], avendo un rapporto Debito/PIL pari al 61,9%[10]. I Paesi Bassi hanno un tasso di rendimento negativo di -0,177% [11]e la Francia di 0,06%. [12]All’aumentare del debito per sostenere le misure economiche e sanitarie di contrasto alla crisi, questi tassi di rendimento aumenteranno, rendendo più costoso il finanziamento per tutti i Paesi UE, ovviamente in maniera più accentuata per i Paesi più a rischio.

Figura 2: serie storica 1993 – 2020 tasso di rendimento sui titoli di Stato decennali. Fonte: BCE

 

Il dibattito e le misure dell’UE


La crisi sanitaria del coronavirus sta colpendo tutto il mondo. Non si può definire virtuoso un Paese meno colpito né infierire con giudizi morali insensati sui Paesi più vessati. Non è una semplice crisi finanziaria, è una crisi simmetrica, come è stato spesso rimarcato, però l’impatto della crisi e le tempistiche saranno diverse Paese per Paese. Sin dall’inizio si è scatenato uno scontro tra sostenitori della necessità di emettere titoli di debito comune per avere una risposta congiunta – tra i quali Francia, Spagna e Italia – e rigoristi – tra i quali Germania e Olanda – convinti di poter sostenere da soli i costi della crisi. In un primo momento, i Paesi appartenenti al blocco rigorista sembravano disposti ad aiutare i Paesi più colpiti solo con strumenti di intervento economico soggetti a condizionalità su tempistiche e modalità di riduzione del debito pubblico – il famoso Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) a condizionalità rafforzate.
Contemporaneamente, le istituzioni europee hanno dato il loro sostegno ai Paesi più in difficoltà con un piano straordinario di acquisti di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea, che ha finora permesso di mantenere bassi i rendimenti sui titoli di Stato italiani. Sono state adottate anche altre importanti misure economiche per 540 miliardi[13]. Quanto fatto, tuttavia, non è sufficiente per superare la crisi. L’idea di emissioni di debito comuni – eurobond o recovery bond – per finanziare la ricostruzione economica può essere la soluzione giusta per emettere debito a costi minori per i Paesi più in difficoltà e per un ulteriore passo in avanti nell’integrazione europea.

Agire insieme è nell’interesse di tutti


Non è solo solidarietà europea. Davanti ad una recessione del PIL dell’eurozona del 7.5%[14] non esistono Paesi forti, né vie d’uscita individuali. Inoltre, l’UE è un’organizzazione sovranazionale che condivide da anni i benefici di un’area economica aperta, con libertà di movimento per lavoratori, merci e capitali, e ha maturato anche un’interdipendenza tra i vari Paesi. Un riscontro si può avere guardando ai Paesi di destinazione delle esportazioni di Olanda, Spagna, Francia, Germania e Italia.

 

 
Figura 8: Serie storica export/PIL dal 2008 al 2019. Fonte: Eurostat.

 

Come è possibile notare dai grafici precedenti, l’export è una componente importante del PIL di tutti gli Stati analizzati, in particolare l’Olanda nel 2019 ha registrato un export/PIL pari all’82,5% e la Germania al 46,9%[15]. Analizzando i Paesi di destinazione, risulta che la maggior parte di questo export è stato verso altri Paesi UE. l’Italia è il quinto Paese per quota di esportazioni ricevute dall’Olanda e il sesto per la Germania. La Spagna è il settimo per l’Olanda e l’undicesimo per la Germania. Viceversa, Germania e Olanda sono anche destinazioni di quote fondamentali dell’export di Italia e Spagna. [16]Le economie europee sono interconnesse, ora è il turno della classe dirigente europea di trovare un accordo per ulteriori misure forti e congiunte contro la crisi. Ci vorrà del tempo, una revisione dei trattati potrebbe essere necessaria e si dovranno aumentare i contributi al bilancio UE, ma è nel pieno interesse di tutti gli Stati membri. Altrimenti, anche la crisi economica rischia di seguire le stesse linee di contagio della pandemia. I rischi sono una depressione economica e un’ascesa dei partiti euroscettici che potrebbero compromettere l’intero progetto europeo.

Michele Corio


Riferimenti:

[1] https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-coronavirus-e-blocco-delle-attivita-cosa-succede-all-estero

[2] https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?locations=IT

[3] http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=gov_10dd_edpt1&lang=en

[4] https://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&init=1&language=en&pcode=teina225&plugin=1

[5] https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?locations=ES

[6] http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=gov_10dd_edpt1&lang=en

[7] https://www.investing.com/rates-bonds/italy-10-year-bond-yield

[8] https://www.investing.com/rates-bonds/spain-10-year-bond-yield

[9] https://www.investing.com/rates-bonds/germany-10-year-bond-yield

[10] http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=gov_10dd_edpt1&lang=en

[11] https://www.investing.com/rates-bonds/netherlands-10-year-bond-yield

[12] https://www.investing.com/rates-bonds/france-10-year-bond-yield

[13] https://jeuneurope.com/ue-e-coronavirus-il-punto-della-situazione/

[14] https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2020/04/14/weo-april-2020

[15] https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/TET00003/default/table

[16] https://oec.world/en/

La cultura sociale e gli ultimi: il caso della baby gang di Manduria

Ve lo ricordate il caso Stano a Manduria? Eppure non è passato tanto tempo da quando la baby gang ha bullizzato Antonio Stano, morto in aprile. Si è poi scoperto che il pensionato non era la sola vittima del gruppo e che la conoscenza, più o meno chiara, delle violenze si estendeva ben oltre la manciata di ragazzi che la compieva.

In questi mesi ho letto vari articoli che riportavano aggiornamenti su questo fatto: mi hanno colpita  alcune espressioni utilizzate, come “verifica dei silenzi”,  “cultura confermata”, “criminalità”. Accadimenti simili non vanno certamente minimizzati, va però detto che costituiscono l’estrinsecazione più esplosiva, quindi (apparentemente) improvvisa e distruttiva, di un sostrato culturale marcio da tempo che, tuttavia, non viene estirpato, anche qualora non direttamente alimentato.

Stano il pazzo, Stano lo strano, Stano il solitario è un uomo che ha subito violenza prima ancora che qualcuno gli mettesse le mani addosso; una violenza che fa tutt’uno col silenzio e con l’accettazione di uno stato di cose che, in alcuni casi, non si ha il coraggio di cambiare e, in altri invece, vi si aderisce, coprendolo. Antonio Stano è uno degli esempi del destino degli ultimi in questo Paese: essi sono l’incarnazione di una crisi da superare – ma una crisi che investe il contrasto tra il desiderio di grandezza condito da spavalderia e il senso di inadeguatezza, di fragilità, di mancanza. E’ la problematicità che non si vuole vedere per non impegnarsi nella ricerca di soluzioni, per poter stare bene e, soprattutto, per potersi sentire forti affermando un ordine sociale che non prevede quel tipo di debolezza che esula dai parametri del “normale”. Gli ultimi, in questo Paese, sono un capro espiatorio. In questo senso, il pensionato di Manduria è un pharmakos.

Ne La farmacia di Platone, Derrida parla del pharmakos come di un individuo escluso dallo spazio sociale e definito da una doppia natura dialettica, quella di « rimedio » e quella di « veleno »: la sua singolarità svela il lato indigente della società, ne mette in luce le lacune e le anomalie e, per ciò stesso, egli è un individuo che “deve morire”. Così, Stano l’emarginato è un uomo che diventa uomo, cioè un individuo al quale viene riconosciuta la propria umanità, soltanto al momento della sua scomparsa definitiva. Lui muore davvero, ma, in senso generale, il dover morire identifica la necessità di non turbare l’ordine sociale e in Italia questo accade con tutti coloro che rientrano in scomode categorie sociali – potrei citare omosessuali, disabili, migranti… ma in fondo che valore avrebbe un elenco? Tuttavia, sempre facendo riferimento a Derrida, ciò che non viene detto apertamente è che la vita del pharmakos in quanto tale è favorita dalla comunità sociale stessa che ha bisogno di affrontarlo per silenziarlo, così da poter mantenere forza e compattezza – obiettivi ultimi, più o meno consapevoli, di una società preda di una nevrosi collettiva che la porta a percepirsi sotto attacco. Minaccia principale: la diversità.

Ecco, allora, che se di “cultura confermata” vogliamo parlare dobbiamo farlo a 360° e chiedendoci di quale stiamo parlando. In questo caso, potremmo a ragione dire “cultura del pharmakos”, ma nella sua accezione più scarna e subdola che nulla trattiene della sacralità antica. 

Nel bel mezzo di una crisi sacrificale (La violence et le sacré, Girard) in cui si faticano a distinguere i tipi di violenza e si lascia diffondersi una violenza impura, contagiosa e reciproca, cioè nel bel mezzo di una crisi di differenze che investe in generale l’ordine culturale, machismo e intolleranza si fanno espressione di una forza che deve essere resa nota. E più è diffusa, più alimenta l’ego e l’apparente prestigio di chi la compie. Un prestigio che non si radica mai realmente attorno a quest’ultimo perché la sua condanna, non fosse che per semplice moralismo, si muove più veloce di lui soprattutto quando viene dalla voce di una personalità socialmente (e ancor più politicamente) rilevante che, tuttavia, forte di questo stesso rilievo si permette di agire diversamente. E’ chiaro il paradosso, il gioco subdolo tra incentivare e colpire?

La Baby gang di Manduria nelle immagini della Polizia di Stato

La baby gang di Manduria ha compiuto un atto criminale, deplorevole e condannato, cionondimeno nato da un tessuto socio-culturale che ancora stigmatizza le differenze e le debolezze, senza integrarle né risolverle, bensì alimentandole.

A questo punto, se il pharmakos era lo strumento “rimedio-veleno” utile alla comunità per rinsaldarsi, oggi mi viene il dubbio che esso sia necessario non alla comunità, di cui si è largamente perso il senso, ma al singolo individuo per rinsaldarsi a se stesso. Questo però significa non uscire dal proprio perimetro, perciò, forse, per poter elaborare una risposta diversa, nuova ed efficace all’individualismo violento, la domanda da porsi è “che cos’è la comunità oggi?”

Livia Corbelli

– Derrida J., La Pharmacie de Platon, dans « La dissémination », Paris, Collection ‘Tel Quel’ Aux Editions du Seuil, 1972

– Girard R., La violence et le sacré, Paris, Pluriel, 2010 

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/taranto/1154039/manduria-dopo-caso-stano-altro-disabile-picchiato-dal-branco-2-ordinanze.html

https://www.ilsussidiario.net/news/cronaca/manduria-caso-stano-oggi-minori-davanti-a-riesame-marziale-bulli-no-criminali/1884799/

http://www.today.it/cronaca/antonio-stano-manduria-nuovi-arresti.html

http://www.trnews.it/2019/06/28/caso-stano-lautopsia-vessazioni-subite-concausa-di-morte/257124

https://www.tarantobuonasera.it/news/cronaca/70669/caso-stano-alcuni-si-pentono-altri-negano/

https://notizie.virgilio.it/baby-gang-manduria-9-arresti-569474

Il sogno europeo

Giovanni Sgaravatti

Giovanni Sgaravatti

L’Unione Europea è il più grande progetto di pace mai esistito. Come tale va compreso, difeso, rafforzato e senz’altro migliorato. È sufficiente parlare con chi ha vissuto la guerra per capire che non si può dare la pace per scontata, nemmeno nel ventunesimo secolo. La storia ci insegna che noi europei siamo stati uno dei popoli più caparbi e prevaricatori sulla faccia della terra. Probabilmente, ritenere oggi una guerra in europa tanto improbabile da risultare quasi insensato, è già la più grande vittoria dell’Unione Europea.  
Libera circolazione, foto di Hungary Today

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I benefici di essere europei

Giovanni Sgaravatti

Giovanni Sgaravatti

È davvero difficile spiegare i vantaggi di essere all’interno dell’Unione Europea e monetaria a chi ha visto il proprio salario rimanere stazionario negli ultimi vent’anni, quando i servizi e il costo della vita sono generalmente aumentati. Nondimeno, noi di Jeune Europe crediamo sia importante cercare di farlo perché l’Unione Europea è la nostra unica ancora di salvezza, e faremo bene a tenerlo presente. Qui di seguito troverete un elenco, per forza di cose incompleto, dei vantaggi che l’Italia trae dall’essere in Europa. Alcuni di questi benefici sono arcinoti (come i 70 anni di pace, o l’Erasmus), quindi gli articoli seguenti si soffermano su quei vantaggi meno conosciuti.

Giovanni Sgaravatti, Michele Corio

  1. I benefici meno noti di essere europei
  2. Il sogno europeo
  3. L’euro per l’Italia
  4. Unione Bancaria, per una maggiore solidità
  5. Lasciateci commerciare.

I benefici meno noti di essere europei

L’Unione Europea non si occupa solo di Euro, banche e regole, ma è prima di tutto un’istituzione che permette ai Paesi membri di fare squadra. In questo mondo globalizzato, infatti, solo unendo le forze si può davvero competere con le altre potenze e tutelare appieno i diritti dei propri cittadini.

Di seguito sono riportati alcuni esempi dei diversi campi nei quali l’Unione Europea è impegnata, cosi come gli strumenti messi in campo per migliorare le nostre vite.

  1. Agenzia Europea per i Medicinali (EMA)
  2. Agenzia Spaziale Europea (ESA)
  3. Piano di investimenti per l’Europa.
  4. Il GDPR
  5. I programmi per la salvaguardia ambientale
  6. L’agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA)

In breve, proviamo a spiegare di cosa si tratta:

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I sette peccati capitali dell’economia italiana

 

Ho di recente finito di leggere il libro “I sette peccati capitali dell’economia Italiana” edito Feltrinelli e scritto dall’ex quasi-premier Carlo Cottarelli. Per chi non lo sapesse, Cottarelli ha lavorato sia in Banca d’Italia che al Fondo Monetario Internazionale ed ha anche maturato esperienza come commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica tra il 2013 e il 2014; è oggi direttore del nuovo Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, nonché visiting professor all’Università Bocconi.

Nel libro vengono individuati sette “peccati” dell’economia italiana che ne frenano lo sviluppo economico. Ho trovato il saggio particolarmente illuminante per la sua oggettività e per la chiarezza di pensiero dell’autore. I sette peccati illustrati dal professore possono essere divisi in due categorie: quelli di lunga durata, che sono l’evasione fiscale, la corruzione, la lentezza della giustizia, l’eccessiva burocrazia e il divario tra Nord e Sud; e quelli più recenti, ovvero il calo demografico e la difficoltà dell’economia italiana a convivere con l’euro. In questo scritto, mi concentrerò esclusivamente sul primo capitolo del libro, quello riguardante l’evasione.

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Pillole di Finanza Pubblica

Il bilancio dello Stato è un documento complesso, in grado di rappresentare in maniera molto dettagliata la situazione economico-finanziaria di un Paese.
Inoltre, attraverso un’accurata analisi delle varie poste di spesa pubblica, è possibile ricavare anche informazioni culturali e sociali su di esso.
In base alle informazioni ricercate e agli obiettivi che si perseguono si possono distinguere diverse tipologie di bilancio.

In questo articolo farò riferimento, in breve, al bilancio consuntivo e al bilancio previsionale per dare, senza eccessivi tecnicismi, l’idea del contenuto essenziale di un bilancio pubblico e del ruolo del Prodotto Interno Lordo nella valutazione della ricchezza prodotta complessivamente, del reddito e del benessere di una società.

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Giro d’Italia, cent’anni e non sentirli

 

Colline, viste sul mare e montagne, paesaggi straordinari, migliaia di chilometri di strada percorsi da una scia infinita di maglie colorate, di atleti che corrono lungo lo stivale per ore e ore.
Tre settimane in strada a regalare emozioni intense e spettacolo. Il ciclismo non è lo sport più adatto alla società post-moderna, nella quale domina l’immediatezza.
Assistere a gare da 5 ore al giorno è un privilegio non sempre concesso e apprezzato. Ogni giornata in bici è ricca di complessità tecnica, strategica, determinata dal ruolo chiave del gioco di squadra, dal funzionamento di numerose e varie componenti meccaniche, dal ruolo essenziale dell’alimentazione, dallo stress, dalla fortuna, ma soprattutto da fatica.

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