Media e informazione: come vengono influenzate le nostre opinioni?

Quando parliamo di media e informazione non possiamo non considerare le profonde mutazioni della tecnologia e della società. Mutazioni che negli ultimi trent’anni hanno subito un’accelerazione esponenziale. Facendo un rapido e sommario excursus nella storia dell’informazione negli ultimi duecento anni, possiamo notare come il modo in cui questa viene veicolata sia cambiato seguendo i ritmi della tecnologia e della società. In questo viaggio nel tempo, partiremmo dai giornali (che prima venivano pubblicati a cadenza settimanale o bisettimanale[1]), per poi vedere via via un’evoluzione con le radio e i cinegiornali – che in Italia sottostavano al controllo statale attraverso l’istituto LUCE[2]– per poi dunque giungere alla televisione e vedere l’informazione farsi in seguito plurale con l’avvento di radio e televisioni private, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui le informazioni vengono veicolate attraverso internet e social media accessibili in ogni momento dai nostri smartphone.

Come possiamo vedere quindi, ci sono almeno due tipi di cambiamento radicale nella fruizione dell’informazione: il primo riguarda la velocità e l’aumento del numero delle fonti e dei mezzi (passando da un giornale bisettimanale a molte testate che pubblicano notizie in continuazione), il secondo riguarda l’accesso all’informazione: se prima era l’utente a raggiungere l’informazione attivandosi e andando in cerca del giornale o sintonizzandosi a una determinata ora su una determinata radio o televisione, ora questo rapporto si è invertito ed è l’informazione a raggiungere un’utenza sempre connessa. Il risultato di questi due fattori è che l’utente oggi viene bombardato da molti stimoli diversi in competizione tra loro per ottenere la sua attenzione[3].

Come facciamo fronte a questo tipo di informazione nei media?

Dire che siamo in balia delle informazioni veicolate dai media potrebbe sembrare banale e effettivamente non è del tutto veritiero. Quest’evoluzione non è avvenuta in una notte, anche se è vero che è stata molto veloce e che i nativi digitali sono più abituati a farvi fronte rispetto a chi ha qualche anno in più ed ha dovuto adattarsi a questo mondo a sua volta in rapida evoluzione. È altresí vero che le nostre reazioni alle informazioni non sono consapevoli: come ci formiamo un’opinione? Perché selezioniamo un’informazione e apriamo un link piuttosto che un altro? Come è possibile che ci siano persone che supportano con tanta veemenza delle posizioni che ci sembrano assurde? Come spiegare alcune reazioni alla pandemia di coronavirus?  Proverò qui a dare delle spiegazioni, anche se va tenuto conto che non ci muoviamo in un campo fatto di leggi deterministiche e che il tema è molto complesso e ricco di sfaccettature e aspetti che abbracciano discipline diverse come la scienza della comunicazione, la sociologia, la psicologia dei gruppi e della persuasione che non possono essere facilmente riassunte e messe in ordine in appena un articolo.

La ricerca sul modo in cui processiamo le informazioni ha seguito il generale sviluppo della tecnologia dell’informazione e della psicologia sociale più in generale. La domanda alla quale gli psicologi sociali hanno cercato di dare risposta è: come fa un messaggio a divenire persuasivo?

Tra le teorie predominanti ci sono quelle del modello delle probabilitá di elaborazione (ELM) di Petty e Cacioppo (1981) e quella del modello euristico-sistematico di Eagly e Chaiken (1984). Questi modelli hanno in comune il fatto di prevedere che il cambiamento di atteggiamento davanti a un’informazione possa essere il frutto di due processi di natura diversa[4].

Secondo il modello delle probabilitá di elaborazione (ELM), al ricevere un’informazione, l’utente attiva un processo di elaborazione che si situa in un continuum ai cui poli opposti vi sono un percorso centrale e un percorso periferico che il ricevente utilizza per elaborarla. Per elaborare attraverso il percorso centrale, il ricevente deve attivare una serie di risorse attentive e di riflessione attiva sulle argomentazioni del messaggio che ne mettono in moto anche le conoscenze pregresse per permettergli di arrivare alla valutazione del messaggio. Il percorso periferico, invece, non fa ricorso al contenuto per elaborare l’informazione ma al modo in cui essa viene presentata (per esempio dall’attrattivitá della fonte o dall’associazione con stimoli piacevoli, pensiamo per esempio alle musiche di sottofondo presenti nei servizi dei talk show che hanno la funzione di “aiutare” lo spettatore nel classificare le informazioni come positive o negative). Il percorso centrale è perciò un processo molto più impegnativo che richiede motivazione (deve essere prima di tutto un messaggio rilevante per l’utente per fargli attivare le risorse), capacità cognitive e conoscenze pregresse per essere utilizzato, mentre quello periferico non richiede sforzi[5].

In maniera similare al modello della probabilità di elaborazione, il modello euristico-sistematico sostiene che ci siano due tipi di processo con cui viene elaborata un’informazione: un processo sistematico che coincide con il percorso centrale del modello della probabilità di elaborazione (quindi con un investimento di risorse che permettono di elaborare in maniera approfondita un’informazione) e un processo euristico che porta alla formazione di un’opinione attraverso la semplice applicazione di un’euristica, ovvero di una regola di decisione che “certifica” la validità dell’opinione (per esempio: tizio sostiene X quindi deve essere come dice lui) [6].

Secondo entrambi i modelli dunque, vediamo che per elaborare un’informazione in maniera approfondita, occorre che chi la riceve utilizzi una serie di risorse. Questo perciò richiede anzitutto una motivazione nell’impiegare tali risorse e compiere lo sforzo necessario all’elaborazione, l’impiego di capacità cognitive per farlo e per mettere in campo le contro argomentazioni che possano validarne o confutarne le tesi, la presenza di conoscenze pregresse sul tema in oggetto per farlo. Appare dunque evidente che, prima di tutto, l’utilizzo di un’elaborazione di tipo centrale-sistematico richiede di impiegare tempo e risorse, cose che la vita frenetica della nostra società, i tempi dei media e l’abbondanza di stimoli nei social rendono molto difficile.

Come rispondiamo dunque a questi stimoli?

Il modo in cui dunque ci troviamo ad affrontare le informazioni ha molto a che vedere con le nostre reazioni a queste. In altre parole, abbiamo bisogno di riconoscere e rispondere in maniera veloce a molti stimoli senza approfondirli e elaborarli, cosa che richiederebbe tempo e risorse come detto.

Nel farci catalogare le notizie come veritiere o false o anche solo meritevoli della nostra attenzione, entrano in gioco alcuni indizi che utilizziamo più o meno consapevolmente.

Anzitutto, c’è da considerare il fatto che le notizie plasmano il nostro modo di concepire la realtà. Secondo la teoria della coltivazione di Gerbner[7], le informazioni fornite dai media hanno da una parte l’effetto di favorire un’interpretazione comune di un dato fenomeno (effetto mainstreaming), dall’altro quello di amplificare la realtà, cioè di rendere più accentuato un fenomeno presente nella realtà attribuendogli una frequenza molto più ampia del reale per il solo fatto che i media ne parlano (effetto resonance). Nei suoi studi sulla relazione tra la violenza nei media e quella percepita nella vita reale per esempio, Gerbner ha potuto rilevare come i partecipanti che ritenevano che nei loro quartieri ci fosse più violenza di quanta ve ne fosse in realtà erano quelli che erano più soliti guardare la tv con scene di violenza[8].

Appare dunque chiaro che i media giocano un ruolo chiave nella lettura della realtà (e quindi nella formazione delle opinioni e nei comportamenti) delle persone. È in questa direzione che si muove la teoria dell’agenda setting che sostiene che siano proprio i media a stabilire di fatto quali siano i temi importanti per la societá a seconda dell’enfasi data al tema[9]. In tal senso non suggerirebbero direttamente come pensare ma a cosa gli utenti dovrebbero pensare. Pertanto, l’importanza e la rilevanza di un avvenimento non sarebbero caratteristiche dell’avvenimento in sé, ma sarebbero stabilite dall’enfasi che i media utilizzano nel raccontarlo e quindi dalla rilevanza che questi gli attribuiscono. .

Per fare un esempio dell’impatto che questo può avere, basti pensare al caso del volontario per i test del vaccino morto in Brasile, caso che ha avuto grande eco in tutto il mondo, salvo poi scoprire che quel volontario non aveva mai ricevuto la dose di vaccino[10]. Un altro esempio lampante piú recente riguarda la paura generata dalle notizie sui casi di trombosi avvenuti in seguito alla somministrazione del vaccino AstraZeneca, paura che non ha fondamento scientifico ed é pertanto immotivata se guardiamo i dati numerici[11] che invece ci dicono che questo fenomeno é molto piú raro di quello che i media lasciavano pensare.

“Non cielo dikono”: i dissidenti e le sottoculture

Come detto però, va considerato il fatto che oggi l’informazione è veloce e plurale. Se da una lato questo è certamente un bene perché permette di difendere la libertá di espressione – e quindi la democrazia -, dall’altro il moltiplicarsi di siti di informazione che competono per accaparrarsi i click degli utenti (vedi il fenomeno del “clickbait[12]”), espone ai noti rischi di proliferazione di fake news e rende difficile per l’utente riconoscere l’autorevolezza di una fonte e di un’opinione separandola dalla massa di commenti e notizie.

Ma cosa spinge una persona a ricercare un tipo di informazione e difendere cosí strenuamente posizioni che ci sembrano assurde? Secondo la teoria degli usi e gratificazioni[13], il ricevente delle informazioni non sarebbe un attore passivo, ma selezionerebbe quelle informazioni che lo gratificano maggiormente e indirizzerebbe dunque la propria scelta e investirebbe le proprie risorse attentive e di tempo in quei programmi e canali d’informazione che più ne soddisfano i bisogni. Di quali bisogni parliamo? Quello di ottenere informazioni utili che lo aiutino non solo a gestire le proprie azioni ma pure a definire la propria identità, per far proprie le argomentazioni espresse. Vediamo dunque che la scelta di un canale di informazione non ha a che fare solo con la necessità di informazione ma pure con necessità emotive e di definizione della nostra identità[14]. Questo ci riporta quindi a quanto detto prima: dedichiamo più tempo a canali e informazioni nei quali ci identifichiamo e allo stesso tempo siamo portati a catalogare in maniera rapida gli stimoli come autorevoli e validi o meno a seconda del tipo di stimolo (ad esempio, la fonte) e non in seguito a una profonda elaborazione. Questo porta l’informazione a farsi oggetto di dinamiche ingroup – outgroup. L’utente ricercherà e darà quindi più attenzione a quelle informazioni che corrispondono al proprio ingroup nel quale si riconosce, mentre non presterà attenzione e liquiderà in modo più sbrigativo quelle informazioni e tesi che riconoscerà essere proprie dell’outgroup. Come possiamo intuire, questo non aiuta il dibattito e favorisce invece i fenomeni di polarizzazione all’interno dei gruppi che tenderanno sempre di piú a spostarsi verso posizioni estreme. Pensiamo per esempio – al di là di come la si pensi in merito – al dualismo che si è creato durante la pandemia tra i no-vax e i pro-vax.

Questo chiaramente non è aiutato dai social che – avendo per scopo l’aumento dell’engagement degli utenti[15] – sono portati a riportare tesi e informazioni che riflettono le idee nelle quali l’utente si riconosce perché è grazie ad esse che rimarrà connesso al social. Se chiudessimo gli occhi e facciamo finta – per esempio – di essere fermamente convinti della bontà dei vaccini e di trovare la nostra home di Facebook o Twitter invase da notizie che riconosciamo provenire da ambienti no-vax, possiamo immaginare che probabilmente non cliccheremmo su quei link ma che anzi magari usciremmo dal social molto prima di quello che – ahimé – facciamo abitualmente.

A tal proposito é interessante il docu-film prodotto da Netflix the social dilemma di cui riporto il trailer. Il trailer si apre proprio con le parole “Try to type on Google ‘ climate change is ‘ , you are going to see different results depending on where you live and the particular things Google knows about your interests” – se provi a scrivere su Google ‘il cambiamento climatico é’, otterrai diversi risultati a seconda del luogo in cui vivi e delle cose che Google sa sui tuoi interessi .

Alla luce dell’impatto che questi meccanismi dei social hanno avuto nelle decisioni prese dalle persone che si sono poi tramutate anche in decisioni politiche (vedi Russiagate e lo scandalo Cambridge Analytica[16]), Facebook sta prendendo delle contromisure per aumentare la pluralità delle informazioni messe a disposizione dell’utente, con lo scopo soprattutto di arginare il dilagare delle fake news[17][18], anche se sembra che ci sia ancora molto da fare a riguardo[19].

Media e informazione: che fare dunque?

I media oggi si trovano nella difficile situazione di dover informare riassumendo in tempi molto rapidi notizie di un mondo complesso e in continua evoluzione. Pensare di dedicare il tempo necessario ad approfondire e processare le diverse tesi semplicemente non è fattibile perché richiederebbe risorse di tempo e di attenzione da parte del ricevente che – più probabilmente – sceglierebbe un’altra fonte. Che fare perciò?

Prima di tutto dovremmo domandarci perché una persona si sposta verso una tesi, rischiando di entrare in quel circolo vizioso di ingroup – outgroup che porta ad etichettare le informazioni senza elaborarle. Cosa c’è alla radice delle nostre reazioni davanti ai messaggi, come fa cioè una persona a riconoscere la validità di un tipo di argomentazioni o di altre.

In tal senso, è interessare guardare agli studi dei primi anni ’50 dello scorso secolo – studi che sembrano quanto mai attuali in questi mesi – sulla particolare strategia di persuasione che Hovland e i colleghi di Yale chiamavano “appello alla paura[20]. Nei loro esperimenti, Janis e Feshbach – colleghi di Hovland – esponevano i partecipanti a dei messaggi riguardanti delle malattie dentali e quali comportamenti adottare per evitarle, dividendoli in gruppi a seconda del livello di paurosità del messaggio a cui erano stati sottoposti. A differenza di quanto ci si potesse aspettare, coloro che dopo qualche settimana avevano cambiato i loro comportamenti in maniera più significativa non erano i partecipanti che erano stati sottoposti al messaggio più pauroso ma quelli che erano stati sottoposti a un messaggio che aveva un debole richiamo alla paura.

Secondo gli studiosi, questo sarebbe dovuto alla reazione del ricevente a messaggi di minaccia per il sé. Il ricevente, sentendosi minacciato, sentirebbe il bisogno di ridurre tale tensione mettendosi alla ricerca di risposte in grado di allentarla. Per farlo e sentirsi al sicuro, può mettere in campo i comportamenti consigliati, oppure attivare risposte di tipo difensivo, quali – per esempio – la negazione[21] o la squalifica delle conseguenze prefigurate, penserà per esempio “mah, forse gli effetti mostrati sono esagerati, questo comportamento non è poi cosí grave”.

Vediamo dunque che davanti a situazioni di paura quale quella legata alla pandemia, la presenza di negazionisti del virus potrebbe in parte essere spiegabile con un inconsapevole meccanismo di difesa messo in campo da queste persone che si avvicinano a tesi negazioniste poiché si sentono rassicurate dal negare la situazione, e la loro rassicurazione viene rinforzata dal fatto che ci sono altre persone nei social che veicolano messaggi simili, creando cosí un gruppo che ne legittima e rinforza le tesi talvolta polarizzandole.

Uno degli sviluppi di questa tesi riguarda la teoria della motivazione alla protezione di Maddus e Rogers (1983)[22]. Secondo questa teoria, una minaccia rappresenta uno stress davanti al quale l’individuo si trova a dover mettere in campo delle risorse per attuare un determinato comportamento. Se percepisce come rilevanti i rischi o se si sente in grado di effettuare quel comportamento, sarà motivato a rispondere con il comportamento desiderato; se invece la situazione richiede delle risorse troppo onerose rispetto a quelle di cui dispone, utilizzerà un altro comportamento per far fronte alla situazione, non sempre si tratta però di un comportamento adattivo.

Sapendo questo, vediamo dunque che il ricevente di un’informazione non è un soggetto passivo e che molto dipende dalle caratteristiche della persona e dalla rilevanza che il messaggio può avere per questa. Occorre dunque pensare bene alla luce con cui i media espongono le informazioni, sapendo che non sempre la paura è la migliore arma per veicolare messaggi ma che, se non accompagnata da messaggi positivi e specifici relativi ai comportamenti da utilizzare può avere effetti controproducenti perché si potrebbero innescare reazioni di distanziamento dall’informazione (negazione, squalifica degli effetti, eccetera).

Viceversa, un’informazione lontana dalla retorica, focalizzata sugli aspetti positivi dei comportamenti da attuare (per esempio che evidenziasse gli effetti positivi del lockdown, invece che focalizzarsi costantemente sui – supposti – effetti negativi delle passeggiate in centro…) e che fornisse indicazioni chiare sui comportamenti da attuare, ridurrebbe lo stress e l’incertezza legate alla situazione, permetterebbe alle persone di processare le informazioni in modo più chiaro, riducendo quindi la ricerca di risposte alternative e i comportamenti non adattivi da parte del pubblico.

Filippo Paggiarin

Fonti e riferimenti

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Giornale

[2] https://www.archivioluce.com/cinegiornali/

[3] sul cambiamento nel mondo dei media e dell’informazione e sulle difficoltá ad esso legate, consiglio vivamente la visione di questa conferenza tenuta da Umberto Eco, particolarmente significativi per questo articolo sono i passaggi a 6:45, 20:30, 27:00

[4] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.91 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[5] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.91 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[6] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.91 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[7] https://www.coris.uniroma1.it/sites/default/files/11.%20Teoria%20della%20Coltivazione.pdf

[8] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.151 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[9] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.151 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[10] https://www.forbes.com/sites/rachelsandler/2020/10/21/volunteer-in-astrazeneca-covid-19-vaccine-trial-reportedly-dies-in-brazil/?sh=77580fb42516

[11] https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/da-non-perdere/vaccino-astrazeneca-e-rischio-trombosi-facciamo-chiarezza

[12] https://en.wikipedia.org/wiki/Clickbait

[13] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.155 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[14] In merito, suggerisco l’ascolto del TED Talk tenuto da Guadalupe Nogués (in lingua spagnola)

[15] the social dilemma, J. Orlowski, Netflix, 2020. https://www.youtube.com/watch?v=uaaC57tcci0 

[16] https://www.nytimes.com/2018/03/18/us/cambridge-analytica-facebook-privacy-data.html?hp&action=click&pgtype=Homepage&clickSource=story-heading&module=first-column-region&region=top-news&WT.nav=top-news

[17] https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2018/10/29/news/facebook_ora_puoi_saperne_di_piu_su_fonti_e_testate-210316647/

[18] https://www.ilsole24ore.com/art/stretta-facebook-inserzioni-politiche-sapremo-chi-paga-e-dove-arrivano-AEv4YZUE?refresh_ce=1

[19] https://it.mashable.com/coronavirus-1/4089/covid19-fake-news-facebook-avaaz

[20] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.86 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[21] Questo non accade solo con i temi legati alla salute come i danni provocati dal fumo, quella di alcuni cibi o le misure anti-covid ma anche con molti altri temi quali, per esempio, quello del cambiamento climatico

[22] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.87 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

 

Medios e informaciones: ¿Cómo influyen nuestras opiniones?

Cuando hablamos de medios de comunicación e información, no podemos no tener en cuenta las profundas transformaciones de la tecnología y de la sociedad. Estas transformaciones han estado acelerando como nunca había ocurrido antes en los últimos treinta años. Si hacemos un rápido excursus sobre lo que ha pasado con los medios de comunicación durante 200 años, podemos notar que medios e información han cambiado según el desarrollo y el ritmo de la tecnología y de la sociedad. En este viaje en el tiempo, se empezaría con los periódicos (que venían publicados una vez cada una o dos semanas[1]), se llegaría después a las radios y a los noticiarios (que solo se veían en el cine y – al menos en Italia – estaban bajo el control del estado[2]), se acudiría entonces a la televisión que permitía ver la información en casa. Luego la información se hizo plural gracias a la llegada de las estaciones de radio y televisión privadas. Se llegaría finalmente al día de hoy con informaciones transmitidas a través de internet y de redes sociales que hacen que la información esté disponible en cualquier momento en nuestros móviles.

Como se puede notar, hay al menos dos tipos de cambio radical en la fruición de la información: el primero consiste en la rapidez y en el número de las fuentes y de los medios (desde un periodico cada dos semanas hasta muchos periódicos que publican noticias constantemente), el segundo se refiere al acceso a la información: antes, el usuario tenía que ir hacia la información, buscando el periodico o sintonizando a tal hora tal radio o tal televisión; hoy, esta relación se ha invertido y es la información que busca a los usuarios que están siempre conectados. El resultado de estos dos factores es que el usuario se encuentra bajo un bombardeo de estímulos que compiten para lograr su atención.

¿Cómo enfrentamos estos tipos de informaciones en los medios de comunicación?

Decir que estamos a merced de las informaciones podría parecer trivial, y realmente no es verdadero. Esta evolución no ha ocurrido en una noche, aunque es verdad que ha sido muy rápida y que los llamados “nativos digitales” están más listos para enfrentarla que los mayores que han tenido que adaptarse a este mundo en constante transformación. Sin embargo, también es verdad que nuestras reacciones a las informaciones no son conscientes: ¿cómo formamos nuestras opiniones? ¿por qué seleccionamos una noticia y abrimos un enlace en lugar que otro? ¿cómo puede pasar que haya quien opine de maneras que nos parecen tan absurdas y, no obstante esto, defienda su punto de vista en manera tan vehemente? ¿Cómo explicar algunas reacciones a la pandemia? Intentaré facilitar algunas explicaciones, aunque hay que tener en cuenta que no hay leyes determinísticas en este campo y que este tema es muy complejo y con muchas distintas facetas y aspectos que atañen disciplinas distintas como la ciencia de la comunicación, la sociología, la psicología social y de la persuasión que no se pueden resumir y poner en orden en un único artículo.

La investigación sobre la manera en la que procesamos las informaciones ha evolucionado juntamente a la tecnología de la información y a la psicología social más en general. La pregunta que los psicólogos sociales han investigado es: ¿cómo puede un mensaje hacerse persuasivo?

Entre las teorías más prevalentes en este ámbito, está la que propone el modelo de la probabilidad de elaboración (ELM) de Petty y Cacioppo (1981) y la del modelo llamado frankfurt allgemeine zeitung de Eagly y Chaiken (1984). Los dos modelos tienen en común el hecho de prever que el cambio de actitud al enfrentar una información puede ser causado por dos procesos distintos[3].

Según el modelo de la probabilidad de elaboración (ELM), al recibir una información, el usuario activa un proceso de elaboración que se sitúa en un continuum con dos polos: por un lado, un proceso llamado “central” y por otro lado, un proceso llamado “periférico”. Para elaborar la información a través de un proceso más central, el destinatario tiene que poner en marcha toda una gama de recursos de atención y de reflexión activa sobre los argumentos del mensaje. Esto requiere también la posesión y la facilitación de conocimientos con respecto al tema de la información que le permitan evaluar el mensaje. De manera distinta, un proceso periférico, no tiene mucho en cuenta los argumentos del mensaje para llegar a su evaluación y formar una opinión sobre el mismo mensaje, sino a la manera en la que dicha información ha sido proporcionada (por ejemplo según el poder atractivo de la fuente o por la asociación mental con estímulos agradables – pensemos en la música de fondo en los informes televisivos que nos ayudan a interpretar la información como positiva o negativa). Por lo tanto, como el proceso central requiere habilidades cognitivas, conocimientos previos y motivación (la información tiene que ser relevante para el destinatario para poner en marcha estos recursos) es mucho más desafiante que el proceso periférico, el cual, en cambio, no requiere esfuerzos[4].

De forma similar al modelo de la probabilidad de elaboración, según el modelo heurístico-sistemático, hay dos tipos de procesos para elaborar la información: el proceso sistemático – que corresponde al proceso central del modelo de la probabilidad de elaboración (por lo tanto requiere inversión de recursos que permitan profundizar la reflexión sobre la información) – y el proceso heurístico, que hace llegar a la formación de una opinión a través de la aplicación de una heurística – es decir a través de una regla de decisión que certifica la validez de la opinión (por ejemplo: tal persona afirma tal cosa, tiene que ser como dice el/ella)[5].

Según los dos modelos, para elaborar a fondo una información, se necesita que el destinatario utilice una gama de recursos. Esto requiere, en primer lugar, una motivación para invertir estos recursos y hacer el esfuerzo necesario para la elaboración, activar habilidades cognitivas y utilizar contraargumentos que puedan validar o desmentir y tener conocimientos previos sobre el tema. Resulta evidente que la elaboración de tipo central-sistemático requiere tiempo y recursos, cosas que el ritmo de vida de nuestro mundo, lo de la televisión y la abundancia de estímulos, no ponen fácil.

¿Cómo reaccionamos a estos estímulos?

La manera en que enfrentamos las informaciones tiene mucho que ver con nuestras reacciones. En otras palabras, a menudo nos encontramos en condiciones en las que tenemos que reconocer y responder con rapidez a muchos estímulos sin poder profundizar y elaborar (porque no tenemos ni el tiempo ni los recursos necesarios para hacerlo).

En la catalogación de las noticias como ciertas, falsas o hasta dignas de nuestra atención, entran en juego unos indicios que utilizamos más o menos conscientemente.

En primer lugar, hay que considerar el hecho de que las noticias con que entramos en contacto dan forma a nuestra manera de concebir la realidad. Según la teoría del cultivo de Gerbner[6], por un lado las informaciones proporcionadas por parte de los medios de comunicación tienen como efecto el favorecer una interpretación común de un fenómeno por los oyentes (efecto mainstreaming); por otro lado, tienen el efecto de amplificar la realidad, o sea de acentuar el fenómeno, atribuyéndole mayor frecuencia de la realidad tan por el solo hecho de estar en los medios (efecto resonance). En sus investigaciones sobre la relación entre la presencia de violencia en los medios y la violencia percibida en la vida real, por ejemplo, Gerbner pudo ver como lo participantes que consideraban que en sus barrios había más violencia de la que había en realidad, eran los mismos que solían mirar con mayor frecuencia escenas de violencia por la televisión[7].

Está claro que los medios juegan un papel importante en la interpretación de la realidad (y consecuentemente en la formación de las opiniones y en las actuaciones de las personas). Por la teoría del agenda setting, de hecho son los medios que establecen los temas importantes para la sociedad, según el mayor o menor énfasis que les atribuyen[8]. En este sentido, no insinuarían directamente como opinar sino en que pensar. Por lo tanto, la importancia y la relevancia de un fenómeno no pertenecen al fenómeno en sí mismo, sino están establecidas por el énfasis utilizado por los medios en su narración y, entonces, en la relevancia que los medios le atribuyen.

Para dar ejemplos del impacto que esto tiene, podemos pensar en aquel caso del voluntario para los test de la vacuna que murió en Brasil hace unos meses, un caso que ha tenido una repercusión mediática amplia en todo el mundo, para luego descubrir que al voluntario no se le había administrado ninguna dosis[9]. Más recientemente, hemos podido ver el miedo generado por las noticias sobre las trombosis después de las dosis de vacuna AstraZeneca; miedo que no tiene fundamento científico, teniendo en cuenta que los datos numéricos[10] de este fenómeno nos dicen que es mucho más infrecuente de lo que la cobertura en los medios nos hace pensar.

“¡No nos lo dicen!”, “Poco se habla de..” : los disidentes y las subculturas

Sin embargo, como mencionamos antes, hay que tener en cuenta que hoy la información es rápida y plural. Si por un lado eso es bueno porque permite de defender la libertad de expresión – y consecuentemente la democracia -, por otro lado la multiplicación de sitios web de información que compiten para lograr los clics de los usuarios (ver el fenómeno del “clickbait”[11]), expone al riesgo de proliferación de noticias falsas y hace que sea difícil para el usuario reconocer la autoridad de una fuente y de una opinión y separarla de la masa de comentarios y noticias.

Pero ¿qué lleva a una persona a buscar un tipo de información y defender tan ardientemente opiniones que nos parecen tan absurdas? Según la teoría de usos y gratificaciones[12], el destinatario de las informaciones no es un actor pasivo, al contrario selecciona aquellas informaciones que  más lo gratifican y dirige su atención y su tiempo hacia los canales de información que más cumplen con sus necesidades. ¿De qué necesidades estamos hablando? De la necesidad de conseguir informaciones útiles que lo ayuden no solo en manejar sus acciones sino en definir su propia identidad también apropiándose de opiniones sobre el tema de la información. Por lo tanto, la elección de un canal de información no tiene que ver sólo con la necesidad de informarse, más bien con necesidades emocionales y de definición de nuestra identidad[13]. Esto nos lleva de nuevo a lo que se decía unos párrafos atràs: dedicamos más tiempo a canales e informaciones en que nos identificamos y – al mismo tiempo – tendemos a catalogar rápidamente los estímulos como autorizados o no autorizados, según el tipo de estímulo (por ejemplo, la fuente). En esta situación, la información se convierte en objeto de dinámicas ingroup-outgroup. El usuario buscará y dará más atención a las informaciones que más corresponden a su propio ingroup (en el que se reconoce). Al contrario, no prestará atención y liquidará de forma rápida aquellas informaciones y tesis que vienen del otro grupo. Como se puede intuir, esto no facilita el debate y, en cambio,  favorece la polarización dentro de los grupos hacia posiciones extremas. Pensemos en el dualismo que se ha creado en tiempo de pandemia entre los antivacunas y los pro-vacunas.

Las redes sociales no ayudan en esto. Como su objetivo es de incrementar el compromiso de los usuarios[14], tienden a enseñar tesis e informaciones que reflejan las ideas en que el usuario se reconoce, porque es gracias a estas que él se quedará conectado en la red social. Imaginemos de estar firmemente convencidos que las vacunas sean necesarias y buenas y que de repente nuestro Facebook o Twitter se llenen de noticias de círculos antivacunas: probablemente no cliquearíamos en los enlace propuestos, sino que saldríamos de las redes sociales mucho antes de lo que – por desgracia – haríamos habitualmente.

Es muy interesante el documental the social dilemma producido por Netflix al respecto. En el tráiler unos de los entrevistados dice explícitamente “Intenta escribir en Google ‘cambio climático es’ y verás resultados diferentes según el lugar en que te encuentras y según las cosas que Google conoce sobre tus intereses” . 

A la vista del impacto que estos mecanismos de las redes sociales han tenido en las decisiones de las personas y, como consecuencia, en las decisiones políticas (ver el Russiagate y el escándalo Cambidge Analytica[15]), Facebook está tomando medidas para incrementar la pluralidad de las informaciones facilitadas a los usuarios, con el objetivo de frenar la propagación de noticias falsas[16][17], aunque parece que aún hay mucho que hacer al respecto[18].

Medios e informaciones: ¿qué hacer entonces?

Hoy los medios se encuentran en la difícil posición de tener que informar resumiendo en tiempos muy cortos noticias de un mundo muy complejo y en continua evolución. Pensar en dedicar el tiempo necesario para profundizar y procesar las distintas tesis simplemente no es viable, porque pediría recursos de tiempo y atención por el destinatario que – más probablemente – elegiría otro canal para recibir la información. ¿Qué hacer entonces?

En primer lugar, tenemos que preguntarnos porque una persona se mueve hacia una tesis, corriendo el riesgo de entrar en el círculo vicioso de la dinámica ingroup – outgroup que lo lleva a etiquetar las informaciones sin elaborarlas; cómo una persona reconoce la validez de un tipo de argumento o de otro?

En este sentido, es interesante fijarse en los estudios de los primeros años ‘50 del siglo pasado – investigaciones que parecen más relevantes que nunca en este periodo – sobre la particular estrategia de persuasión que Hovland y sus colegas de Yale llamaban “apelación al miedo[19]. En sus experimentos, Janis y Feshbach – colegas de Hovland – mostraban a los participantes mensajes sobre enfermedades dentales y cuáles comportamientos adoptar para evitarlas, separándolos en grupos según el nivel de intensidad de miedo del mensaje administrado. A diferencia de lo que se esperaban, después de unas semanas, los que habían cambiado sus actuaciones de manera más relevante no eran los que habían visto el mensaje más aterrador, sino aquellos que habían recibido un mensaje con una débil apelación al miedo.

Según los investigadores, esto se debería a la reacción del destinatario a mensajes que representan una amenaza. El destinatario del mensaje, sintiéndose amenazado, necesitaría reducir esta tensión poniéndose en búsqueda de respuestas que consigan aliviarla.  Para hacerlo y sentirse a salvo, el destinatario podría adoptar los comportamientos aconsejados por el mensaje o activar respuestas de tipo defensivo como, por ejemplo, la negación[20] o la descalificación de las consecuencias prefiguradas. De hecho, podría pensar que los efectos que le hayan enseñado sean exagerados y que tal comportamiento no sea tan grave.

Entonces, podemos ver que ante situaciones como la de la pandemia, la presencia de negacionistas del virus podría en parte ser explicada por un inconsciente mecanismo de defensa utilizado por estas personas que se acercan a tesis negacionistas porque se sienten tranquilizados en el negar la situación. Luego, sus afirmaciones vienen reforzadas por el hecho que hay otras personas en las redes sociales que transmiten estos tipos de mensajes, creando así un grupo en el que reconocerse da legitimación, refuerza y tal vez polariza las tesis.

Uno de los desarrollos de esta tesis es la teoría de la motivación a la protección de Maddus y Rogers (1983)[21]. Según esta teoría, una amenaza representa un estrés que requiere que el individuo active recursos para realizar un comportamiento. Si percibe los riesgos como relevantes o si se siente capaz de implementar aquel comportamiento, sentirá la motivación a responder con el comportamiento deseado;  si al contrario la situación requiere recursos demasiado onerosos frente a los que él tiene, utilizará un comportamiento adaptivo para enfrentar la situación.

Podemos ver entonces que el destinatario de una información no es un sujeto pasivo. Mucho depende de la características de la persona y de la importancia que el mensaje tiene para ella. Es necesario pensar muy bien en el énfasis utilizado por los medios cuando publican las informaciones: teniendo en cuenta que el miedo no es la mejor herramienta para exponer mensajes eficaces y que, si el mensaje aterrador no es acompañado por otros mensajes de tipo positivo y bien claros sobre los comportamientos que se debe adoptar, se arriesga de conseguir efectos contra productivos, provocando reacciones de distanciamiento de la información (negaciones, descalifica del efecto, etc).

Viceversa, una información que se aleje de la retórica, focalizada en los aspectos positivos de los comportamientos aconsejados (por ejemplo, que marque los efectos positivos del toque de queda en lugar de centrarse constantemente en los – supuestos – efectos negativos de los paseos….)  y que proporcione informaciones claras sobre los comportamientos para utilizar, disminuiría el estrés y la incertidumbre de la situación, permitiría elaborar de manera más clara las informaciones a las personas, limitando el riesgo de que busquen respuestas alternativas y de que no tengan comportamientos adaptativos.

Filippo Paggiarin

traducido en español por Filippo Paggiarin y Paula Giuliana Panettieri

Fuentes y referencias

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Giornale

[2] https://www.archivioluce.com/cinegiornali/

[3] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.91 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[4] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.91 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[5] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.91 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[6] https://www.coris.uniroma1.it/sites/default/files/11.%20Teoria%20della%20Coltivazione.pdf

[7] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.151 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[8]  ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.151 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[9] https://www.forbes.com/sites/rachelsandler/2020/10/21/volunteer-in-astrazeneca-covid-19-vaccine-trial-reportedly-dies-in-brazil/?sh=77580fb42516

[10] https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/da-non-perdere/vaccino-astrazeneca-e-rischio-trombosi-facciamo-chiarezza

[11] https://en.wikipedia.org/wiki/Clickbait

[12] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.155 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[13] Al respecto, aconsejo escuchar el interesante podcast del TED talk de Guadalupe Nogués (es en español)

[14] Muy interesante el documental the social dilemma producido por Netflix al respecto. En el tráiler unos de los entrevistados dice explícitamente “Intenta escribir en Google ‘cambio climático es’ y verás resultados diferentes según el lugar en que te encuentras y según las cosas que Google conoce sobre tus intereses” . https://www.youtube.com/watch?v=uaaC57tcci0 

[15] https://www.nytimes.com/2018/03/18/us/cambridge-analytica-facebook-privacy-data.html?hp&action=click&pgtype=Homepage&clickSource=story-heading&module=first-column-region&region=top-news&WT.nav=top-news

[16] https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2018/10/29/news/facebook_ora_puoi_saperne_di_piu_su_fonti_e_testate-210316647/

[17] https://www.ilsole24ore.com/art/stretta-facebook-inserzioni-politiche-sapremo-chi-paga-e-dove-arrivano-AEv4YZUE?refresh_ce=1

[18] https://it.mashable.com/coronavirus-1/4089/covid19-fake-news-facebook-avaaz

[19] ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.86 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

[20] Por supuesto, esto no ocurre solo con temas de salud como los daños provocados por el consumo de tabaco o de algunos alimentos o con las medidas anti-covid sino con otros temas también como lo del cambio climático.

[21]  ”introduzione alla psicologia della comunicazione” di L. Lotto e R. Rumiati, 2013, il Mulino, p.87 https://www.mulino.it/isbn/9788815245854

La Risata Perturbante e Umoristica di Joker

Stando agli scritti freudiani, unheimlich è ciò che non è familiare, intimo, conosciuto e, tuttavia, è caratterizzato proprio da alcuni tratti familiari, intimi, conosciuti che però assumono una forma diversa. Unheimlich è l’estraneo dentro casa. E’ perturbante esattamente perché il disagio e pure la paura ad esso connessi sono determinati dal labile confine tra estraneità e familiarità. Nello spazio di questo dualismo attivo, poiché fa affiorare ciò che dovrebbe invece restare nascosto, si apre la risata del Joker di T. Phillips. Lo stesso J. Phoenix, a proposito della risata del  personaggio che interpreta, afferma che è contemporaneamente “terrifying and exciting”, di conseguenza intimidatoria e straniante – sensazioni costanti per lo spettatore, sia che si tratti della risata dolorosa, soffocata e soffocante di Arthur Fleck sia che si tratti di quella fiera, disinibita e ostentata di Joker. In effetti, benché essa si evolva con l’evolversi del protagonista, non smette di dispiegarsi come una risata che spesso spacca il silenzio e a volte sovrasta il rumore, improvvisa sul nascere e sul finire, assecondante la vita interna del soggetto e priva di regole morali – come quando, sulla metro diretta verso casa, Arthur scoppia a ridere mentre una ragazza viene molestata da tre giovani altolocati. Il riso, familiare a tutti noi in quanto sinonimo di ilarità e di distensione, diventa un elemento estraneo in quella specifica circostanza di nervosismo palpabile che richiederebbe, invece, grande attenzione e serietà. Nemmeno i giovani riescono a decifrarlo: lo considerano come esternazione di divertimento o di beffa, poi esplodono i colpi di pistola e l’eco di quel riso fa davvero paura. Emerge l’inquilino nascosto che abita in quella risata: il malessere profondo di un’esistenza.

U. Boccioni, La risata (wikipedia)

La percezione di tale malessere è possibile non soltanto per coloro che, dall’esterno, prestano attenzione alla vita di Arthur, ma anche per Arthur stesso che, non di rado, più che vivere si sente vivere – come quando, vedendo in onda sul programma tv di Murray lo sketch che aveva eseguito qualche tempo prima su un piccolo palco di stand-up comedy, egli è spinto a sentire di nuovo profondamente quel momento. Questa volta, però, con gli occhi irridenti del pubblico. Pirandellianamente, il passaggio dal vivere al sentirsi vivere è drammatico e può essere pericoloso perché produce la caduta delle forme fittizie dell’identità individuale: l’uomo si percepisce scomposto in frammenti identitari che convivono e che complicano le distinzioni tra il dentro-di-sé e il fuori-di-sé. Da questo istante in poi, il tentativo di tornare alla coscienza normale delle cose porta in nuce il rischio di morte o di pazzia. Arthur è al contempo il vincente che dopo anni di anonimato è stato finalmente notato e ora dispone di un’occasione televisiva per realizzare il suo sogno di comico, ma anche il misero perdente che è chiamato ad affrontare di nuovo la derisione, questa volta a reti unificate.

J. Ensor, Masks confronting death
(flickr.com – https://www.flickr.com/photos/gandalfsgallery/9946599566)

In questo malessere, la risata trova il modo di farsi rivincita sui torti subiti, di farsi arma, e traccia i confini sfumati del male. Così è per il Joker di Phillips, ma anche per il signor Anselmo di Pirandello nel racconto Tu ridi (Novelle per un anno, 1924). In entrambi i casi, i personaggi sono scoordinati col mondo, ridono fuori tempo quando non dovrebbero e questo loro ridere diventa sinonimo di diversità, quasi un’accusa. Il signor Anselmo ride nel sonno con una “risata larga, gorgogliante”, si potrebbe dire non sorvegliata, scaturente direttamente dall’inconscio dandogli spazio. Come quella di Joker. Ogni notte, quando la moglie lo rimprovera per essere stata svegliata dal suo riso improvviso, il signor Anselmo è “stupito, mortificato, quasi incredulo” e l’“irritazione e mortificazione, ira e cruccio” che prova somigliano tanto a quelli di Arthur, sempre in dovere di fornire spiegazioni per una reazione incontrollabile che nemmeno lui sa realmente motivare. Il sospetto comune è che sguazzino “in chi sa quali beatitudini”, eppure di quelle beatitudini nessuno dei due sa nulla; anzi, comprendono, loro malgrado, che ridere può essere una manifestazione di frustrazione, un desiderio incompreso di felicità e distacco dalle proprie miserie. Il momento della comprensione, però, avviene “per combinazione” e segna un passaggio fondamentale: la risata smette di essere passivamente subita e si fa azione aggressiva, strumento attivo di riscatto personale. Il signor Anselmo assume i connotati del tormentatore “del povero Torella”, mentre Arthur quelli eccentrici del Joker. La vera differenza tra i due è che quest’ultimo trasforma i sogni di rivalsa in una decisione consapevole. In una realtà. Non solo: Joker ride per destrutturare questa stessa realtà che ingabbia l’individuo, per riportarla ad una essenza informe, caotica. Ciononostante, mentre ride, indossa una maschera, come se non fosse in grado di liberarsi di un’identità castrante attribuitagli dall’esterno se non attraverso l’assunzione di un altro schema identitario. Alla base c’è la volontà di trovare il proprio posto nel mondo, venendo riconosciuti come esseri umani complessi, e la difficoltà estrema che una simile ricerca provoca.

Ecco allora che la risata, sia la sua sia quella che suscita negli altri, diviene una manifestazione visibile dello scontro tra interiorità e società ed esorta alla riflessione tanto quanto il suo viso così esageratamente truccato in cima al suo corpo emaciato. Tale riflessione è generata proprio dal fatto che l’uomo che ci si trova davanti ha una natura essenzialmente tragica inserita, tuttavia, in un contesto potenzialmente comico. Per dirla con Pirandello, nel film di Phillips il sentimento del contrario è manifesto, tangibile e distintivo di un uomo che, quindi, non può che essere umoristico. Per questo, sebbene Joker sia un pazzo, in un certo senso siamo portati ad empatizzare con lui – perché ne comprendiamo il dramma dietro il riso, cioè appunto la natura umoristica, ed anche lo sforzo nel tentativo di tornare ad una coscienza normale che fanno di Joker la lucida pazzia di Arthur. Joker piace sicuramente perché intavola un discorso sulla condizione umana, ma, credo, piace soprattutto perché lo fa disarticolando l’idea di eroe malvagio monolitico: se mai la nostra epoca può dirsi ancora culla di eroi, quelli a cui dà vita e a cui si interessa sono, nel bene e nel male, uomini – uomini in rivoluzione.

di Livia Corbelli

Bibliografia
– T. Phillips, Joker, 2019 (film)
– L. Pirandello, L’Umorismo, 1908
– S. Freud, Il perturbante, 1919
– L. Pirandello, “Tu ridi”, in Novelle per un anno, 1924
www.youtube.com/watch?v=4WcjedC44FU
www.youtube.com/watch?v=ThYJUZtNXt0

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