Presentazione
Annamaria Dicesare, 21 anni, laureanda in Lettere Moderne all’Alma Mater Studiorum di Bologna e diplomata all’Accademia Nazionale del Cinema di Bologna.
E’ con lei che, qualche giorno fa, ho deciso di chiacchierare, a mo’ di intervista, per dimostrare quanto il “mito del giovane fannullone” sia una generalizzazione troppo facile e comoda di una realtà che sicuramente esiste, ma che non può essere assunta come paradigma immutabile della gioventù di un’epoca. Infatti, Annamaria è una delle manifestazioni concrete di quel gruppo nutrito di ragazzi e ragazze che ha voglia di fare, che non si arrende nonostante le frustrazioni e le difficoltà pronte a sorprendere chiunque nel nostro Paese, specialmente chi non si vota all’annichilente filosofia dell’utile e del tutto-e-subito. Parlare con Annamaria, sempre dinamica e piena di idee, significa confrontarsi con un “ottimismo di ancoraggio” che sprona non a vedere il bicchiere mezzo pieno quando è evidentemente quasi vuoto, ma ad adoperarsi per trovare un modo per riempirlo. Annamaria è annoverabile tra coloro – e sono tanti – che quotidianamente si impegnano per dare forma ai propri sogni sapendo discernere tra realtà e desiderio e, tuttavia, cercando di coniugare aridità delle possibilità offerte e fertilità del proprio intelletto e della propria creatività.
Intervista
Ecco che cosa mi ha raccontato a proposito del suo primo cortometraggio, ora disponibile online su Youtube: Un’anomala famigliarità
- La tematica centrale del cortometraggio è annunciata già dal titolo: la famiglia. Perché, tra i tanti argomenti possibili, hai scelto di incentrare il tuo primo lavoro proprio su questo?
So che il tema della famiglia può sembrare banale, però io credo che sia di grande attualità. E’ sufficiente pensare alle unioni civili nel 2016, alle famiglie allargate, alle famiglie arcobaleno e così via per rendersi conto di quanto la famiglia sia uno dei fenomeni sostanziali della realtà contemporanea. E siccome penso sia importante leggere il nostro presente in maniera critica, ciò che ho cercato di fare con questo primo cortometraggio – e che vorrei fare in futuro – è proprio provare a dare un’interpretazione al mondo che viviamo.
- In che modo l’hai trattata?
Tradizionalmente, la famiglia è sempre stata il perno essenziale della società e l’evoluzione sociale ha sempre implicato l’evoluzione familiare (o dovremmo forse dire che è sempre stata causata dall’evoluzione familiare?). Inoltre, in Italia soprattutto, la famiglia ha sempre incarnato un valore di stampo cattolico che, però, col passare del tempo, è stato sottoposto ad un cambiamento inarrestabile.
Quindi, ciò che ho cercato di rendere evidente è stato lo scardinamento della famiglia tradizionale, la modificazione necessaria di uno dei valori per eccellenza inserendolo in una fantasia strana e controcorrente (NdA: si immagina un mondo in cui la normalità è l’omosessualità, mentre l’eccezione scandalosa è l’eterosessualità) che comunque non annulla gli elementi positivi presenti in ogni famiglia, cioè quelli che fanno progredire il concetto stesso di famiglia senza per forza rompere con l’ideale tradizionale.
- Dunque, potremmo definirlo uno scardinamento positivo?
Sì, certo. L’intento non è la decostruzione fine a se stessa, ma la presa di coscienza di una realtà. Ho cercato di portare lo spettatore direttamente all’interno del nucleo familiare, nella quotidianità di tempo, luoghi e azioni dei personaggi.
- Facendo riferimento alla famiglia che hai messo in scena, pensi che i rapporti che intercorrono tra Carlo Agnese e Claudia possano definire il “modello familiare tipo” della nostra realtà contemporanea?
La famiglia a cui ho dato vita è costruita su tre poli, a mio avviso molto comuni: rigidità (Agnese), comprensione (Claudia), fragilità (Carlo). Inoltre, anche la sofferenza vissuta come un lutto a cui soggiace il classico “ti accetto, ma…” e sanata dal tenersi per mano per farsi forza potrebbe essere un “quadro familiare tipo”. Quindi, in un certo senso, sì, potrei dire che è una famiglia media quella che ho messo in scena, ma vorrei comunque evitare generalizzazioni troppo marcate perché, com’è ovvio, ogni microcosmo familiare ha le proprie specificità e complessità.
- Se, però, tu parli di una famiglia media, viene spontaneo chiedersi perché “anomala” …
Perché, tutto sommato, sebbene qui la normalità sia l’omosessualità, la famiglia di Carlo Agnese e Claudia risulta essere fuori dagli schemi tradizionali, fuori dalla normalità prescritta. E’ una familiarità inusuale come lo è la scelta del vocabolo nel titolo (famigliarità): poco usato… eppure ugualmente corretto. Come dire, quindi, che l’anormalità è soltanto un’altra normalità e che l’elemento esterno e diverso non è per forza una minaccia, ma spesso è ciò che consente la problematizzazione, la riflessione e la riconfigurazione dell’assetto valoriale precedente.
- C’è stato un modello cinematografico che ti ha influenzata nella realizzazione di questo cortometraggio?
Farei difficoltà a citare un solo modello. Le influenze sono molteplici, non solo cinematografiche ma anche letterarie e tutte si sono accumulate nel corso degli anni contribuendo a formarmi.
- Ci avviamo verso la conclusione di questa nostra intervista. Hai altri progetti a cui stai lavorando o che vorresti realizzare in un prossimo futuro?
Certamente. Mi sto dedicando alla creazione di una trilogia di cortometraggi che ha inizio proprio con Un’anomala famigliarità e che ruota attorno al tema della famiglia, ovviamente sviscerandolo ogni volta in modo diverso ma sempre presupponendo un fattore scardinante del sistema preordinato.
A Maggio, insieme a una troupe che mi ha supportata e grazie al Comune di Celle di San Vito e a dei produttori locali, abbiamo girato il secondo episodio della trilogia: si chiama Fiori fragili e uscirà online, anche se bisognerà attendere ancora del tempo affinché sia fruibile. Mentre il terzo cortometraggio, ancora in cantiere di idee, dovrebbe trattare il tema della famiglia in senso più generale e comunitario, inserendolo in una logica di condivisione che non è necessariamente quella di una prole o di una vita vissuta sotto lo stesso tetto, ma che può essere anche soltanto il forte legame che si crea tra colleghi sul luogo di lavoro. In ogni caso tutti i progressi del mio lavoro e di quello della troupe che lavora insieme a me potete trovarli sulla mia pagina Facebook ( Annamaria Dicesare ).
Scheda generale del cortometraggio
Carlo: Giacomo tamburini
Agnese: Nela Lucic
Claudia: Maria Irene Vetrano
Regia: Annamaria Dicesare, Paolo Pessot
Sceneggiatura: Annamaria Dicesare
Aiuto regista: Agnese Navoni, Filippo Miroddi
Montaggio e direttore fotografia: Leonardo Martellini
Truccatrice: Edith Di Monda
Cameraman (o operatore di macchina): Filippo Distefano
Musiche: Rosario Mastroserio
Produzione: Accademia Nazionale del Cinema, Bologna
1. Menzione di merito al Foggia film festival; presidente di giuria: Michele Placido
“per l’originalità dell’opera che getta uno sguardo sul mondo maschile – femminile creando un inconsueto percorso emotivo e un forte senso di famigliarità”
2. 1° premio: Liberamovie
3. Selezioni ufficiali:
Omovies (Napoli)
Gioiosa in corto (Messina)
Los Angeles Cinefest (Los Angeles)
Canadian Diversity Film Festival (Toronto)
Equality Film Fest (Kiev)