Le donne francesi rompono l’omertà sugli abusi sessuali

A fine 2019, in Francia, un incredibile fenomeno di liberazione della parola è nato, cresciuto ed ha preso piede, fino a raggiungere il suo apice il 28 Febbraio 2020, durante la Ceremonia dei Césars (l’equivalente degli Oscar in Francia). Si trattava di qualcosa di veramente incredibile, era sulla bocca di tutti. Per una volta, le donne vittime di abuso sessuale erano sotto ai riflettori, e non era né per il loro corpo, né per la loro bella voce, né per il loro bel sorriso, ma perché finalmente avevano la parola. Ora che il virus ha messo di nuovo a tacere queste voci resta dunque la domanda: chissà cosa sarebbe potuto accadere se questo #MeToo francese, questo movimento liberatore, distruttore di silenzi e di tabù non fosse stato soffocato da una pandemia?

Adèle Haenel e Sarah Abitbol

Tutto è cominciato nel Novembre 2019, quando l’attrice francese Adèle Haenel, all’improvviso, ha rotto il silenzio e rivelato che era stata una vittima di “palpeggiamenti” e di “molestie” sessuali quando ancora era una giovane adolescente. Ha accusato il regista francese Christophe Ruggia, con cui aveva interpretato i suoi primi ruoli quando aveva tra i dodici e i quindici anni. La sua testimonianza è stata accompagnata da un’indagine fatta dal giornale indipendente Mediapart, che ha sottolineato il carattere “sistemico” degli abusi sessuali nel mondo del cinema francese – che non dovrebbe quindi riuscire a scappare dal suo proprio tribunale, il suo proprio #MeToo. A seguire le parole della Haenel ci sono state molte reazioni di sostegno all’attrice e la Società dei Registi cinematografici ha avviato un’inchiesta interna contro Christophe Ruggia. Quest’ultimo si é limitato a negare le accuse dell’attrice, ammettendo tuttavia di averla “adulata” e si è scusato se era questo che l’attrice considerava essere una molestia. Ruggia – nel magazine Marianne – ha poi aggiunto che Adèle Haenel era “ostile” a lui perché le avrebbe rifiutato un ruolo in uno dei suoi film, giocando cosí la solita carta dell’accusatrice isterica e vendicatrice.

Questa bomba lanciata da Adèle Haenel, che ha sconvolto tutto il mondo del cinema francese, sembra aver dato il via a una corsa emancipatrice verso la liberazione della parola. Questa volta, è il mondo elitario della letteratura francese ad esser stato colpito. Circa un mese dopo le parole di Aèle Hoenel, il 26 dicembre, Vanessa Springora ha annunciato la pubblicazione del suo libro, Il Consenso[1], nel quale parla della sua relazione tossica con l’autore francese Gabriel Matzneff, quando lei aveva tredici anni e lui quarantanove. Vanessa Springora lo descrive come un “predatore”, un “pedofilo” che aveva su di lei, la “preda vulnerabile”, una forte influenza. Del resto, non si puó certo dire che l’appetito sessuale di questo uomo di lettere fosse segreto, ma negli anni settanta/ottanta gli era tollerato in virtù dal suo statuts sociale e dal circolo di intellettuali che lo circondava. Gabriel Matzneff ha dunque risposto denunciando degli “attacchi ingiusti”, e si è rifugiato in un albergo italiano.

Weinstein, Matzneff, Ruggia, Polanski

Ma la maratona non si è fermata qui; a gennaio – dopo l’inizio del processo dell’orco della causa #MeToo, Harvey Weinstein – è giunto il turno del mondo dello sport francese. Simultaneamente infatti, il 29 gennaio, il giornale sportivo L’Equipe pubblicava una grande indagine sulle agressioni sessuali nell’ambiente sportivo, e l’ex grande pattinatrice Sarah Abitbol parlava al giornale L’Obs per presentare il suo libro, Un così lungo Silenzio[2], nel quale racconta gli stupri che ha subito quando aveva soltanto quindici anni commessi dal suo ex-allenatore. Lo scandalo è scoppiato, ed è stato come l’apertura del vaso di Pandora, dato che, come ulteriori indagini hanno confermato, quello della pattinatrice non si trattava di un caso isolato. La ministra francese dello Sport, Roxana Maracineanu, ha chiesto al presidente della Federazione degli Sport del ghiaccio, Didier Gailhaguet, di dare le dimmissioni accusandolo di aver saputo tutto e di non aver mai agito. L’omertà è stata dunque rotta e dopo uno braccio di ferro tra Gailhaguet, Maracineanu e i media, Didier Gailhaguet ha ceduto.

Era lecito credere che tutti questi eventi avrebbero dato alla luce una consapevolezza collettiva e che tutto si stesse avviando verso un riconoscimento delle vittime. Ma questo era sperare troppo – la caduta è stata infatti per questo ancora più dolorosa. Il 28 febbraio, durante la controversa Ceremonia dei Césars, il premio del migliore regista è stato assegnato a Roman Polanski. Quest’ultimo è accusato di abusi sessuali su una minorenne, ed é fuggito dalla giustizia statunitense negli anni settanta per rifugarsi in Francia, paese che rifiuta l’estradizione dei suoi cittadini. Questo è stato il colmo; non sono stati premiati né il film, né la fotografia, né gli attori, ma il regista, l’uomo stesso – di conseguenza, lo stupratore. Adèle Haenel ha quindi lasciato la ceremonia, gridando “vergogona!” e applaudendo ironicamente la “pedofilia” che l’accademia sembrava voler ricompensare. Il giorno dopo, l’autrice femminista Virginie Despentes ringraziava l’attrice e pubblicava nel giornale Libération una lettera aperta intitolata “Ci alziamo e ce ne andiamo!”[3]. L’attrice che aveva rotto il silenzio è diventata un simbolo per tutte le vittime a cui è stato imposto il silenzio in tutti questi anni. Il nuovo simbolo femminista, una foto di lei che della sala dei Césars, è stata condivisa sui sociali e durante le manifestazioni dell’otto marzo, giornata per i diritti delle donne.

Poco piú tardi, il 17 marzo, la Francia è stata messa in quarantena. La minaccia è imminente e, inevitabilmente, siamo costretti a rivedere le nostre priorità. Le speranze delle vittime sono state soffocate dall’improvviso cambio di scena nel dibattito pubblico, che è stato interamente occupato dal COVID-19. Ma in realtà, la pandemia è soltanto una pausa dai combattimenti, da tutte le lotte che riprenderanno quando tutto sarà finito. La lotta continuerà. Il mondo che ha implicitamente lasciato tutte queste violenze avere luogo, ma soprattutto, che ha lasciato i colpevoli impuniti, non cambierà da un giorno all’altro, ma possiamo approfitare di questo tempo di pausa per pensare a tutto ciò che è successo. Per approfondire il pensiero, e chiedersi “perché c’è ancora uno tabù così grande sulla violenza fatta sulle donne?” “Perché queste non vengono mai ascoltate?” “Perché sono sempre costrette a ingoiare la loro dignità, e a rimanere in un silenzio doloroso?”. Il titolo del libro di Sarah Abitbol, Un così lungo Silenzio, sottolinea questo dolore silenzioso al quale sono costrette tante donne. Sottolinea anche la solitudine nella quale sono costrette a chiudersi, perché non ascoltate o non credute – o addirittura sottoposte all’umiliazione pubblica del dubbio (“come mai si è ritrovata nel letto di quest’uomo? Che vestiti indossava quel giorno? Non é che magari era lei che cercava di ottenere qualcosa da lui?” Ecc…). Eppure, queste donne non sono sole. Al contrario più se ne parla, più il loro esercito si espande. E’ grazie a queste donne che hanno usato la loro fama e la loro visibilità per rompere il silenzio e mostrare a tutte le altre vittime che non sono da sole, ma soprattutto che hanno anche loro il diritto di parlare, se lo vogliono. E´a loro che Adèle Haenel si é rivolta durante la sua intervista per Mediapart: “Voglio dire loro che hanno ragione a sentirsi male, a pensare che non è normale subire cose del genere, ma non sono da sole e si può soppravvivere. Non siamo condannate a una doppia pena di vittime”[4].

La lotta viene messa in pausa, ma la violenza non si ferma. Coincidenza del caso, mentre scrivo quest’articolo, ricevo una notifica dal media France Inter: “I reati legati alla violenza contro le donne stanno esplodendo dappertuto nel mondo”[5]. In Italia, una grande rete di “revenge porn” è stata scoperta questi ultimi giorni. Le molte fotografie pubblicate senza il consenso delle donne e ragazze coinvolte, la pedopornografia… ci dicono che non stiamo imparando, non ancora. Ma grazie a questi movimenti di liberazione della parola stiamo avanzando verso una società che riconoscerà l’esistenza di queste violenze e dunque delle loro vittime, e non le accetterà più. Possiamo sperare che, piano piano, la giustizia finalmente reagirà ed ascolterà le vittime – sia che le loro accuse riguardino il ricco e famoso attore o sia che riguardino qualsiasi individuo. Infatti, mentre il mondo del cinema francese stava premiando Roman Polanski, la procura di Parigi avviava un’indagine per stupri su minori di meno di quindici anni contro Gabriel Matzneff, e un’altra per stupri e agressione su minori contro Gilles Beyer (l’ex-allenatore di Sarah Abitbol); Christophe Ruggia é stato invece messo in fermo cautelare ed incriminato per abuso sessuale su minori di quindici anni. Alcune di queste storie, sfortunatamente, sono cadute in prescrizione in base alla giustizia francese; ma l’obiettivo di queste indagini è di trovare tutte le altre vittime di questi uomini, per poter dare loro la parola, ma soprattutto, per restituire finalmente la credibilità e la dignità che meritano. Forse, questa piccola speranza è la prova che noi, come società, evolveremo, e impareremo le lezione che avremmo dovuto imparare giá da molto tempo. Forse è anche la prova che parlare è importante, liberatore, se non rigeneratore.

Nel suo saggio intitolato Streghe[6], Mona Chollet inizia la sua conclusione con queste parole: “Quello che chiamavamo ‘liberazione della parola’ aveva quasi l’effetto di un incantesimo, di una formula magica che scatena tempeste e temporali, suonando le campane a morto nel nostro universo familiare. […] Vivevo questo crollo come una liberazione, un successo decisivo, come una trasfigurazione dell’universo sociale. Avevamo il sentimento che una nuova immagine del mondo stava lottando per accadere.”[7]. La parola è stata liberata, e rivela che ha una vera incidenza sulla realtà. Parlare può cambiare le cose. Poco a poco, l’omertà verrá rotta finalmente, e con essa riusciremo a rompere tutti i tabù, definitivamente.

di Laura Poiret


[1] Le Consentement, traduzione personale

[2] Un Si Long Silence, traduzione personale

[3] « On se lève et on se barre ! », traduzione personale.

[4] « Je veux leur dire qu’elles ont raison de se sentir mal, de penser que ce n’est pas normal de subir cela, mais qu’elles ne sont pas toutes seules, et qu’on peut survivre. On n’est pas condamné à une double peine de victime. » Traduzione personale

[5] « les signalements liés aux violences contre les femmes explosent un peu partout dans le monde », traduzione personale.

[6] Sorcières. La puissance invaincue des femmes, Mona Chollet, Zones, 2018. Traduzione personale,

[7] « Ce que l’on désignait par la formule convenue de ‘libération de la parole’ avait presque l’effet d’un sort, d’une formule magique déchaînant orages et tempêtes, sonnant le chaos dans notre univers familier […] je vivais cet effondrement comme une libération, une percée décisive, comme une transfiguration de l’univers social. On avait le sentiment qu’une nouvelle image du monde luttait pour advenir. » Ibid, traduzione personale.

Fonti ed articoli da leggere In Italiano:

Fonti e articoli per approfondire in Francese : 

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