In Italia, come nella maggior parte dei paesi dell’OCSE[1], e non solo, vi sono disposizioni affinché il sistema fiscale si attenga al principio di progressività. La Costituzione Italiana, per esempio, introduce all’art. 53 tale criterio progressivo per cui ai soggetti con i redditi più elevati si impone un contributo, in proporzione, maggiore rispetto ai soggetti con redditi meno elevati. Tale principio, seppur discusso e criticato dalle falangi più liberiste della politica, non vuole essere messo in discussione né contestato in questo articolo. L’imposizione fiscale, infatti, è uno strumento necessario per raggiungere una distribuzione del reddito più equa e, soprattutto, per garantire alcuni beni e servizi pubblici essenziali, in primis l’istruzione obbligatoria. Puntualizzo solamente che la maggior parte delle imposte, siano esse proporzionali o progressive, crea delle distorsioni nel comportamento dei cittadini contribuenti. L’applicazione del principio progressivo, per ragioni pratiche, viene adoperata specialmente sulle imposte sui redditi. Per altri tipi di imposta il criterio di progressività è un po’ complicato da attuare. Immaginate la difficoltà di dover applicare diverse aliquote di IVA, che è un’imposta sui consumi, sugli stessi prodotti in un negozio alle diverse persone che vi entrano ad acquistarli. Come si fa ad applicare aliquote diverse sullo stesso prodotto, per esempio il latte, a persone appartenenti a fasce di reddito differenti? La progressività in tali imposte sul consumo deve essere perseguita solo facendo differenze tra beni di prima necessità e non, applicando poi diverse aliquote.
Le maggiori conseguenze che possono derivare a seguito dell’introduzione delle imposte sul reddito sono principalmente due:
- Disincentivazione dell’offerta di lavoro, ovvero un individuo potrebbe preferire di non offrire lavoro in quanto non vuole pagare le relative tasse.
- Evasione ed elusione fiscale, che spesso si accompagna alla più problematica economia sommersa.
COME RICONOSCERE UN SISTEMA FISCALE PROGRESSIVO?
Per stabilire se un sistema fiscale sia progressivo vi sono diversi modi. Tra di essi il più facile è quello di considerare l’incremento delle aliquote media con l’aumento del reddito imponibile. Come funziona? Per ogni euro in più guadagnato, l’ammontare di tasse pagato su quell’euro aggiuntivo aumenta più che proporzionalmente. Se un individuo A per €1.000 guadagnati verserà, diciamo, il 25% di tasse, un individuo B che guadagna €2.000 dovrà pagare di più, per esempio, il 30%. In Italia, come in altri Paesi, la tassazione media arriva quasi al 45% di contributi versati per le fasce di reddito più alte. Il problema, come accennato prima, è che i soggetti sono disincentivati a non produrre reddito oltre alle proprie esigenze o ad evadere per non sforare negli scaglioni più alti e quindi essere soggetti alle aliquote più alte. L’aliquota media, necessaria misura della progressività dei sistemi fiscali, si ottiene calcolando il rapporto tra il totale delle imposte versate e il reddito imponibile che si percepisce.

UN MODELLO DI TASSAZIONE ALTERNATIVO
Voglio quindi esporvi un modello fiscale che, mantenendo i criteri di progressività, possa limitare le conseguenze fin qui esposte. Tale modello è stato concepito dall’economista e premio Nobel britannico James Mirrlees, ovvero il modello fiscale con aliquote marginali decrescenti[2]. Lo voglio presentare con un procedimento euristico nella sua forma basilare, scevro da qualsiasi applicazione pratica per un sistema fiscale specifico di un Paese, affidandomi direttamente a un esempio pratico. Vi sono tre individui Tizio, Caio e Sempronio che hanno redditi diversi. In particolare, Tizio guadagna €500 al mese, Caio €5.000 e Sempronio €10.000. In questa società schematica si presume che il reddito minimo per condurre uno stile di vita decente e adeguato sia di €1.200. Tizio ovviamente non arriva a tale cifra, per cui, invece di pagare tasse sul suo poco reddito, viene aiutato. I possibili aiuti sono o l’esenzione completa da tutte le tasse o l’integrazione di un sussidio tale da permettergli il raggiungimento della soglia minima di reddito. Tali politiche di sostegno, ampiamente utilizzate entrambe in diversi Paesi, sono conosciute come esenzione sui redditi minimi, le prime, e tasse negative (sussidi), le seconde. Per gli altri soggetti, dell’esempio, si prevedono delle aliquote marginali decrescenti per ogni scaglione di €2.000 eccedente la soglia del reddito minimo, partendo con un’aliquota del 23% e fermandosi a un valore di aliquota minima del 19%. Affinché il sistema rimanga strettamente progressivo le aliquote marginali[3] non possono decrescere all’infinito. La scelta del reddito minimo, degli scaglioni su cui applicare le diverse aliquote e l’aliquota di partenza sono del tutto arbitrarie ed esemplificative. Quello che è importante è che si stabilisca una soglia di reddito minimo e una politica di sostegno per le fasce di reddito al di sotto di esso. Bene, pur essendo le aliquote marginali decrescenti, le aliquote medie con cui i contribuenti versano le imposte da pagare rimangono strettamente crescenti. Ovvero, il principio di progressività non viene leso in alcun modo. Chi guadagna di più, verserà più tasse, proporzionalmente, in base al proprio reddito.
Scettici a riguardo? Calcolatrice alla mano che vi presento i numeri:
- Tizio guadagna €500 al mese, quindi avrà un’esenzione completa e un sussidio pari a €700 per raggiungere la soglia minima di reddito.
- Caio guadagna €5.000. Sui primi €1.200 non pagherà nessuna imposta. Il reddito imponibile quindi si riduce a €3.800. Dopodiché pagherà il 23% sui primi €2.000 (€460) e il 22% sui rimanenti €1.800 (€396). Il totale delle imposte pagate da Caio sarà di €856. L’aliquota media delle imposte sarà quindi pari al 17,12% (€856/€5000).
- Stesso sistema verrà applicato per quanto riguarda Sempronio. I primi €1.200 che guadagna verranno esentati e a ogni scaglione di €2.000 eccedente la soglia minima verranno applicate delle aliquote decrescenti. In particolare, per i primi €2.000 un’aliquota del 23% (€460), su altri €2.000 un’aliquota del 22% (€440), e così via, pagando per gli ultimi €800 imponibili un’aliquota del 19% (€152). Il totale dei contributi che Sempronio dovrà versare sarà pari a €1.872 che rapportati al reddito imponibile che percepisce danno un’aliquota media pari al 18,72%.
È facile quindi notare come tale sistema, pur prevedendo delle aliquote marginali decrescenti, rimanga progressivo. Sempronio versa mediamente dei contributi maggiori rispetto a Caio. I vantaggi di un tale sistema fiscale sono molteplici e il più importante fra essi è che i contribuenti non sono disincentivati a non guadagnare maggiore reddito (quindi sono incentivati a produrre maggiormente, a guadagnare di più e a contribuire alla crescita economica con l’allargamento della base imponibile), in quanto il costo marginale per ogni euro in più guadagnato, per esempio, è via via minore. Un’osservazione sorge spontanea riguardo agli incentivi che i soggetti nelle fasce “più deboli” possano avere ad offrire lavoro invece che campare di sussidi. Il sistema fiscale proposto, se attuato, dovrebbe prevedere anche un meccanismo di sostituzione tra il sussidio e il salario di riserva che incentivi i più poveri a lavorare e a non accontentarsi del valore del reddito minimo. Si dovrebbe quindi aprire una parentesi (enorme) riguardo tale problematica che trascende lo scopo di questo articolo. Ribadisco intanto che la scelta della soglia minima in questo esempio è puramente casuale. In un paese come l’Italia, probabilmente, è troppo alta, in un altro troppo bassa. Per farla molto breve, si presume che i sussidi siano necessari laddove i soggetti siano in difficoltà economiche e non per coloro che si accontentano di campare di rendita. Tale modello è studiato solo per coloro che potrebbero essere scoraggiati a guadagnare per non affrontare costi marginali crescenti relativamente al tempo libero e, mi si permetta di usare tale espressione, ceteris paribus.
Giovanni La Rosa
[1] L’OCSE è un’organizzazione a livello internazionale, che raccoglie fra i suoi membri i paesi sviluppati che hanno in comune un sistema democratico e un’economia di mercato, fra cui l’Italia e i Paesi Europei.
[2]Mirrlees, James A., (1971). “An Exploration in the Theory of Optimal Income Taxation”, Review of Economic Studies 38, 175-208.
[3] Il termine aliquota marginale indica la percentuale dell’ultimo euro di reddito (o, meglio, dell’ultimo scaglione di reddito) che deve essere pagata in imposte.
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