Quello delle migrazioni é uno dei grandi temi irrisolti dell’UE. L’approccio dell’Unione Europea non é sempre coerente con i suoi principi.
Il 20 giugno si è celebrata la Giornata Mondiale del Rifugiato, originariamente indetta dalle Nazioni Unite per commemorare l’approvazione della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati. Tra notizie di attualità e discorsi ufficiali tenuti da politici per l’occasione, mi sono casualmente imbattuta nella poesia “Nota di Geografia” di Erri De Luca, che non conoscevo ma che mi ha colpita immediatamente, soprattutto il passaggio
“toccano l’Italia meno vite di quante salirono a bordo (…) eppure Italia è una parola aperta, piena d’aria”.
Poche righe ma così intense e cariche di significato da indurmi inconsciamente ad una riflessione dolce-amara sul concetto stesso di accoglienza. Viviamo in un tempo di migrazioni, laddove ogni migrazione costituisce una storia a sè, perché originata da guerre e persecuzioni, crescenti disuguaglianze sociali, dalla ricerca di un’occupazione, dai ricongiungimenti familiari, da motivi di studio e ricerca. L’uomo, per dirla con le parole dell’antropologo Giulio Angioni, è un “animale migratorio” e, in quanto tale, la propensione allo spostamento costituisce una delle principali costanti dell’umanità nei millenni, dai grandi imperi del passato alla moderna globalizzazione; è grazie al viaggio che culture geograficamente distanti hanno potuto incontrarsi, conoscersi ed incrociarsi nella loro incredibile varietà.[1] Dalla metà dell’ottocento, passando per tutto il novecento, i vissuti migratori si sono perennemente modificati e trasformati, tra progetti di breve e lungo periodo, individui singoli ed intere famiglie. Al contempo, anche le migrazioni di rifugiati e richiedenti asilo hanno assunto nuove peculiarità rispetto al periodo del secondo dopoguerra: a causa dei conflitti etnici nel continente africano, le primavere arabe del Mediterraneo, la guerra in Siria, interi popoli sono stati tragicamente costretti alla fuga, alla ricerca di una nuova casa, di salvezza, migliori condizioni di vita.[2]

Sebbene protezione e accoglienza verso lo straniero parrebbero tradizione insita, non solo nel nostro essere umani, ma nella nostra stessa civiltà europea e mediterranea, la triste percezione, perennemente confermata dalle notizie di cronaca, è che l’Europa stia progressivamente perdendo memoria del proprio passato di grandi migrazioni oltreoceano.[3] Molte misure adottate dai paesi dell’Unione Europea negli ultimi anni sono state concepite seguendo la scia di informazioni tendenziose che presentano il migrante come pericolo, potenziale criminale, persona da respingere; misure favorite sia da debolezze legislative, sia da accordi internazionali che concedono silenziosamente la gestione dei flussi migratori a dittature come la Turchia o a regimi militari come la Libia. La “crisi migratoria” – come è stata definita – che ha interessato il continente europeo negli ultimi anni, ha messo in evidenza le difficoltà e contraddizioni della stessa Unione nell’adozione di misure univoche tra gli stati membri. Soprattutto, secondo me, ci porta a riflettere e riconsiderare il concetto stesso di “frontiera”, inteso non più unicamente come confine territoriale ma, in senso più ampio, come netta separazione tra “noi” e “loro”, come limite verso la costruzione di società realmente inclusive. Esiste un equilibrio tra la solidarietà umana e l’obbligo che gli stati hanno di proteggere le proprie frontiere? Dinanzi alle immani sofferenze e alla fatica di chi intraprende un percorso migratorio del genere, esiste un dovere per gli stati di accogliere?[4]
Per un verso, è indubbio considerare la Giornata Mondiale del Rifugiato una conquista, risultato della capacità e della forza collettiva di tutte le persone costrette ad abbandonare la propria terra. Un atto, questo, che richiede un coraggio straordinario ed immani sacrifici, la capacità di affrontare il proprio destino è una caratteristica dei più coraggiosi. Il merito della sopracitata Convenzione di Ginevra, basata sul principio del non-refoulement,[5] è stato proprio la creazione di un approccio internazionale comune per un istituto precedentemente regolato a livello statale. Seguendo questa scia, vi era forte aspettativa che anche la nascente UE svolgesse un ruolo proattivo in materia di accoglienza e diritto d’asilo: l’idea che uno spazio libero e senza frontiere interne si avvalesse di un approccio unico in materia ha, nel lungo periodo, portato all’introduzione di standard comuni per ogni ambito della procedura di richiesta, valutazione ed emissione del diritto di asilo, oltre che di accoglienza, integrazione, trattamento e gestione dei migranti per motivi politici. Al momento dell’attribuzione all’Unione della competenza in tema di asilo politico, gli Stati membri risultavano però già vincolati da obblighi derivanti dal diritto internazionale e presentavano notevoli divergenze in tema sul piano nazionale. Se per un verso, dunque, il diritto europeo ha consentito la codificazione di un corpus normativo già operante, ha contemporaneamente acuito le diversità interne ai singoli Paesi. In termini normativi, l’UE ha compiuto progressi evidenti: ispirandosi al principio chiave della leale cooperazione, ha cercato di fornire gli Stati membri un insieme comune di strumenti per far fronte alle proprie necessità quotidiane ed operative (introduzione di una procedura unica di esame delle domande, database comune di informazioni su tutti i paesi di provenienza dei richiedenti asilo, creazione di una modalità unica comune per affrontare specifici problemi di accoglienza)[6].

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Tuttavia, non è il contesto normativo quello su cui voglio concentrarmi in questa sede; ritengo, infatti, che spesso non offra una chiave di lettura esaustiva in tema di rifugiati e asilo politico. Guardando oltre trattati e dichiarazioni internazionali, ci si rende conto di come la risposta europea si sia spesso dimostrata inadeguata, reagendo all’aumento dei flussi migratori con una dialettica principalmente legata ai concetti di paura e sicurezza. Le nozioni di asilo o rifugiato si sono allontanate sempre più dagli ideali di solidarietà e accoglienza, avvicinandosi, al contrario, a quello della tutela personale. L’approccio prevalente, cioè quello di limitare gli arrivi, dimostra come un ambito che dovrebbe essere dominato solo da scelte compiute per motivi umanitari ed etici sia diventato appannaggio della politica e di pratiche migratorie sbagliate che violano perennemente i diritti umani portando alla morte di migliaia di persone. Nel tentativo di regolare e ridurre la presenza di stranieri nel proprio territorio, i singoli stati si sono orientati sempre più verso una riduzione degli standard legislativi europei a favore di proprie leggi nazionali, spesso ben più restrittive[7] – le procedure nazionali, infatti, variano anche a seconda dei paesi di provenienza dei rifugiati e dal rapporto che hanno con il territorio ospitante (la Svezia, ad esempio, accoglie l’80% dei rifugiati iracheni mentre la Gran Bretagna, ai tempi dell’Unione, solo il 13%)[8]. L’incapacità di definire misure coerenti e coordinate, ha indotto i governi nazionali a rilanciare la cooperazione con i Paesi di origine e transito per il contenimento dei flussi: l’apripista di questa nuova strategia è stata la Turchia[9], divenuto il Paese chiave per contenere l’esodo dei cittadini siriani verso le isole greche. La riduzione significativa degli arrivi lo ha reso modello di riferimento per le relazioni con i Paesi di origine e di transito della rotta del Mediterraneo centrale, in particolare con il Niger e con la Libia.[10] Anche in merito al lavoro delle ONG, l’approccio prevalente sembra essere quello di limitare il loro operato piuttosto che considerarle una risorsa cui fare riferimento. Sebbene nel settembre 2020 la Commissione Europea avesse chiesto agli Stati membri maggiore coordinamento e supporto in tema, le attività di soccorso e ricerca hanno continuato ad essere ostacolate da procedimenti amministrativi o penali, da attività di ostruzionismo tali da impedire le operazioni di soccorso; non sono state dispiegate navi aggiuntive o risorse specificamente destinate ad attività di soccorso lungo le principali rotte migratorie. La diffusione della pandemia e le conseguenti misure restrittive hanno ulteriormente bloccato, se non annullato, il dispiegamento di navi.[11] La situazione generale rimane di grande allarme oltre che estremamente condannabile: solo nel 2020, sono state registrate oltre 2600 morti sulla rotta del Mediterraneo centrale: il progressivo ritiro delle navi dal Mediterraneo, i crescenti ostacoli alle attività di soccorso delle ONG, le decisioni di ritardare lo sbarco, la mancata assegnazione di porti sicuri hanno chiaramente messo in discussione l’integrità ed efficacia del sistema di soccorso.

Stiamo assistendo, per citare Don Luigi Ciotti, ad una vera e propria emorragia di umanità, azioni deplorevoli con cui l’Europa – culla dei diritti umani e della democrazia – dovrà un giorno fare i conti.[12] L’imperativo europeo, nell’assoluto immediato, deve essere quello di proteggere le persone in stato di necessità, avvalendosi di un corpus di misure e politiche coerenti come utile strumento per assolvere ai propri obblighi internazionali e doveri etici. Solo lavorando nel rispetto dei principi di solidarietà e responsabilità condivisa, l’Unione potrà continuare a rappresentare un solido rifugio per chi teme le persecuzioni ed una meta attraente per talento e intraprendenza di lavoratori, studenti e ricercatori.[13] Affinchè l’esercizio di questa responsabilità internazionale sia effettivo, è anzitutto essenziale modificare la dialettica attraverso cui leggiamo il mondo: l’immigrato non è il nemico, bensì la vittima. Se è vero che le migrazioni sono sempre esistite nella storia umana, è anche vero che i picchi che si sono verificati negli ultimi anni sono stati responsabilità di un sistema politico ed economico che ha generato laceranti disuguaglianze, sfruttamento di intere regioni del pianeta, guerre per l’appropriazione esclusiva di materie prime, costringendo, in conseguenza, milioni di persone alla fuga. Ciò che deve essere contenuto è la logica del profitto tacitamente sottesa ad un sistema economico e politico profondamente ingiusto. Le migrazioni forzate indotte da deterioramento ambientale, estrazione di risorse locali, effetti devastanti del riscaldamento globale, costituiscono forme evidenti di violazioni dei diritti umani e centralizzazione del potere. Aspetti, questi, non solo strettamente correlati tra loro ma promotori di un modello di sviluppo che infrange e viola pericolosamente i limiti ecologici del pianeta oltre che quelli umani e di giustizia sociale.[14] Si consideri, ad esempio, il fenomeno tristemente noto come water grabbing, attraverso cui potenti attori economici e politici controllano o deviano a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni la cui sussistenza si basa proprio su quegli stessi ecosistemi depredati; attualmente, 1 miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile nel mondo, mentre il 70% delle terre emerse è oggi a rischio desertificazione. Ugualmente importante è l’impatto dell’industria agroalimentare in termini di sfruttamento di risorse idriche e sottrazione di terreni a danno delle piccole coltivazioni. I conflitti per risorse naturali e minerali preziosi in Repubblica Centro Africana, Repubblica Democratica del Congo o per il petrolio in Nigeria e Sud Sudan sono responsabili delle più consistenti ondate migratorie nella regione.[15]
A fare le spese di questi rapporti di potere subalterni e dei conseguenti danni arrecati all’ecosistema, sono chiaramente le popolazioni più povere, la cui sopravvivenza, più strettamente connessa ai servizi gratuiti della natura, risulta maggiormente esposta a vulnerabilità, privazioni e disuguaglianza. Questa logica mostra lucidamente quanto le principali crisi strutturali dell’epoca moderna, migrazione in prima linea, siano prodotto storico di rapporti di produzione, consumo e potere altamente iniqui e scorretti; dinamiche a cui gli stati reagiscono avvalendosi di politiche interpretabili principalmente come risposta a posteriori e non preventiva, che facilitano solo una guerra inumana contro chi fugge da guerre o condizioni di vita inaccettabili. Muri, fili spinati, le frontiere fortificate non solo sono estremamente disumane, ma soprattutto inutili: ciò che è opportuno fare è pensare e analizzare le migrazioni in un’ottica globale, riducendo realmente disuguaglianze ed ingiustizie, squilibri sociali e climatici, fare in modo che ogni persona, ad ogni latitudine e parte del globo, possa vivere una vita libera e dignitosa.
Riferimenti
[1] https://www.iltascabile.com/societa/viaggio-migrante/
[2] https://legale.savethechildren.it/diritti-oltre-frontiera-riflessioni-tema-migrazioni-accoglienza-integrazione-stati-nazionali-unione-europea/
[3] https://rm.coe.int/una-richiesta-di-aiuto-per-i-diritti-umani-il-crescente-divario-nella-/1680a1dd0f
[4] https://legale.savethechildren.it/diritti-oltre-frontiera-riflessioni-tema-migrazioni-accoglienza-integrazione-stati-nazionali-unione-europea/
[5] Principio del “non respingimento”: ai sensi dell’art.33, ad un rifugiato non può essere impedito l’ingresso sul territorio né può esso essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate
[6] https://www.assemblea.emr.it/europedirect/pace-e-diritti/archivio/i-diritti-umani-e-leuropa/2008/diritto-dasilo-come-funziona-nellue
[7] Si consideri il pacchetto di provvedimenti “Asylpaket” introdotto in Germania nel 2015 e responsabile di un peggioramento della condizione dei richiedenti asilo a livello nazionale: paesi come Albania, Montenegro e Kosovo sono stati inclusi nella lista dei “paesi sicuri”, con conseguente impossibilità di richiedere protezione internazionale per chi ne provenisse; sono state introdotte limitazioni ai trasferimenti monetari diretti a richiedenti asilo ed ulteriormente ridotti gli spazi destinati all’accoglienza. Ancora, nel 2019, anche la Francia ha esercitato una stretta importante sull’assistenza sanitaria offerta a rifugiati e richiedenti asilo, imponendo restrizioni ulteriori sul rinnovo visti e lo sgombero di campi migranti a Parigi.
[8] Ibid.
[9] La Turchia si è impegnata a garantire accoglienza e protezione a circa tre milioni di cittadini siriani, in cambio di ingenti finanziamenti da parte dell’UE degli Stati membri e dello sblocco dei negoziati sull’accordo per la liberalizzazione dei visti a favore dei cittadini turchi.
[10] Secondo i dati dell’OIM (organizzazione internazionale per le migrazioni), nel periodo 2019-2020 sono avvenuti più di 20.000 rimpatri in Libia nonostante l’evidenza innegabile di violazioni di diritti umani e assenza di garanzie in tema e trasparenza e responsabilità
[11] http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/AT029.pdf
[12] https://www.libera.it/schede-666-immigrati_e_accoglienza_non_e_questione_di_sicurezza_o_di_ordine_pubblico
[13]https://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/I-presupposti-per-la-creazione-del-Sistema-Comune-Europeo-di-Asilo/237#:~:text=Sebbene%20i%20trattati%20sull’Unione,28%2D38).
[14]https://www.canaleenergia.com/rubriche/scenari-dati-di-mercato-indagini-del-settoredossier-e-report/nellera-del-capitalocene-le-migrazioni-sono-frutto-del-cambiamento-climatico-di-origine-antropica/
[15] Ibid.