L’UE ha bisogno di una reazione economica congiunta

featured image “CC-BY-4.0: © European Union 2019 – Source: EP”

La pandemia del covid-19 ha colpito violentemente l’Europa. Il nuovo coronavirus, che ha infettato l’essere umano per la prima volta nella regione cinese dell’Hubei, sta cambiando la vita di tutti noi e stravolgendo il quadro politico ed economico globale. La risposta dei Paesi europei nella fase iniziale dell’emergenza è stata poco coordinata e, nella maggior parte dei casi, tardiva. L’impatto del virus è stato particolarmente severo nelle regioni più economicamente sviluppate: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto in Italia; in Spagna, specialmente nella regione di Madrid e in Catalogna; in Francia nell’Ile de France, regione di Parigi; in Germania maggiormente in Baviera, Nord Reno – Westfalia e Baden Württemberg, in Svezia nella contea di Stoccolma e in Belgio nella regione delle Fiandre. La forte integrazione tra le economie dei vari Paesi europei è stata anche, inevitabilmente, un eccezionale mezzo di diffusione del virus e rischia di esserlo ancor di più in un futuro prossimo, se mancherà un coordinamento a livello europeo per organizzare la riapertura.

(mappa interattiva sulla diffusione del covid)

Le misure restrittive imposte nei Paesi più colpiti, Italia e Spagna, sono molto stringenti, poiché permettono di continuare a svolgere soltanto attività produttive essenziali e strategiche per la gestione dell’emergenza sanitaria. Invece nella maggior parte dei Paesi UE si è optato per una chiusura delle attività commerciali a contatto con il pubblico, senza chiudere attività produttive[1].  Questi provvedimenti, seppur necessari, tuttavia rischiano di affossare l’economia europea.
L’impatto della crisi economica sarà diverso Paese per Paese, dipenderà dalla severità delle misure restrittive, dai danni diretti e indiretti della pandemia e soprattutto dalla capacità finanziaria dei singoli Stati di supportare la propria economia con la liquidità necessaria e con interventi rapidi e precisi.

La necessità e le criticità di finanziare la spesa pubblica con il debito

Le principali fonti di finanziamento dello Stato sono la tassazione e l’emissione di titoli di debito sul mercato. Nel mezzo di una pandemia, con imprese in ginocchio e la necessità di mantenere in vita il sistema produttivo ed economico, non è auspicabile un aumento a breve della tassazione. È inevitabile aumentare il debito pubblico per contenere l’impatto che una annunciata recessione economica avrà sulla vita dei cittadini. Gli Stati, quando richiedono un prestito sul mercato per finanziare la propria spesa emettono titoli di debito, chiamati bond o titoli di Stato. Come ogni prestito, anche i titoli di Stato presentano il rischio che il loro valore diminuisca o che, in situazioni critiche, il debitore, lo Stato, non riesca a rimborsare interamente il capitale.
In linea generale, più gli investitori – banche, istituzioni finanziarie, fondi pensione e risparmiatori – riterranno probabile che il prestito non sia ripagato, più richiederanno un alto rendimento per il rischio che stanno correndo. Allo stesso tempo, più sarà alto il rischio percepito dagli investitori più sarà costoso per lo Stato indebitarsi. Gli eventi politici, economici e l’ammontare di debito emesso possono avere un impatto sulle finanze dello Stato. Inoltre, avranno anche un effetto sulle aspettative degli investitori e sul rendimento dei titoli di Stato. Spesso si parla di spread tra i titoli tedeschi e i titoli italiani decennali per valutare l’aumento del rischio relativo al debito italiano. Uno degli indicatori più utilizzati per quantificare la dimensione del debito di uno Stato è il rapporto Debito/PIL (per saperne di più).

La situazione dei debiti pubblici nei maggiori Paesi UE

Figura 1: serie storica debito/PIL dal 1995 al 2019. Fonte Eurostat.

A questo punto appare evidente che non tutti i Paesi europei si trovano nella stessa condizione. Spagna e Italia, i Paesi attualmente più colpiti dall’epidemia, sono anche quelli con il debito pubblico più elevato. L’Italia negli ultimi anni ha avuto una crescita del PIL molto bassa[2], il suo debito/PIL è arrivato ad un valore di oltre il 134% dal 2018[3]. Anche la Spagna, aveva allo stesso anno, un rapporto Debito/PIL alto 97.6%[4]. Negli ultimi anni, però, ha avuto una consistente crescita del PIL, circa il 2% nel 2019 e una crescita media del 2.8% annuo dal 2015[5]. Tuttavia, prima della crisi del 2007 il rapporto Debito/PIL spagnolo era al 35%[6]. L’incremento enorme del debito durante la crisi finanziaria ha reso necessarie misure di riduzione della spesa pubblica e altre riforme per permettere al Paese di restare competitivo e poter continuare a finanziarsi sul mercato.
Italia e Spagna, dunque, si trovano tra due fuochi, sotto una pressione senza precedenti per la crisi sanitaria e dovendo sostenere spese ingenti per la ricostruzione della propria economia, senza potersi finanziare con debito a costi bassi.
Già al 21 aprile, il tasso di rendimento sui titoli di stato decennali (BTP) per l’Italia era del 2,02% [7]e dello 0,97%[8] per la Spagna. Per avere un termine di paragone è sufficiente sapere che i titoli tedeschi hanno un tasso di rendimento negativo di – 0,481%[9], avendo un rapporto Debito/PIL pari al 61,9%[10]. I Paesi Bassi hanno un tasso di rendimento negativo di -0,177% [11]e la Francia di 0,06%. [12]All’aumentare del debito per sostenere le misure economiche e sanitarie di contrasto alla crisi, questi tassi di rendimento aumenteranno, rendendo più costoso il finanziamento per tutti i Paesi UE, ovviamente in maniera più accentuata per i Paesi più a rischio.

Figura 2: serie storica 1993 – 2020 tasso di rendimento sui titoli di Stato decennali. Fonte: BCE

 

Il dibattito e le misure dell’UE


La crisi sanitaria del coronavirus sta colpendo tutto il mondo. Non si può definire virtuoso un Paese meno colpito né infierire con giudizi morali insensati sui Paesi più vessati. Non è una semplice crisi finanziaria, è una crisi simmetrica, come è stato spesso rimarcato, però l’impatto della crisi e le tempistiche saranno diverse Paese per Paese. Sin dall’inizio si è scatenato uno scontro tra sostenitori della necessità di emettere titoli di debito comune per avere una risposta congiunta – tra i quali Francia, Spagna e Italia – e rigoristi – tra i quali Germania e Olanda – convinti di poter sostenere da soli i costi della crisi. In un primo momento, i Paesi appartenenti al blocco rigorista sembravano disposti ad aiutare i Paesi più colpiti solo con strumenti di intervento economico soggetti a condizionalità su tempistiche e modalità di riduzione del debito pubblico – il famoso Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) a condizionalità rafforzate.
Contemporaneamente, le istituzioni europee hanno dato il loro sostegno ai Paesi più in difficoltà con un piano straordinario di acquisti di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea, che ha finora permesso di mantenere bassi i rendimenti sui titoli di Stato italiani. Sono state adottate anche altre importanti misure economiche per 540 miliardi[13]. Quanto fatto, tuttavia, non è sufficiente per superare la crisi. L’idea di emissioni di debito comuni – eurobond o recovery bond – per finanziare la ricostruzione economica può essere la soluzione giusta per emettere debito a costi minori per i Paesi più in difficoltà e per un ulteriore passo in avanti nell’integrazione europea.

Agire insieme è nell’interesse di tutti


Non è solo solidarietà europea. Davanti ad una recessione del PIL dell’eurozona del 7.5%[14] non esistono Paesi forti, né vie d’uscita individuali. Inoltre, l’UE è un’organizzazione sovranazionale che condivide da anni i benefici di un’area economica aperta, con libertà di movimento per lavoratori, merci e capitali, e ha maturato anche un’interdipendenza tra i vari Paesi. Un riscontro si può avere guardando ai Paesi di destinazione delle esportazioni di Olanda, Spagna, Francia, Germania e Italia.

 

 
Figura 8: Serie storica export/PIL dal 2008 al 2019. Fonte: Eurostat.

 

Come è possibile notare dai grafici precedenti, l’export è una componente importante del PIL di tutti gli Stati analizzati, in particolare l’Olanda nel 2019 ha registrato un export/PIL pari all’82,5% e la Germania al 46,9%[15]. Analizzando i Paesi di destinazione, risulta che la maggior parte di questo export è stato verso altri Paesi UE. l’Italia è il quinto Paese per quota di esportazioni ricevute dall’Olanda e il sesto per la Germania. La Spagna è il settimo per l’Olanda e l’undicesimo per la Germania. Viceversa, Germania e Olanda sono anche destinazioni di quote fondamentali dell’export di Italia e Spagna. [16]Le economie europee sono interconnesse, ora è il turno della classe dirigente europea di trovare un accordo per ulteriori misure forti e congiunte contro la crisi. Ci vorrà del tempo, una revisione dei trattati potrebbe essere necessaria e si dovranno aumentare i contributi al bilancio UE, ma è nel pieno interesse di tutti gli Stati membri. Altrimenti, anche la crisi economica rischia di seguire le stesse linee di contagio della pandemia. I rischi sono una depressione economica e un’ascesa dei partiti euroscettici che potrebbero compromettere l’intero progetto europeo.

Michele Corio


Riferimenti:

[1] https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-coronavirus-e-blocco-delle-attivita-cosa-succede-all-estero

[2] https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?locations=IT

[3] http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=gov_10dd_edpt1&lang=en

[4] https://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&init=1&language=en&pcode=teina225&plugin=1

[5] https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?locations=ES

[6] http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=gov_10dd_edpt1&lang=en

[7] https://www.investing.com/rates-bonds/italy-10-year-bond-yield

[8] https://www.investing.com/rates-bonds/spain-10-year-bond-yield

[9] https://www.investing.com/rates-bonds/germany-10-year-bond-yield

[10] http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=gov_10dd_edpt1&lang=en

[11] https://www.investing.com/rates-bonds/netherlands-10-year-bond-yield

[12] https://www.investing.com/rates-bonds/france-10-year-bond-yield

[13] https://jeuneurope.com/ue-e-coronavirus-il-punto-della-situazione/

[14] https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2020/04/14/weo-april-2020

[15] https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/TET00003/default/table

[16] https://oec.world/en/

Lasciateci commerciare

Giovanni Sgaravatti

Giovanni Sgaravatti

L’Unione Europea, sin dalle origini è stata fondata con due grandi obiettivi: ristabilire pace e equilibrio in un’Europa martoriata dalle guerre mondiali e costruire un’area economica europea. Due fattori strettamente legati tra loro, come tra l’altro sosteneva Churchill. L’evoluzione del secondo obiettivo è il Mercato comune europeo. Questo corrisponde all’area senza barriere più grande del mondo, con un PIL di 13 trilioni di euro e 500 milioni di cittadini. Il mercato unico è uno dei veri punti di forza dell’Unione. L’abolizione di dazi, dogane, ostacoli legislativi e restrizioni sulle quantità di merci hanno permesso ai vari Stati UE di crescere in sinergia. Alla base del mercato comune ci sono le quattro libertà fondamentali: libertà di circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali.

I benefici economici imputabili al mercato comune ammontano a circa l’8,5% del Pil dell’UE.  Inoltre, il Parlamento Europeo stima un effetto di queste misure sull’occupazione pari a 2.8 milioni di posti di lavoro in più e 21 milioni di nuove piccole e medie imprese. Il mercato comune non è soltanto un eccezionale strumento per creare un solido sviluppo europeo, è anche un mercato regolamentato, con elevati standard qualitativi. La Commissione Europea ha il ruolo di fissare standard di sicurezza per i consumatori e standard ambientali.

L’Unione Europea non è rimasta ferma a questioni del passato, il dibattito e l’attività legislativa recentemente si sono concentrati sulle tecnologie, la protezione dei dati e di conseguenza anche il commercio digitale, che già oggi copre una fetta molto importante degli scambi commerciali ed è indubbiamente un settore in crescita. A tal proposito, si parla di mercato unico digitale, un progetto europeo che punta a ridurre problemi legislativi e ostacoli per l’e-commerce, senza però ignorare questioni fondamentali come la protezione del diritto d’autore in rete, la qualità dei prodotti acquistati in rete e la tutela dei consumatori. Il Mercato unico digitale potrebbe avere un impatto sull’economia europea di 415 miliardi di euro annui e centinaia di posti di lavoro, secondo la Commissione UE.

Il ruolo fondamentale dell’Unione Europea nel rafforzare l’economia degli Stati membri non si limita al Mercato Comune e alle sinergie interne. L’appartenenza all’UE consente agli Stati membri di avere una posizione privilegiata anche sulla scena internazionale, tutelando i loro interessi nelle trattative con altri partner internazionali come Cina e Stati Uniti (per esempio imponendo misure antidumping, o norme rigorose su prodotti alimentari, giocattoli per bambini, farmaci e fitofarmaci,  etc).

Analizzando un caso pratico, il volume di esportazioni dell’Italia tra il 2002 e il 2018 è passato da 266 a 463 miliardi di euro, che (scontando per l’inflazione) equivale ad un aumento del 44%. Di questi 463 miliardi, ben 202 sono dovuti ad esportazioni destinate a paesi extra Unione Europea (nel 2002 erano 103 miliardi, il che significa un aumento del 68%). Tra il 2002 e il 2018, l’UE ha negoziato e permesso l’entrata in vigore di 23 accordi di libero scambio (ALS) con altrettanti paesi. Questo tipo di accordi sono stati spesso criticati (a ragion veduta) per la poca trasparenza dei negoziati. L’Unione Europea ha risposto diventando la prima istituzione al mondo a rendere pubblici tutti i capitoli approvati nel corso dei negoziati. 

Anche il contestatissimo meccanismo di risoluzione di controversie in materia di investimenti stato completamente rivisitato, garantendo un’elevata protezione degli investitori e mantenendo al tempo stesso il pieno diritto dei governi di regolamentare e di perseguire obiettivi legittimi di interesse pubblico come la protezione della salute, della sicurezza o dell’ambiente (vedi gli accordi più recenti, come il CETA o quello con la Corea del Sud). Infine, una delle paure paventate dagli scettici è quella di dover subire una concorrenza sleale di prodotti tutelati a livello UE, come le indicazioni di origine (IG). Tale paura è generalmente infondata visto che l’UE si batte da sempre per difendere tutti i prodotti caratteristici del suo territorio, in particolar modo le eccellenze Italiane e Francesi. Con il CETA, l’Italia ha ottenuto il riconoscimento di ben 41 IG (corrispondenti al 90% del totale), nei primi 5 mesi del 2019 ha visto un aumento delle esportazioni di quasi il 13% (per un valore di €3,5 miliardi) ed una bilancia commerciale decisamente positiva (con un rapporto import-export di 1:3), con il Giappone l’export alimentare è cresciuto dell’80% con il riconoscimento di 45 eccellenze Italiane (Igp).

Spesso gli accordi di libero scambio vengono tacciati di essere a beneficio esclusivo delle grandi imprese e di ostacolare le piccole. In realtà, gli ALS beneficiano le aziende più efficienti e le aziende esportatrici, siano queste grandi o piccole. Esempi di Pmi italiane che beneficiano degli ALS sono: l’azienda familiare di Crotone Astorino (che dopo l’entrata in vigore dell’ALS con il Sud-Africa ha iniziato nel 2015 a esportare pasta per volumi superiori alla tonnellata, utilizzando antichi grani italiani); l’azienda Veneta di design Moving (che ha aumentato il suo fatturato proveniente dal mercato Cileno del 51% tra il 2011 e il 2015); l’azienda Trapanese Graffeo Cravatte (che ad oggi beneficia enormemente dell’abbattimento a quota zero dei dazi doganali con il Canada, fino a ieri a quota 16-18%). Le storie di successo sono tantissime, alcune potete trovarle a questo link.

Giovanni Sgaravatti and Michele Corio

Riferimenti:

[Mercato Comune Europeo]                                        http://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/38/la-libera-circolazione-delle-merci

http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2017/611009/EPRS_BRI%282017%29611009_EN.pdf

https://ec.europa.eu/growth/single-market_it

http://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/economy/20180108STO91214/25-anni-di-mercato-unico-europeo

http://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2018/IT/COM-2018-772-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF

[Accordi di libero scambio]

https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Extra-EU_trade_in_goods

https://ec.europa.eu/eurostat/web/international-trade-in-goods/data/database

https://www.ilsole24ore.com/art/l-export-alimentare-il-giappone-cresce-dell-80percento-grazie-all-intesa-la-ue-ACAKUo1?utm_medium=FBSole24Ore&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR3eW5tSa24ZIexS6NV5opSYiYPh2guHlCdAs-kShR2ZgePeSwqO2jR1ZLQ#Echobox=1574939055

http://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=39

http://ec.europa.eu/trade/policy/countries-and-regions/negotiations-and-agreements/#_in-place

http://ec.europa.eu/trade/trade-policy-and-you/in-focus/exporters-stories/#p=*&c=#filter-countries-Italy

https://www.ilpost.it/2019/02/13/approvato-accordo-unione-europea-singapore/ [non menzionato]

https://www.agi.it/estero/accordo_libero_scambio_ue_giappone-4170340/news/2018-07-18/ [non menzionato]

I sette peccati capitali dell’economia italiana

 

Ho di recente finito di leggere il libro “I sette peccati capitali dell’economia Italiana” edito Feltrinelli e scritto dall’ex quasi-premier Carlo Cottarelli. Per chi non lo sapesse, Cottarelli ha lavorato sia in Banca d’Italia che al Fondo Monetario Internazionale ed ha anche maturato esperienza come commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica tra il 2013 e il 2014; è oggi direttore del nuovo Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, nonché visiting professor all’Università Bocconi.

Nel libro vengono individuati sette “peccati” dell’economia italiana che ne frenano lo sviluppo economico. Ho trovato il saggio particolarmente illuminante per la sua oggettività e per la chiarezza di pensiero dell’autore. I sette peccati illustrati dal professore possono essere divisi in due categorie: quelli di lunga durata, che sono l’evasione fiscale, la corruzione, la lentezza della giustizia, l’eccessiva burocrazia e il divario tra Nord e Sud; e quelli più recenti, ovvero il calo demografico e la difficoltà dell’economia italiana a convivere con l’euro. In questo scritto, mi concentrerò esclusivamente sul primo capitolo del libro, quello riguardante l’evasione.

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Pillole di Finanza Pubblica

Il bilancio dello Stato è un documento complesso, in grado di rappresentare in maniera molto dettagliata la situazione economico-finanziaria di un Paese.
Inoltre, attraverso un’accurata analisi delle varie poste di spesa pubblica, è possibile ricavare anche informazioni culturali e sociali su di esso.
In base alle informazioni ricercate e agli obiettivi che si perseguono si possono distinguere diverse tipologie di bilancio.

In questo articolo farò riferimento, in breve, al bilancio consuntivo e al bilancio previsionale per dare, senza eccessivi tecnicismi, l’idea del contenuto essenziale di un bilancio pubblico e del ruolo del Prodotto Interno Lordo nella valutazione della ricchezza prodotta complessivamente, del reddito e del benessere di una società.

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