CAI: Cina e UE trovano terreno comune su un accordo per gli investimenti

Il fuso orario differente e l’emergenza epidemiologica ancora in corso a livello globale non hanno impedito la firma di un accordo considerato di importanza epocale per i rapporti economici tra Cina e UE. Il 30 dicembre 2020, l’incontro online tra il leader cinese Xi Jinping, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, la Cancelliera tedesca Angela Merkel ed il Presidente francese Emmanuel Macron, ha ufficialmente scandito la firma del Comprehensive Agreement on Investment (CAI), un accordo bilaterale, ormai in cantiere dal 2013, per gli investimenti tra Cina ed UE che apre il mercato cinese alle imprese dei paesi dell’Eurozona.[1] Dopo negoziazioni durate ben sette anni, sebbene sia ancora necessario lavorare sui dettagli e sull’implementazione dell’accordo, Pechino e Bruxelles sembrerebbero aver finalmente raggiunto un’intesa circa l’ossatura del patto teso ad assicurare maggiore reciprocità ed interdipendenza tra i due blocchi economici.[2] Il condizionale è d’obbligo, nella misura in cui è ancora necessaria l’approvazione del Parlamento Europeo; l’accordo, tuttavia, è stato accolto come un successo da entrambe le parti e giunge in un momento più che opportuno, in tempo utile per la fine del semestre della presidenza tedesca dell’UE, dei 45 anni dalle relazioni diplomatiche Cina-UE e a tre settimane dall’insediamento della nuova amministrazione americana di Joe Biden.[3]

Come riportato in una nota dell’UE, l’accordo in questione ha un grande significato economico, lega le due parti ad una relazione sugli investimenti fondata sui valori e basata sui principi dello sviluppo sostenibile.[4] Tra i comparti-chiave oggetto dell’intesa spiccano il settore dell’automotive, così come quello delle auto elettriche ed ibride, rispetto a cui la potenza asiatica sarebbe intenzionata ad aprirsi con maggiore trasparenza e facilità. Anche la sanità, l’energia e le telecomunicazioni risulterebbero oggetto di una consistente rimozione di ostacoli. Le aziende europee interessate a competere sul mercato cinese potranno farlo autonomamente, senza dover necessariamente accordarsi con un  partner locale (joint venture) e senza obblighi circa il trasferimento di tecnologie.[5] I paesi dell’Eurozona da sempre denunciano le forti restrizioni imposte da Pechino all’ingresso del proprio mercato, soprattutto in termini di obbligo al trasferimento forzato di know-how e tecnologie nei comparti ad alto livello tecnologico per ottenere le necessarie autorizzazioni amministrative dalle autorità cinesi. Ora, grazie all’accordo, questo processo risulta facilitato.[6] La Cina, quindi, in cambio di un progressivo accesso al mercato energetico del vecchio continente, ha assicurato opportunità e condizioni senza precedenti per le controparti europee; rinnovata importanza, inoltre, è stata riconosciuta all’armonizzazione dei contesti normativi relativi soprattutto alla trasparenza, prevedibilità e certezza giuridica delle condizioni di investimento, oltre che alla tutela di standard ambientali.[7] Seguendo questa traiettoria, il CAI potrebbe dunque rappresentare un primo passo verso un accordo di libero scambio più ampio con l’inclusione di impegni futuri, anche nell’ambito degli appalti pubblici.[8] 

Per Pechino, la firma dell’intesa costituisce una conferma delle aperture già consentite a seguito dell’introduzione, nel mese di gennaio dell’anno scorso, della Foreign Investment Law.[9] Nella prospettiva europea, inoltre, l’accordo pone le basi per rafforzare ulteriormente l’interdipendenza economica tra i due attori. Secondo Eurostat, nel 2019 l’UE ha esportato beni per il valore di €198 miliardi in Cina ed importato beni per €362 miliardi, con un commercio bilaterale dal valore di €560 miliardi. Nei primi 10 mesi del 2020, il volume degli scambi UE-Cina si è assestato a €477 miliardi, il 2,2% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.[10] La potenza asiatica , dunque, continua a rappresentare una destinazione essenziale per gli investimenti europei, soprattutto quelli di natura commerciale e di supporto all’azione di mercato, caratterizzati da una forte capacità penetrativa nel mercato estero di riferimento.

Al di là di motivazioni di carattere strettamente economico, l’importanza del CAI affonda anche nel terreno della geopolitica: la firma del patto segue infatti di pochi giorni la conclusione di un altro importante accordo commerciale, il Regional Comprehensive Economic Partnership – siglato tra i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (ASEAN) più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.[11] La maggiore influenza commerciale e finanziaria garantita dai due accordi nelle aree regionali di riferimento, ha chiaramente un forte impatto anche sulla geopolitica globale. La distensione dei rapporti che la Cina ha avviato – prima con il blocco ASEAN e poi, nel caso specifico del CAI, con i paesi dell’Eurozona – non solo rimette nuovamente al centro delle dinamiche economiche Pechino, ma ne incrementa soprattutto il peso politico. Un discorso, questo, che acquisisce valenza specialmente in un‘ottica di competizione con gli Stati Uniti;[12] l’amministrazione Biden-Harris ha pubblicamente espresso la propria contrarietà alla conclusione dell’accordo, oltre che reticenza circa le pratiche economiche cinesi, intimando i partner europei a confrontarsi maggiormente circa le preoccupazioni statunitensi[13]. La controversa firma dell’accordo da parte europea sembra dunque rimarcare in modo netto le divergenti vedute con cui UE ed USA si sono approcciati al dossier cinese: Bruxelles, pur rimanendo all’interno di una cornice transatlantica, è ben consapevole di quanto il baricentro della crescita mondiale si sia ormai spostato ad Oriente.[14] La conclusione del CAI, dunque, costituisce per la Cina una vittoria diplomatica importantissima: il Gigante asiatico, pur essendo ritenuto un “rivale sistemico”, rimane per l’UE un partner essenziale, non solo nella lotta al Covid19 e al cambiamento climatico.[15]

Le continue violazioni di Pechino in tema di diritti umani hanno rappresentato uno dei principali ostacoli alla conclusione dell’accordo sugli investimenti. Il Parlamento Europeo, infatti, ha recentemente votato una risoluzione[16] affinché il CAI inducesse ad un maggior rispetto delle convenzioni internazionali contro il lavoro forzato. Chiaro, sin da subito, il riferimento alla minoranza musulmana degli Uiguri nello Xinjiang, concentrata in centri di detenzione e sottoposta a lavori forzati e trattamenti degradanti – sebbene Pechino, dal canto suo, si difenda parlando di “centri di formazione professionale”, utili a combattere la povertà e l’estremismo diffusi nella regione e considerati una delle principali minacce alla stabilità e sicurezza nazionale. In materia, la Cina ha accettato di “compiere sforzi continui e sostenuti” per portare avanti la ratifica delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro contro il lavoro forzato ma senza alcun impegno specifico, non è dunque escluso che, in futuro, l’UE possa introdurre nuove sanzioni per le violazioni condotte dal regime in tema.[17] 

Nuova Via della Seta
L'Italia ha aderito al progetto della Nuova Via della Seta senza sentire prima il parere dell'UE Wikimedia Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0) https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/

Cina e UE …e l’Italia in tutto ció?

Al netto dell’importanza storica dell’accordo, a lasciare perplessi è certamente la posizione dell’Italia, improvvisamente estromessa dal tavolo delle trattative. Nonostante la firma del Memorandum of Understanding del 2019 per aderire alla Nuova Via della Seta – ricordiamo che l’Italia è il primo ed unico paese del G7 a prendere parte alla One Belt One Road (OBOR) – lasciasse ben sperare per un rafforzamento delle relazioni sino-italiane, il ruolo che ad oggi spetta all’Italia è quello di semplice spettatrice dei negoziati, guidati dal format franco-tedesco.[18] Forte l’insoddisfazione italiana che, pur avendo invitato Francia e Germania ad una maggiore trasparenza condividendo le bozze dell’intesa, non ha ottenuto alcun risultato. Soprattutto la presenza di Macron, ha affermato il Sottosegretario degli Esteri Ivan Scalfarotto, è stata giudicata un vero smacco: se la Merkel ha potuto presenziare alla videoconferenza in quanto Presidente di turno del Consiglio dell’UE, la presenza del leader francese, invece, ha infranto il protocollo europeo, scavalcando di fatto gli altri 25 paesi membri. Il CAI sembra così gettare lo spettro del fallimento anche in merito all’accordo sulla Via della Seta concluso nel 2019: “un fallimento – ha affermato Scalfarotto – sia sul piano commerciale che politico. Se la logica italiana alla base della firma era l’auspicio di un aumento dei rapporti commerciali ed economici con la Cina, si può dire che a 18 mesi di distanza il calcolo si sia rivelato quantomeno ottimistico, se non del tutto fallace, privando il nostro paese anche della credibilità necessaria per giocare il ruolo di leader nella negoziazione”.[19] Il timore prevalente è che si stiano delineando nuovi rapporti di forza dai quali l’Italia rischia seriamente di essere estromessa, soprattutto alla luce delle opportunità che potrebbero derivarle dalla partecipazione al CAI – l’automotive, infatti, costituisce il 7% del PIL italiano, così come le aziende leader Enel ed Eni potrebbero avvantaggiarsi non poco della maggiore apertura di Pechino.[20]

Antonella Iavazzo

[1] http://www.xinhuanet.com/english/2020-12/30/c_139630412.htm

[2] http://www.xinhuanet.com/english/2020-12/30/c_139630735.htm

[3] http://www.xinhuanet.com/english/2020-12/30/c_139630412.htm

[4] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ue-cina-il-super-accordo-sugli-investimenti-28820

[5] https://www.money.it/market-mover-della-settimana-4-8-gennaio-2021

[6] https://www.ilsole24ore.com/art/cresce-sfiducia-le-aziende-europee-cina-allarme-i-contraccolpi-guerra-dazi-ACjg82E

[7] https://www.china-files.com/intesa-cina-ue-su-latteso-accordo-di-investimento-bilaterale/

[8] https://aspeniaonline.it/ue-cina-un-accordo-parziale-e-molte-questioni-geopolitiche-aperte/

[9] La “Foreign Investment Law” è un provvedimento atto a proteggere in misura maggiore gli interessi di investitori stranieri nel territorio cinese. Tra le misure previste, l’accesso delle imprese straniere agli appalti pubblici attraverso concorrenza leale e l’impossibilità di fare ricorso a sanzioni e licenze amministrative per trasferimento di tecnologie. Maggiori info su: http://www.xinhuanet.com/english/2020-01/01/c_138670986.htm

[10] https://www.ilsole24ore.com/art/i-leader-europa-e-cina-collegamento-chiudere-l-accordo-investimenti-ADmIXqAB

[11] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/rcep-il-nuovo-motore-della-crescita-asiatica-28345

[12] Ibid.

[13] https://twitter.com/jakejsullivan/status/1341180109118726144

[14] https://aspeniaonline.it/ue-cina-un-accordo-parziale-e-molte-questioni-geopolitiche-aperte/

[15] https://www.china-files.com/intesa-cina-ue-su-latteso-accordo-di-investimento-bilaterale/

[16] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/RC-9-2019-0246_IT.html

[17] https://formiche.net/2020/12/accordo-ue-cina-ghiretti/

[18]https://it.insideover.com/economia/ue-cina-via-libera-a-un-accordo-storico-ma-litalia-e-stata-estromessa-dalle-trattative.html

[19] https://formiche.net/2020/12/accordo-ue-cina-italia/

[20] https://it.insideover.com/economia/ue-cina-via-libera-a-un-accordo-storico-ma-litalia-e-stata-estromessa-dalle-trattative.html

Le insidie dietro la crescita dei mercati

Continua l’irrefrenabile ripresa dei mercati finanziari. Dopo il mese record di aprile, maggio ha deluso le aspettative di numerosi short seller[1] che prevedevano una correzione al ribasso delle valutazioni. Le riaperture in tutti i paesi, dopo un prolungato periodo di lockdown, hanno generato una grande euforia sui mercati finanziari facendo proseguire la rincorsa ai livelli pre-coronavirus.

Per molto tempo abbiamo imparato a guardare agli utili come al principale value driver nel mercato azionario. Non era il rapporto price/earnings (P/E)[2] uno dei principali multipli per valutare i titoli? Ad oggi, nonostante la maggior parte delle società abbiano riportato utili ampiamente sotto i livelli forniti sia dalle guidance sia dalle previsioni degli analisti (eccetto quelle del settore tecnologico, comunicazioni e stay-at home[3] stocks), il mercato sta lentamente tornando ai valori pre-crisi. Il Nasdaq è tornato a pochissimi punti percentuali dai massimi storici.

 

Source: Yahoo Finance

Ad amplificare il paradosso di questa visione, quasi unidirezionalmente al rialzo, sono praticamente tutti i dati macroeconomici negativi. Le stime del Fondo Monetario Internazionale[4] prevedono il segno negativo sulle proiezioni del PIL in quasi tutti i paesi del mondo, fatte salve rare eccezioni quali Cina e India (rispettivamente +1.2% e +1.9% nel 2020) che a loro volta sono ampiamente lontane dal normale ritmo di crescita. Nell’area euro è previsto un calo del 7.5% nel 2020 con un rimbalzo del 4.7% nel 2021, e chissà quanto tempo impiegheremo per tornare ai livelli di PIL antecedenti il coronavirus.

 20202021
United States-5.94.7
Germany-7.04.7
France-7.25.2
Italy-9.14.5
Spain-8.04.8
Japan-5.24.3
United Kingdom-6.54.0
China1.29.2
India1.97.4
Source: IMF. Pil outlook in percent change.

A questo si aggiungono le stime sulla disoccupazione che, dati alla mano, negli Stati Uniti ha raggiunto il 14.7% ad aprile, più del triplo dal 4.4% di marzo[5]. Non dimentichiamoci però che circa il 70% dei consumi negli Stati Uniti sono dovuti alle famiglie statunitensi stesse. Chi consumerà negli Stati Uniti considerando che aumentano i disoccupati?

Le stime macroeconomiche sono affiancate alla totale aleatorietà del vaccino. Sebbene alcune (poche) sperimentazioni siano andate a buon fine, sembriamo essere ancora molto lontani dall’ottenere un vaccino efficace. Ad oggi, i vaccini più promettenti sono in fase di sperimentazione. Tuttavia, sembra quasi che, di recente, gli investitori si siano dimenticati le principali incertezze che questa crisi sanitaria ed economica ha causato: non ci sono cure efficaci, non sappiamo se, ed eventualmente quando, gli utili ritorneranno ai livelli pre-covid 19, non conosciamo le conseguenze delle riaperture o se il periodo autunnale possa portare ad una nuova ondata. E potrei continuare con tantissime altre incertezze.

Da dove viene quindi tutto questo ottimismo? La vera domanda è chiedersi se forse ‘there is no alternative’ market. Infatti, accanto a tutte queste incertezze, abbiamo delle certezze indiscutibili: le banche centrali continuano e continueranno a stampare incessantemente moneta garantendo stimoli illimitati (due esempi sono la Federal Reserve e la Bank of Japan). Le decisioni delle principali banche centrali di fornire una liquidità spropositata sul mercato hanno probabilmente favorito una ripresa nel breve periodo, ma bisognerà valutarne la sostenibilità. Inevitabilmente, tutti questi interventi hanno portato i rendimenti sul cash e sui bond a livelli così bassi da generare una volontà implicita negli investitori ad esporsi maggiormente sul mercato azionario, per ottenere un rischio-rendimento più soddisfacente. A questa si aggiunge la cosiddetta ‘fear of missing out’ (FOMO) da parte degli investitori, ovvero la paura di non salire sulla barca al momento del trend rialzista per sfruttare il rally[6], che a sua volta alimenta ulteriori rialzi. Il problema rimangono, però, i dati macroeconomici, i quali potrebbero portare ad un trend rialzista solo nel breve termine.

Altro fattore di estrema importanza sarà la possibile guerra fredda tra Stati Uniti e Cina che potrebbe ancor di più alimentare l’incertezza sui mercati. L’immediata reazione è stata naturalmente negativa. Contesti del genere aumentano il premio per il rischio e mettono a pericolo lo sviluppo globale. Ovviamente, un aumento del risk-premium[7] porta, nella maggioranza dei casi, ad una diminuzione del prezzo delle azioni. Si tenga a mente che parliamo delle due potenze maggiori in termini di PIL globale, e gravi ripercussioni potrebbero, con un effetto a catena, coinvolgere tutti i mercati.

Per quanto riguarda il mercato Europeo e in particolare l’Eurozona, la notizia principale riguarda la proposta del Recovery Fund della Commissione Europea che dovrebbe garantire 750 miliardi con un’emissione di titoli trentennali garantiti da tutti i Paesi, di cui una porzione sarà distribuita a fondo perduto e una porzione in forma di prestiti. Negoziati molto complicati si apriranno nei mesi successivi. Finalmente ci avviciniamo ad una condivisione del debito a livello europeo (eurobond). Il problema è che i fondi saranno erogati non prima del 2021. Di conseguenza gli strumenti disponibili dei paesi europei saranno, almeno fino alla fine del 2020 il Sure, il Mes e gli acquisti dei titoli governativi da parte della Banca Centrale Europea. Queste iniziative sono state prese con grande euforia sui mercati, soprattutto quello dei titoli di Stato il quale ha visto un restringimento degli spread[8].

Non possiamo pronosticare se il rally azionario durerà ancora a lungo dal momento che ci troviamo in un mercato veramente anomalo. In questo contesto il sentiment degli investitori sembra contare molto più dei fondamentali macroeconomici e microeconomici. Rimane però un concetto fondamentale dell’economia: la crescita, per essere sostenibile nel lungo termine, deve basarsi su strutture e fondamenti solidi e questi, ad oggi, sembrano essere molto labili. Nel caso estremo si rischia di creare una bolla che, se esplodesse, provocherebbe ulteriori conseguenze negative sul mercato.

Gianlorenzo Zeccolella


[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Vendita_allo_scoperto

[2] P/E (Price over earnings) è uno dei principali multipli utilizzati per valutare l’equity di una società. Se P/E=15x significa che il prezzo azionario è quindici volte le earnings per share

[3] Un esempio di stay at home stocks sono Netflix o Zoom

[4] https://www.imf.org/external/index.htm

[5] https://www.ilsole24ore.com/art/la-disoccupazione-usa-vola-147percento-mai-cosi-alta-grande-depressione-ADEShGP

[6] Un rally è un periodo in cui il prezzo di un asset vede una spinta al rialzo sostenuta. https://www.ig.com/it/glossario-trading/definizione-di-rally

[7] https://www.investopedia.com/terms/r/riskpremium.asp

[8] Lo spread indica la differenza di rendimento tra due tipi di titoli della stessa durata (solitamente 10 anni), dove uno è considerato il benchmark principale

Cosa significa il prezzo negativo del petrolio

Gli investitori dovrebbero iniziare ad abituarsi a distorsioni del mercato ogni volta che si fronteggia una crisi. In passato, prima della crisi finanziaria del 2008, avevamo imparato che i tassi di interesse non potessero essere negativi. Perché dovrei prestare denaro se in futuro riceverò un importo inferiore? La tremenda crisi di quel periodo ha modificato una delle leggi fondamentali dell’economia e, da allora in poi, gli investitori si sono gradualmente abituati all’idea di un tasso di interesse inferiore allo zero.

Oggi, la crisi del petrolio ha cambiato un altro concetto cardine dell’economia: il prezzo può non essere positivo. Chi è disposto a vendere un prodotto pagando i propri clienti? Il 20 aprile, abbiamo osservato un cambiamento storico: il prezzo dei futures[1] WTI (West Texas Intermediate) in scadenza a maggio è diventato negativo in serata, toccando il livello di $ -40,32 al barile di petrolio. Tuttavia, il problema deriva principalmente da una questione tecnica relativa alla dinamica dei contratti derivati[2] ​​(lo spiegheremo in seguito). Prima di entrare nei tecnicismi, è necessario delineare brevemente il contesto dei prezzi del petrolio e analizzare il contesto macroeconomico.

Fino all’esplosione del coronavirus, nel 2019 la produzione giornaliera di barili di petrolio ammontava a circa 80,6 mln bbl/day (leggi baril al giorno). Gli Stati Uniti sono stati i principali produttori con circa 15 mln bbl/day, seguiti da Arabia Saudita e Russia[3].

Con l’accordo OPEC +, esteso ad altri paesi, si è deciso di ridurre la produzione di petrolio di 9,7 mln bbl/day. Tale manovra, tuttavia, non è risultata sufficiente per fronteggiare lo shock globale della domanda, derivante da diversi fattori quali il calo dei voli di circa il 90%, la riduzione del traffico automobilistico, la produzione più lenta di prodotti chimici e così via. Effettivamente, la commodity più essenziale sta rapidamente perdendo valore poiché il prolungato eccesso di offerta supera i limiti di capacità dei serbatoi, dei gasdotti e dei supertanker attualmente disponibili in tutto il mondo. La conseguenza è stata che il prezzo del petrolio negli Stati Uniti è crollato e per la prima volta abbiamo visto un prezzo inferiore allo zero. Per i produttori risulta meno oneroso pagare qualcuno e disfarsi dei barili di petrolio, piuttosto che bloccare la produzione o trovare un luogo dove immagazzinare temporaneamente la scorta eccessiva. Molti di loro sono preoccupati per la chiusura dei pozzi in quanto l’inattività potrebbe creare molti danni, rendendo il business non profittevole in futuro. Un altro dettaglio cruciale è che il petrolio viene negoziato con contratti futures e consegna fisica[4]. L’acquirente è obbligato a ricevere il del sottostante in una posizione specifica alla scadenza (ad esempio, per il WTI, la posizione è Cushing, Oklahoma). Tuttavia, nel mercato dei futures, ci sono traders che acquistano contratti solo a fini speculativi (scommettendo sulle oscillazioni dei prezzi), ma non hanno assolutamente alcuna volontà di ricevere fisicamente il prodotto sottostante. Nel caso estremo di una drastica riduzione del prezzo, possono decidere di cercare un posto dove immagazzinare i barili.

Il problema è stato che la pandemia ha creato un eccesso di offerta che ha reso la capacità di storage molto limitata e costosa. Pertanto, la maggior parte dei traders ha deciso di vendere in perdita. Questo è fondamentalmente il motivo per cui per la prima volta abbiamo visto un prezzo negativo sul mercato finanziario. Va sottolineato che tale prezzo era collegato ai contratti futures in scadenza a maggio e che quelli in scadenza a giugno non hanno avuto lo stesso comportamento. Non sorprendiamoci dunque se nel prossimo futuro ci troveremo nuovamente davanti ad una simile situazione. Nonostante ciò, l’andamento ha influito anche sui contratti in scadenza a giugno, i quali hanno perso parte del loro valore, e su altri tipi di petrolio come ad esempio il Brent. Tuttavia, essendo il Brent un greggio estratto in mare, i commercianti sono stati in grado di spedirlo in tutto il mondo, in aree con maggiore domanda. Nel peggiore dei casi, le aziende possono noleggiare alcune petroliere e le riempiono in attesa di periodi con maggiore domanda. Viceversa, per il WTI questa soluzione è più costosa poiché la materia sottostante al contratto non viene estratta vicino al mare.

Abbiamo citato i due benchmark ampiamente utilizzati nel mercato del petrolio, ovvero Brent e WTI. La differenza principale tra questi due tipi di greggio riguarda la composizione. Entrambi sono classificati come “sweet light crudes”, un termine legato al petrolio greggio contenente meno dell’1% di zolfo e che è meno denso di altri tipi di petrolio. Il WTI ha un contenuto di solfuro dello 0,24% mentre il Brent dello 0,37%[5]. Inoltre, rispettivamente, contano 39,6 e 38 di API gravity[6]. Chiaramente, un’altra differenza riguarda la posizione di estrazione. Il WTI viene estratto da giacimenti petroliferi negli Stati Uniti, in Texas, Louisiana e North Dakota e viene quindi trasportato via gasdotto a Cushing, in Oklahoma, per la consegna. Il Brent crude viene estratto dai giacimenti petroliferi nel Mare del Nord.

* Il grafico tiene conto del roll over dei contratti futures (la scadenza di una posizione viene estesa in avanti per la stessa attività sottostante al prezzo di mercato corrente). Prezzi mensili.

 

Le diverse proprietà e aree geografiche spiegano il differenziale di prezzo tra Brent e WTI, tecnicamente definito come quality spread. Eppure, come possiamo vedere dal grafico, i prezzi sono perfettamente correlati[7] e la mancanza di domanda influenza tutti i tipi di petrolio. Le conseguenze potrebbero avere un impatto sul mercato multimiliardario circostante.

I produttori di petrolio stanno subendo ingenti perdite (l’ultima società a riportare i risultati è stata Eni, con una perdita di 2,9 miliardi di euro[8]) che mettono a dura prova il rischio di liquidità e solvibilità. Il crollo dei prezzi ha messo in luce i punti deboli delle società più indebitate negli Stati Uniti e non si può escludere un potenziale effetto di ricaduta su altri settori. Attualmente, gran parte delle obbligazioni ad alto rendimento che si trovano nell’area distressed[9], appartengono al settore Oil & Gas. Le società stanno cercando di ridurre le spese, tagliando ad esempio dividendi e nuovi investimenti, ma, se la crisi si protrarrà per un periodo più lungo, alcune compagnie petrolifere faranno fatica a sopravvivere. Soprattutto in un mercato dove l’offerta supera largamente la domanda. Le agenzie di rating possono innescare un effetto a catena declassando queste società. In futuro, se molte imprese saranno classificate nell’area non investment grade, la nuova emissione di debito potrebbe essere costosa e complicata in un periodo di restrizioni creditizie.

Sfortunatamente, il primo modo per rimanere competitivi su un mercato con domanda compressa è licenziare i lavoratori, così da ridurre velocemente i costi e sopravvivere in un mercato molto turbolento. Il prezzo del petrolio è anche il traino principale per mantenere l’inflazione in una zona positiva. Con un prezzo così basso, potremmo aspettarci una possibile deflazione o un’inflazione molto bassa. Il Wall Street Journal ha analizzato i possibili effetti di ricaduta della crisi petrolifera, evidenziando che a Houston il settore immobiliare sta già soffrendo a causa del prezzo del petrolio. Inoltre, alcune banche, principalmente quelle vicine all’area di estrazione, hanno prestato una parte importante del loro capitale alle società Oil & Gas, le quali sono ora molto vicine al default (ci sono più di un migliaio di produttori e la maggior parte sono relativamente piccoli). I Credit Default Swaps[10], una sorta di assicurazione che gli investitori cercano di ottenere contro il fallimento di una società, sulle Oil & Gas companies hanno visto un allargamento esponenziale dello spread, sintomo molto negativo in termini di stabilità finanziaria. Allo stesso modo, anche il cosiddetto bid-ask spread sulle obbligazioni societarie, un indicatore della liquidità del mercato, si è ampliato. Il trading è diventato più difficile da quando gli strumenti generalmente liquidi si sono trasformati in strumenti illiquidi.

Le condizioni per avere un reale effetto domino ci sono tutte: le persone non devono sottovalutare la crisi finanziaria che il prezzo del petrolio potrebbe innescare. Il fallimento di alcune aziende in questo settore potrebbe generare problemi per altri settori. Il rischio di default è imminente e i produttori di petrolio, insieme ai governi, devono adottare misure unilaterali per sostenere i prezzi perché, allo stato attuale, è a rischio l’intera economia. Possibili effetti? contrazione del credito, disoccupazione, insolvenze, deflazione e infine recessione.

Gianlorenzo Zeccolella


[1] Accordo per scambiare il sottostante a un prezzo e un tempo prestabiliti

[2] https://www.investopedia.com/ask/answers/12/derivative.asp

[3] https://www.eia.gov

[4] Differisce dal cash settlement dove è solamente trasferita la net cash position https://www.wallstreetmojo.com/cash-settlement-vs-physical-settlement/

[5] Più basso è il contenuto di zolfo più “dolce” è il petrolio e più facile sarà la raffinatura

[6] Il grado è un’unità di misura utilizzata per misurare il peso specifico e, per il petrolio, viene valutato su una scala da 10 a 70, dove più alto è il numero, meno denso è il petrolio

[7] https://www.investopedia.com/terms/p/positive-correlation.asp

[8] https://www.eni.com/en-IT/investors.html

[9] Financial distress è una situazione nella quale una società non riesce ad adempiere alle proprie obbligazioni finanziarie, potrebbe essere incapace di ripagare i propri debiti o una parte di essi

[10] https://www.investopedia.com/terms/c/creditdefaultswap.asp

I mercati finanziari hanno già scontato gli effetti del coronavirus?

 

Nell’attuale contesto di prolungata incertezza, le prospettive di crescita economica globale sono cambiate in modo significativo a causa degli effetti del COVID-19. L’intera economia sta affrontando una serie di sfide macroeconomiche e strutturali fondamentali, che stanno portando a un notevole rallentamento della crescita. La crisi sanitaria è rapidamente diventata una crisi economica e si sta gradualmente trasformando in una crisi finanziaria.

Il recente crollo del mercato azionario è probabilmente solo l’inizio di una serie di sfortunati eventi. La parziale ripresa tentata dai mercati nelle ultime settimane è solo una piccola deviazione rispetto al percorso negativo intrapreso dall’inizio della crisi. L’intraday volatility, l’oscillazione dei prezzi al rialzo e al ribasso durante la sessione di negoziazione, può rappresentare una prova dell’incertezza degli investitori in merito alle performance finanziarie future di un asset o dell’intero mercato finanziario. Recentemente questo indicatore ha raggiunto livelli estremi. Un’ulteriore prova delle preoccupazioni degli investitori è data dall’indice di volatilità (VIX[1]), misura tipica del sentiment del mercato. Il VIX ha toccato l’incredibile limite di 82 il 16 marzo, a testimonianza della grandissima incertezza generata sui mercati dalla pandemia basti pensare che negli ultimi 5 anni il suo valore più alto registrato di era stato di 30 e il valore medio per lo stesso periodo è stato di 15[2]. Osservando la serie storica, notiamo che il valore raggiunto è stato persino superiore alla grave crisi del 2008.

Serie storica dell’indice VIX dal 2007 ad aprile 2020.

Innegabilmente, il primo trimestre del 2020 è stato uno dei peggiori della storia e, per gravità e velocità, può essere paragonato solo a quello della crisi finanziaria del 1929. Tuttavia, abbiamo elementi per ritenere che gli effetti del coronavirus non siano ancora completamente integrati nei prezzi delle azioni. Ci sono due fattori cruciali da considerare.

In primo luogo, prima del coronavirus, gli analisti si aspettavano una correzione del mercato. Era stato stimato che i mercati finanziari fossero fortemente sopravvalutati (il valore di mercato era estremamente superiore al valore fondamentale). Ad esempio, il valore intrinseco dell’S&P 500 era stato valutato di circa il 18% inferiore rispetto al suo prezzo di mercato e, al 7 di Aprile, l’indice americano aveva lasciato circa il 20% sul terreno dall’inizio della crisi.

Andamento dell’indice S&P500 da gennaio 2020 ad Aprile 2020.

Il secondo fattore riguarda la guerra dei prezzi del petrolio tra Emirati Arabi e Russia, che ha notevolmente contribuito a un ulteriore calo del mercato azionario. Per far fronte alla drastica riduzione del consumo di petrolio (domanda) dovuta al lockdown globale, i produttori di petrolio avrebbero dovuto tagliare la propria produzione (offerta) per sostenere il prezzo. Sfortunatamente, a causa di problemi politici, i due paesi hanno fatto il contrario, iniziando a produrre più barili al giorno, generando turbolenze e aumentando l’incertezza. L’inevitabile conseguenza è stata un calo drastico del prezzo del petrolio, il quale si è più che dimezzato in poche settimane. Giovedì 02 Aprile, il tweet di Trump sull’accordo tra Emirati Arabi e Russia ha condotto la ripresa dei prezzi del petrolio e il prezzo dei future[3] ha guadagnato circa il 30% in pochi giorni. In ogni caso, l’incontro cruciale è stato l’OPEC+ dove, eccezionalmente, sono stati invitati Texas e Canada ed è stato firmato un accordo per tagliare la produzione di petrolio di 10 milioni di barili al giorno. Nonostante ciò, secondo Rystad Energy[4] (una società indipendente di ricerca energetica), le spese di capitale globali (CapEx) – misura dell’importo investito da un’azienda nel rinnovamento o nel mantenimento di proprietà, edifici, impianti industriali, tecnologie o attrezzature – per esplorazione e le aziende di produzione dovrebbero scendere fino a 100 miliardi di dollari quest’anno, circa il 17% in meno rispetto ai livelli del 2019. Nel 2021 il calo potrebbe essere soggetto a un’ulteriore intensificazione poiché molte società (ad esempio Eni) hanno già annunciato che la riduzione del CapEx aumenterà fino al 30-35%[5]. La crisi petrolifera ha già causato alcuni problemi: McDermott, una delle principali aziende del settore, ha annunciato di aver presentato istanza di fallimento (chapter 11[6]), annullando tutte le azioni di common stock[7].

Dopo queste considerazioni, dovremmo chiederci se il valore di mercato offra attualmente un prezzo scontato. Ad oggi, la risposta è molto incerta, ma come abbiamo spiegato, è molto probabile che gli effetti del coronavirus non siano stati scontati nei prezzi delle azioni. Inoltre, i risultati del primo trimestre 2020 non sono stati ancora resi noti. Insieme ai probabili esiti negativi, le prospettive per la maggior parte delle aziende e i recenti downgrade delle agenzie di rating, rendono ragionevole credere che il mercato sia ancora costoso, probabilmente anche più di prima dell’esplosione del coronavirus.

Il mercato azionario non è l’unico a soffrire la crisi. Lo shock provocato dal coronavirus ha generato ciò che il Financial Times ha definito come “i semi della prossima crisi del debito”. Secondo l’Institute of International Finance[8], il rapporto tra il debito totale e il Prodotto interno globale ha raggiunto il 322% nel terzo trimestre del 2019. Negli ultimi dieci anni, le aziende si sono adagiate su prestiti a basso costo, ma le stime delle agenzie di rating dimostrano come una crisi sanitaria globale possa spingere verso una rivalutazione immediata del rischio di credito, sollevando dubbi sulla qualità delle imprese: stabilità e capacità di generare flussi di cassa a breve e medio termine. Inoltre, nel mercato del debito, la guerra sui prezzi del petrolio ha portato la maggior parte delle obbligazioni delle compagnie petrolifere ed energetiche nella distressed area[9].

Nonostante ciò, finanziariamente parlando, non tutti i mali vengono per nuocere. In effetti, questo creerà molte opportunità di fusioni e acquisizioni. Prezzi azionari scontati e una peggiore struttura del debito possono creare occasioni per società con fondamentali solidi. Le società solide con una forte capacità di generare cassa possono sfruttare l’ambiente favorevole per indirizzare le imprese con prospettive positive a lungo termine ma con attuali problemi di solvibilità e liquidità.

Infine, la comprensione dei movimenti dei prezzi dell’oro durante il periodo tumultuoso è di grande importanza. L’oro è definito come un bene rifugio o un’attività difensiva in quanto dovrebbe avere prestazioni migliori durante i periodi di recessione e limitare la pressione al ribasso. Nonostante ciò, con una prima analisi sembra che il metallo prezioso abbia deluso le aspettative. Il recente sell-off ha caratterizzato negativamente la performance dell’oro che è stata oggetto di un risultato contraddittorio. Tuttavia, le variazioni del prezzo dell’oro sembrano essere coerenti con la storia, in periodi di estrema volatilità. È molto comune che i gestori di fondi cerchino liquidità quando i mercati sono molto volatili al fine di soddisfare le richieste di margine delle attività più rischiose. Durante la crisi finanziaria del 2008, il prezzo dell’oro è diminuito di quasi il 20% prima di risalire a un valore del 170% superiore nel 2011[10]. Inizialmente si è ridotto a causa delle restrizioni di liquidità, ma, successivamente, dopo l’immissione di liquidità da parte delle banche centrali nei sistemi finanziari, il prezzo è salito nel modo tradizionale. Possiamo aspettarci un comportamento simile anche nei prossimi mesi.

Prezzo dell’oro dal 2007

Al di là di ogni dubbio, il coronavirus ha evidenziato come le nostre vite sono interconnesse. La pandemia ha causato un blocco globale e metà della popolazione mondiale è in quarantena. Le persone stanno cambiando il loro stile di vita, cambiando il loro modo di lavorare, socializzare, giocare, parlare e imparare. La crisi sanitaria influenzerà inevitabilmente intere industrie dal punto di vista economico e finanziario, colpendo permanentemente il mondo. Alcuni settori, come il turismo, l’automobilistico, le compagnie aeree, risentiranno maggiormente dell’instabilità globale, affrontando la sfida più ardua. Nonostante ciò, al giorno d’oggi, non siamo ancora pienamente consapevoli degli effetti che il coronavirus porterà sul mercato ma si può prevedere un sostanziale effetto sia sulla domanda che sull’offerta nei prossimi mesi. Pertanto, è ragionevole prevedere un ulteriore abbassamento del prezzo delle azioni e un andamento negativo del mercato in futuro.

scritto da Gianlorenzo Zeccolella


[1] Il VIX (Chicago Board Options Exchange’s Volatility Index) è un indice che rappresenta la volatilità implicita nel prezzo di mercato delle opzioni basate sul S&P500.

[2] https://www.investing.com/indices/volatility-s-p-500

[3] I future sono strumenti finanziari derivati, che permettono di effettuare l’acquisto o la vendita di un’azione – o un altro strumento finanziario – stabilendo il prezzo nella data di accordo ed effettuando lo scambio in una data futura. Il valore dell’operazione si può valutare comparando il prezzo per il quale ci si era accordati alla data iniziale e il valore di mercato dello strumento finanziario alla data di scambio. I contratti future sono lo strumento principale commerciato per il petrolio.

[4] https://www.rystadenergy.com

[5]https://www.eni.com/en-IT/media/press-release/2020/03/eni-covid-19-update-2020-2021-business-plan-revision.html

[6] Chapter 11 è un tipo di bancarotta che prevede la riorganizzazione del debito, degli assets e delle attività del debitore secondo il diritto fallimentare statunitense. https://www.investopedia.com/terms/c/chapter11.asp

[7] https://www.mcdermott.com/Restructuring

[8] https://www.iif.com

[9] Financial distress è una situazione nella quale la società non riesce ad adempiere le proprie obbligazioni finanziarie, potrebbe essere incapace di ripagare i propri debiti o una parte di essi

[10] https://www.investing.com/commodities/gold


 

 

Tutte le strade portano a Roma

Un viaggio nell’Europa dal 1957 al 2017: i 60 anni dell’Unione ci riportano ancora una volta a Roma.
“Tutte le strade portano a Roma”

Dal periodo monarchico alla Roma Imperiale il Foro Romano è stato il cuore della città, un punto di riferimento per tutta Europa.

In pochi metri si ergevano maestosi templi, basiliche, il Senato, le residenze degli imperatori.

Strade si diramavano in ogni dove, arrivavano genti da paesi limitrofi e remoti, dalle verdi terre del Sannio fin sotto l’Arco di Costantino, dalla Spagna fino al tempio di Giove, dalla Palestina all’imponente basilica di Massenzio.
Dietro alle dolci alture del Palatino sorge il sole, illumina l’Urbe e sullo sfondo si scorge il Colosseo.

(more…)

Headline

Never Miss A Story

Get our Weekly recap with the latest news, articles and resources.
Cookie policy
We use our own and third party cookies to allow us to understand how the site is used and to support our marketing campaigns.

Hot daily news right into your inbox.